“Amélie ama andare al cinema, osservare nel buio le facce degli altri spettatori e cogliere i piccoli particolari che si possono notare solo sul grande schermo: piccoli piaceri che solo la magia della sala sa regalare”.
Il 25 aprile 2001 debuttava nelle sale francesi una delle più belle favole del cinema Il favoloso mondo di Amélie, con protagonista Audrey Tautou e al suo fianco Mathieu Kassovitz, Dominique Pinon, Rufus, Serge Merlin.
Noi di ICrewPlay riproponiamo il nostro articolo di qualche settimana fa, per la rubrica Back to the vintage.
È sempre più difficile, chissà poi perché, scrivere di quello che ci piace davvero; forse per paura di sbagliare, o per timore di risultare inadeguati.
Il 25 gennaio 2002 debuttava nelle sale italiane (con quasi un anno di ritardo rispetto alla madrepatria Francia, dove era già nelle sale dal 25 aprile 2001) Il favoloso mondo di Amélie (Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain), forse il film più conosciuto di Jean-Pierre Jeunet.
Ho amato e amo profondamente questo film, e al suo debutto nelle sale italiane, lavorando in un multisala, uno dei primi per quegli anni, trascorrevo ogni momento libero in quella sala e ogni scusa era buona per dare una sbirciatina.
Protagonista della storia è la giovane Amèlie Poulain, interpretata da Audrey Tautou, una cameriera del Café des 2 Moulins di Montmartre, alla ricerca di un uomo misterioso per le strade della Ville Lumiére.
La trama
Amèlie vive in un mondo tutto suo.
Il padre è un medico fin troppo originale: visita ogni mese la figlia, che si agita ogni volta, e crede che sia malata di cuore.
La madre, una persona distaccata e anaffettiva, uscita dalla chiesa, viene schiacciata da una suicida e muore.
Traumatizzata da questo evento così improvviso quanto strano, Amélie subisce il fascino delle piccole cose: fare una torta, immaginare quanti orgasmi si stiano verificando in città nello stesso momento, far rimbalzare i sassi sul Canal Saint-Martin, fotografare le nuvole.
Cresce, è indipendente e trova lavoro in una graziosa caffetteria, ma la stessa sera in cui muore la principessa Diana, trova una scatoletta di latta dentro un muro del suo appartamento; la apre e trova i ricordi di infanzia di un bambino che l’aveva nascosta qualche tempo prima, quando probabilmente abitava nello stesso appartamento.
Finalmente la piatta vita di Amélie ha ora uno scopo: trovarne il proprietario e restituirgli un pezzo della sua infanzia.
La giovane parigina riesce a riconsegnare la scatola con uno stratagemma, senza farsi vedere e colpita dalla reazione positiva dell’uomo, decide di dedicare le sue giornate a rimettere a posto le cose che non vanno nella vita delle persone a lei vicine: assiste un uomo cieco ad attraversare la strada, riesce a convincere la portinaia del suo palazzo che il marito in procinto di morte stesse pensando a lei e fa fidanzare la sua collega.
Un giorno però accade qualcosa di imprevisto: incontra Nino Quincampoix (Mathieu Kassovitz), un ragazzo molto particolare che passa il tempo collezionando fototessere gettate da persone insoddisfatte delle proprie pose.
Amelie raccoglie da terra l’album di Nino, contenente le foto da lui collezionate e si impegna a risolvere il mistero legato ad una persona che appare più volte al suo interno.
E a lei chi ci pensa?
Ci piace perché…
È il 31 agosto del 1997, e la vita di questa semplice fanciulla vien sconvolta e cambia per sempre.
Il ritrovamento di quella scatola fornisce le fornisce finalmente uno scopo, una motivazione per cui valga la pena non solo vivere, ma anche gioire della vita.
Il film è un turbinìo continuo di emozioni e sensazioni, ed geniale, quasi maniacale direi la capillarità con la quale vengono descritti, alcuni particolari sui quali, per altro, nessuno si soffermerebbe mai.
Ogni personaggio, prima ancora che per il suo carattere o aspetto fisico, ci viene presentato per quello odia e che invece gli piace.
La mamma di Amélie, ad esempio, odia avere le dita lessate quando fa il bagno; essere sfiorata da chi non conosce; avere il segno del cuscino stampato sulla guancia.
A lei invece piace: il costume dei pattinatori artistici; far brillare il pavimento con le pattine; svuotare la borsa, pulirla e rimettere tuto in ordine.
Al papà di Amelié non piace: fare pipì accanto a qualcuno, sorprendere uno sguardo di disprezzo per i suoi sandali, sentirsi il costume appiccicato addosso quando esce dall’acqua.
A lui piace: strappare la carta da parati dai muri, mettere in fila le scarpe e lucidarle, svuotare la scatola degli attrezzi e rimettere tutto in ordine
Ad Amélie piace: rompere la crosta della creme brulè con il cucchiaino, far rimbalzare i sassi sul canale di San Martin; guardare le facce degli spettatori al cinema; affondare le mani nei legumi secchi.
