Il Santo Padre è morto, ed un nuovo Conclave è stato immediatamente convocato: una delle più secretate, sintomatiche ed esplicative rappresentazioni del consorzio e del teatro umano, delle sue leggi e delle sue dinamiche intrinseche. Al conflittuale ma retto decano britannico Thomas Lawrence (Ralph Fiennes) l’onore e l’onere di gestire il delicatissimo momento di passaggio e garantire che la millenaria ritualità dell’elezione del nuovo Pontefice venga rispettata in ogni suo passaggio, mentre da ogni parte del mondo sciamano cardinali dalle più diverse inclinazioni politiche e dalle più simili e ovvie ambizioni.
Conclave: la firma di Edward Berger
Giunto ad un curriculum cinematografico ormai sufficientemente ricco e significativo, non è difficile riscontrare nelle regie del tedesco Edward Berger un certo fil rouge indiscutibilmente personale: quello dell’applicazione delle dinamiche e delle grammatiche del thriller a storie e narrazioni che dei tempi e dei modi del thriller non avrebbero necessariamente bisogno. E uscirne vincitore, con dei lavori mai pretestuosi ma personali, convincenti ed efficaci.
Nel caso dell’adattamento dell’omonimo romanzo di Robert Harris, adattato per il grande schermo da Peter Straughan (la stessa penna alla base del delizioso adattamento de La Talpa del 2011) si può dire che il lavoro fosse già a buon punto. Il romanzo di Harris è a tutti gli effetti un thriller politico, ben scritto e orchestrato. L’indubbio merito di Berger e Straughan è stato quello di dare una nuova, ulteriore profondità al racconto, piegando tempi e modi ad una narrazione che mettesse al centro la più antica delle questioni: quella intorno alla sostanza della natura umana.
Il ritratto dell’enorme macchina-Conclave diventa il pretesto ideale per puntare l’occhio neutro, paziente e indagatore di Berger su una fauna umana e tutte le sue declinazioni nei confronti di una delle più antiche e irresistibili tentazioni, quella del potere. Al suo centro, la stanca, dolente determinazione di un’eccezionale Thomas Lawrence/Ralph Fiennes, unica, sempre che ce ne possa essere, suggestione di possibile retta via.
Tutto il resto è manipolazione, inganno, homo homini lupus nella più paradigmatica delle forme. Un House of Cards in veste talare. “Non è un conclave, è una guerra” dichiara il cardinale Bellini/Stanley Tucci, il più puramente politico del lotto, in uno scambio con il decano. Regole d’ingaggio accettate da tutti i pretendenti al trono, che siano liberali o conservatori come il crociato populista cardinal Tedesco di Sergio Castellitto: lo stesso decano Lawrence viene sospettato di essere ben più machiavellico di quanto non sembri essere.
Conclave: il potere logora chi non ce l’ha
Un gioco di maschere e di maschere su maschere a cui non manca nulla, come da rigorosa tradizione vaticana. Scandali sessuali, razzismo endemico, misoginia di sistema sono, esattamente come al di fuori delle mura vaticane, irrinunciabili strumenti di potere. I partecipanti al Conclave sono ermeticamente isolati, ma il resto del mondo è storicamente escluso a priori: a ricordare loro che esiste, solo le grida di scoramento della folla per l’ennesima fumata nera al cadere di una testa cardinalizia dopo l’altra e le bombe che iniziano ad esplodere nei dintorni del Vaticano come in altre zone d’Europa.
Un prisma di miserie umane da cui pochi sembrano salvarsi: il decano Lawrence, simil-ispettore suo malgrado, la sorella Agnes di Isabella Rossellini, unica donna in Vaticano che ha diritto di parola in virtù della sua vicinanza al fu Papa, il cardinale terzomondista Benitez.
L’indiscutibile merito di Berger è quello di essere riuscito ad immergere un tal raccolta di povertà e meschinità umane in una narrazione di sostanza fatta di volti, di sguardi e di posture, lasciando che siano loro, e con loro i dialoghi e la lunare spazialità delle mura vaticane con il suo costante conflitto tra luci e ombre, a dettare i tempi del racconto. Non c’è traccia di retorica nello sguardo che Beger dà all’unica, possibile speranza di sopravvivenza per una istituzione condannata a morte per sua stessa costituzione.
E’ piuttosto un’occhio profondamente attento e afflitto, che non giudica né fa sconti. E che ancora una volta racconta secondo il proprio stile quel twist finale che, come ogni thriller che si rispetti, anche Conclave ha. Forte, conflittuale e perfettamente preparato dalle due ore precedenti, come ogni buon twist che si rispetti.