Luis Sepulveda: Addio alla Gabbianella e al gatto che le insegnò a volare
Come diceva Totò,la morte è una livella, non guarda in faccia nessuno e ci rende tutti uguali, la sola differenza sta nel come si è vissuta la vita, aggiungerei.
“…la vita si misura dall’intesità con cui si vive”
Lo diceva lo scrittore Cileno Sepulveda, il primo paziente illustre a essere risultato positivo al Covid-19, che aveva iniziato a sentirsi male il 25 febbraio 2020, due giorni dopo essere tornato da un viaggio a Povoa de Varzim, nel Nord del Portogallo dove aveva partecipato ad un festival letterario. Il 16 aprile 2020, questo virus beffardo se l’è portato via.
La sua si che è stata una vita vissuta appieno, in ogni sua sfaccettatura, in ogni piega della sua trama, era si infatti uno scrittore acuto e accattivante, ma se i suoi romanzi non avessero avuto successo, ci si sarebbe comunque appassionati alla sua vita, così frastagliata, ricca di eventi, così piena di colpi di scena, da restare col fiato sospeso.
Luis Sepulveda nasce il 4 ottobre del 1949 in una camera d’albergo di Ovalle, nel Cile. I suoi genitori si ritrovarono lì perché messi in fuga a seguito di una denuncia (alla cui base c’erano ragioni politiche) emessa dal nonno materno nei confronti del genero. Così passa i primi anni della sua vita a Valparaìso, in compagnia del nonno paterno, (un anarchico andaluso fuggiasco perchè condannato a mort)e dello zio Pepe (anch’egli anarchico), e di Salgari, Conrad e Melville, che ben presto gli trasmettono l’amore per la scrittura e per l’avventura.
Tra i quindici e i diciassette anni si iscrive alla Gioventù comunista e diviene redattore del quotidiano Clarìn. A soli vent’anni ottiene il Premio Casa de las Americas con il suo primo libro di racconti, Crònicas de Pedro Nadie, e a seguire, una borsa di studio per corsi di drammaturgia della durata di cinque anni, presso l’Università Lomonosov di Mosca.
Qui rimase però solo pochi mesi; venne infatti espulso per atteggiamenti contrari alla morale proletaria a causa dei contatti con alcuni dissidenti, secondo altri avrebbe avuto una relazione con una professoressa, moglie del direttore dell’Istituto ricerche marxiste, e dovette rientrare in Cile.
Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore dal passo ostinato e contrario, esordì con un racconto bollato come pornografia dal preside del suo liceo, a Santiago del Cile.
“Era il ’63. Ci innamorammo tutti della nuova professoressa di storia. La signora Camacho, una pioniera della minigonna”. Un compagno di classe gli chiese di scrivere una storia su di lei. Quindici-diciotto pagine. Finirono nelle mani del preside: “Questa è pornografia”, gli disse. Provò a replicare: “Letteratura erotica”. “Pornografia – tagliò corto – ma scritta molto bene”
Dopo aver fatto ritorno in Patria, cominciò a dedicarsi alla scrittura di racconti, lavorando anche ad allestimenti teatrali e spettacoli radiofonici. Si iscrisse al Partito Socialista e fece parte della guardia personale di Salvador Allende.
Nel 1973 si verificò il colpo di stato di Pinochet: Sepulveda, che si trovava nel Palacio de La Moneda, il palazzo presidenziale dove morì Salvador Allende, fu imprigionato e sottoposto a un regime di torture. Fu scarcerato solo grazie alle forti pressioni di Amnesty International: ma a seguito della sua attività teatrale, fortemente influenzata dalle sue idee politiche, fu nuovamente sottoposto a carcerazione. Data la fama dello scrittore, il regime lo processò in maniera ufficiale infliggendogli una condanna all’ergastolo, che fu poi commutata, a seguito delle proteste della comunità internazionale, in otto anni di esilio.
Una vita a 360° dunque, non solo come romanziere, poeta e artista teatrale; Sepulveda ha dato molto anche al cinema, perchè alcune delle storie sono diventate sceneggiature, film, cartoni animati.
Il titolo più noto e conosciuto è sicuramente La gabbianella e il gatto, il film di animazione di Enzo D’Alò del 1998, tratto dal suo romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e il maggiore successo del regista napoletano che incassò 12 miliardi di lire.
L‘amicizia di Enzo D’Alò e Luis Sepúlveda ha partorito un film meraviglioso, il più alto incasso per un cartone italiano nel mondo. Il regista italiano è scioccato dalla notizia della morte dello scrittore.
“Due o tre anni fa Lucio – io l’ho sempre chiamato così – ebbe una polmonite, doveva venire in Italia e rinunciò. Poi la superò ma quando qualche settimana fa ho saputo che era stato ricoverato per il coronavirus ho tremato. Nei giorni successivi non c’erano più notizie, cercavo tra le pagine dei siti spagnoli per capire come stava, ma nulla. Sono rimasto scioccato dalla notizia della sua morte. Mi fa rabbia che uno con una vita come quella di Sepúlveda ci abbia lasciato per il coronavirus. Ha superato le torture della dittatura cilena, è morto da solo in un ospedale, una persona come lui che era l’antitesi della solitudine. Una persona come lui avrebbe dovuto lasciarci in compagnia di tutti quanti, con un bicchiere di vino e una risata. Pensarlo da solo in ospedale senza neanche la moglie è terribile. So che capita a tanti, è una delle cose peggiori di questa emergenza”.