Niente uomini nella sua semplice vita, lei scruta e guarda il mondo, ora attraverso gli occhi delle persone che gravitano attorno al suo mondo, ora attraverso i vetri della sua finestra.
Amelié racchiude in sé un microcosmo, fatto di piccole cose, attenzioni, odori, sguardi e sentimenti, soprattutto sentimenti.
Quelli che la maggior parte delle persone non si accorge nemmeno di provare, perchè troppo distratto da altro, come il paranoico Joseph (Dominique Pinon) che ci mette un po’ prima di riconoscere il sentimento che prova per l’ipocondriaca Georgette (Isabelle Nanty) o quelli di disprezzo e di superiorità nei confronti di chi è più debole, o semplicemente incapace di reagire alle provocazioni, come accade al buon Lucien (Jamel Debbouze) con il rozzo Collignon (Urbain Cancelier).
Amelié gioisce per cose semplici, si diverte con ciò che la vita le offre; un nano da giardino che viaggia per il mondo, dei volti impressi su fototessere vecchie e sgualcite, punire la stupidità umana escogitando piccoli espedienti “casalinghi”.
Amélie è tanto principessa in pericolo quanto cavaliere salvatore; il suo desiderio di rendere migliori le vite di quanti la circondano, di veder splendere sorrisi, di scaldare i cuori, la rendono una benefattrice e dispensatrice di buon umore.
Amélie ci piace per questo: è fantasiosa, mai ordinaria, vivace e frizzante e nessuno avrebbe mai potuto interpretare un ruolo simile, se non Audrey Tautou, perfetta in questo ruolo che le sembra cucito addosso.
E pensare che all’inizio, Amélie non doveva essere parigina, ma inglese e il suo ruolo sarebbe dovuto ad andare ad Emily Watson la quale però, data la sua difficoltà nel recitare in francese, lasciò il progetto e passò il testimone a Audrey Tatou.
La genesi e i riconoscimenti
Il favoloso mondo di Amélie (Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain), scritto e diretto da Jean-Pierre Jeunet, venne distribuito nelle sale cinematografiche francesi il 25 Aprile 2001 e arrivò in quelle italiane il 25 Gennaio dell’anno successivo distribuito da BIM Distribuzione.
In Europa ebbe un successo straordinario, in Francia attirò oltre 8 milioni di spettatori per un incasso totale superiore ai 40 milioni di euro (a fronte di un budget di 11), battendo la concorrenza dei kolossal americani e diventando il film più visto dell’anno.
Fuori dai confini nazionali il successo maggiore si ebbe in Germania, con oltre 3 milioni di spettatori e circa 18 milioni di incasso.
Il favoloso mondo di Amélie ha ricevuto cinque nomination agli Oscar (tra cui per il Miglior film straniero e la Migliore sceneggiatura originale a Jean-Pierre Jeunet), ha vinto tre European Film Awards, quattro Premi César e due British Academy Film Award.
Negli anni è diventato un riferimento della cinematografia francese, soprattutto per l’ingegnoso espediente di narrare una fiaba ambientata nel presente, ma al tempo stesso in un altrove irreale, fotografata con colori saturi e pieni, con tanto di voce narrante e rottura sporadica di quel muro immaginario, che in gergo teatrale è conosciuto come “quarta parete”.
La psicologia dei personaggi
Aiutare il prossimo, offrendogli attimi di felicità, è così che comincia la favola di Amélie che la condurrà a incontrare il grande amore, e per tutta la sua durata della storia, ogni cosa sarà vista con gli occhi della protagonista e tutto si svolgerà secondo i suoi ritmi.
La voce narrante dà un che di veramente fiabesco a questo “favoloso” film.
Dominique è l’uomo della scatola di latta che Amélie deve cercare. Per completare e portare a termine la ricerca interverrà in suo aiuto “L’uomo di vetro”, ossia un suo vicino di casa, pittore, che si auto-attribuisce questo soprannome perché per via di una malattia, le sue ossa tendono a frantumarsi e per questo non esce quasi mai di casa.
Raymond (Serge Merlin), questo il suo nome, ha in realtà un ruolo molto importante per la nostra Amélie, perché proprio grazie alle sue parole riuscirà a superare le proprie incertezze e a lasciarsi andare con il suo Nino.
Una figura particolare quella di Nino (Mathieu Kassovitz), commesso di un sexy shop con l’hobby di collezionare fototessere buttate per terra dai rispettivi proprietari; è un tipo assolutamente eccezionale ed è proprio per questo che Amélie se ne innamora perdutamente.
E Collignon? Come dimenticare quel simpatico tormentone
“Collignon gran buffon”
Quello che Amèlie ha in serbo per lui, supera di gran lunga ogni nostra aspettativa, per una ragazzina così per bene, ma è di una paladina della giustizia che parliamo, è ogni mezzo è lecito per difendere i più deboli.
Proprio in merito a questa idea, il regista ha affermato di essersi ispirato a ciò che lui avrebbe voluto fare se si fosse potuto infiltrare nella casa di qualche critico che ha contestato con cattiveria i suoi film, in particolare modo le aspre critiche rivolte a “la citè des enfantes perdus”
https://www.youtube.com/watch?v=PhItY5EBbqc
Tutto in questo film è esasperato: i personaggi così particolari, i suoni dolci e palpitanti, gli schemi ingarbugliati, la realtà minuziosamente sbriciolata e ricomposta, con immagini a volte confuse ma irresistibili, raccontate così bene da quella voce fuori campo.
La genialità di Jeunet ha prodotto una favola (perché è così che merita di essere chiamata) romantica, divertente, semplice, commovente, a tratti surreale ma vera perché fa riscoprire la voglia di amare e far del bene che certamente non fa mai male.
Badate bene però, non tutto è invenzione; si perché molte delle assurdità della storia, provengono dalla vita vera del regista, come ciò che piace o non piace ai protagonisti, tutti vizi di Jeunet.
Lui stesso ha affermato che, quando fa il bagno, è capace di tenere fuori le mani come un “maniaco depressivo” e anche la storia del pesciolino rosso suicida è tratta dalla vita del regista, il cui pesce rosso è stato per un’ora sotto la lavatrice e i suoi genitori hanno deciso alla fine di liberarlo in un giardino pubblico.
Colonna sonora, luoghi e qualche curiosità
Una cosa che sicuramente resta nella testa di chiunque abbia visto questo film almeno una volta, è la musica; la colonna sonora ha infatti ottenuto un successo strepitoso ed è ancora oggi tra le più celebri in assoluto.
Facilmente riconoscibile, soprattutto in brani come “La valse d’Amélie” e “Comptine d’un autre été: L’Apres Midi”, porta la firma di Yann Tiersen, che ha scritto quasi tutti i brani che la compongono.
La scelta di Yann Tiersen per la colonna sonora non è avvenuta dopo una lunga e accurata selezione, ma grazie a un assistente di produzione che stava ascoltando un CD di Yann Tiersen in macchina e Jean-Pierre Jeunet, sentendo la musica, se ne è subito innamorato.
Dopo essere diventato subito un fan sfegatato del compositore, lo ha contattato per proporgli la collaborazione e tutto il resto è storia.
Particolari e molto suggestivi anche i luoghi, primo fra tutti il Cafè des 2 Moulins, il ristorante dive lavora Amélie che esiste davvero e si trova proprio nel quartiere di Montremarte.
Pensate che Jeunet scelse personalmente il luogo di lavoro di Amélie, chiedendo uno speciale permesso al proprietario del locale, che in quel periodo era vicino alla chiusura. Naturalmente il film lo portò alla ribalta, salvandolo dal tracollo finanziario, ed è ancora oggi meta di turisti e residenti curiosi.
Il film ha permesso anche a un altro posto di ottenere enorme visibilità, ovvero il negozio di frutta e verdura di Collignon, non troppo lontano da rue Lepic.
Le scene ambientate nella metropolitana di Parigi invece, sono state in realtà girate nella stazione fantasma Porte de Lilas-Cinéma, fuori servizio dal 1939.
Il successo di questo film è stato talmente strepitoso, da portare alla realizzazione persino di un musical presentato per la prima volta al Berkeley Repertory Theatre nel 2015, che ha debuttato a Broadway due anni dopo.
Nonostante sia stato acclamato dalla critica, Jean-Pierre Jeunet si era detto disgustato all’idea di un progetto simile, perché il regista odia i musical, ma forse anche perché ricreare la luminosità di quei colori, è praticamente impossibile.
La tendenza del regista a valorizzare particolari sfumature cromatiche all’interno della pellicola (verde, giallo e rosso) è stata ispirata dai quadri del pittore brasiliano Juarez Machado (1941 – vivente), ma non è ancora nemmeno questa la cosa che più di tutte resta impressa.
Personalmente, la visione di questo film, ha prodotto un profondo amore per i nani da giardino, sostenendo la loro liberazione.
Tutta la questione, non è infatti frutto della fantasia di Jeunet e il Fronte di liberazione dei nani da giardino, esiste davvero.
L’intento è quello di salvare i nani da giardino dalla prigionia, liberandoli nei boschi e talvolta rompendoli per liberare le loro anime.
Da questo movimento, che in Francia è stato gettonato negli anni Novanta, Jeunet ha tratto ispirazione per il nano da giardino viaggiatore che si vede nel film.
Il favoloso mondo di Amélie è insomma un microcosmo colorato, un’isola felice nella quale ognuno di noi può trovare rifugio in momenti tristi o di sconforto; compiere buone azioni mette di buon umore e quest’adorabile parigina sembra essere maestra in quest’arte.
Amélie è in tutti noi, basta solo saperla trovare e ascoltarla.