La pellicola si apre con le drammatiche immagini di Kengah, una gabbiana che perde la vita in mare, avvelenata da una macchia di petrolio. Riesce però ad affidare la propria piccola, ancora in un uovo, a un gatto di nome Zorba. Prima di sparire, la gabbiana riesce a strappargli tre promesse: non mangiarla, averne cura fino alla schiusa e insegnarle a volare. Il rapporto tra Zorba e la gabbianella, ribattezzata Fortunata, sarà però ben più stretto e prolungato. La piccola viene infatti adottata da una comunità di gatti, coinvolta in una grande avventura.
Una storia che ricorda un po’ quella del brutto anatroccolo e che per questa avventura cinematografica, si è avvalsa della collaborazione di doppiatori importanti: Carlo Verdone, Antonio Albanese, lo stesso Luis Sepúlveda e un’attenta cura della colonna sonora, che riponeva in Ivana Spagna (Canto di Kengah e So volare) le speranze di un successo dai contorni disneyani. Tematiche importanti e attuali come la diversità, l’accettazione e l’integrazione, la tolleranza e il rispetto dei diversi; un esempio di animazione italiana finalmente competitiva con gli standard della grande produzione internazionale insomma, impegnato e curato nei minimi particolari.
Nel 2000 esce Terra del fuoco per la regia di Miguel Littin, con Ornella Muti, Claudio Santamaria, e Tamara Acosta, tratto dall’omonimo testo di Francisco Coloane, che vede prendere parte alla scrittura anche Luis Sepúlveda, che aveva redatto una breve introduzione della raccolta di racconti di Coloane.
https://www.youtube.com/watch?v=L0YuIEUAX20
È stato proiettato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2000 ed è ambientato nel 1860. Protagonista è Julius Popper che sostiene di essere un ingegnere romeno e arrivato in Patagonia dichiara di essere lì per prendere possesso della Terra del fuoco in nome di Carmen Sylba, regina di Romania.
Da qualche anno nella regione è cominciata la corsa all’oro e Julius si fa accompagnare dall’avventuriero italiano Spiro, dal mercenario Schaeffer, dal sergente austriaco Novak e da Silveira. A far loro compagnia c’è anche Armenia, bellissima prostituta ed Elisa. Popper vorrebbe instaurare la libertà ma gli indigeni si difendono, così Julius che pare pronto a tutto, mette insieme un esercito, al quale fa promesse di ogni genere, tra denaro e gloria.
Non solo avventura e storia quindi, ma anche qui l’elemento naturale è prevalente, così come il rapporto dell’uomo con l’ambiente.
Nel 2001, esce al cinema Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, tratto da un suo romanzo, diretta da Rolf de Heer con Richard Dreyfuss, Timothy Spall e Hugo Weaving.
L’amore e la solitudine. La vita e la morte. Il sublime e la ferocia. La civiltà e la natura incontaminata. E, al centro di tutto, un unico uomo. Anziano, sì, ma ancora indomito, governato da due grandi passioni: quella per i romanzetti rosa letti insieme alla giovane amante; e quella per un giaguaro ferocissimo, assetato di sangue, che lo tiene impegnato in una caccia lunga e rischiosa, nel folto della giungla amazzonica.
Ma, a turbare la convivenza tra fauna ed esseri umani, arriva un cacciatore, un gringo, che uccide tutti i cuccioli di un giaguaro. Così la mamma-felino, accecata dal dolore, massacra prima lui, poi qualsiasi altro essere umano le capiti a tiro. Da qui la decisione del sindaco, ubriacone e corrotto, di organizzare una spedizione di caccia contro il giaguaro, a cui partecipano anche un dentista (Hugo Weaving) e il protagonista della vicenda, l’ultrasessantenne Antonio Bolivar (Dreyfuss).
Vedovo, innamorato di una prostituta-cameriera che vive nel villaggio, Antonio – capace a stento di leggere – è dominato dalla passione per i romanzi d’amore che la ragazza gli presta. Ma poi la caccia al felino finisce per prendergli la mano, portando a galla ricordi della sua vita giovanile presso una tribù di indigeni. E suscitando in lui una sorta di amore-odio per il giaguaro, un interesse che sconfina nell’ossessione.
Un incrocio tra un documentario e un melodramma, un insieme di emozioni rese sullo schermo con un ampio uso delle voci narranti fuori campo. Pochi dialoghi, essenziali; è la natura a parlare per l’uomo.
Nel 2002 Sepulveda ha scritto e diretto Nowhere, premiato al Festival di Marsiglia nel 2002, ambientato in un paese dell’America latina, una storia ispirata a un proprio racconto contenuto nel volume Incontro d’amore in un Paese in guerra.
È un film diviso in due, metà tragedia, metà commedia e racconta di un dittatore riesce a giustificare in qualche modo la permanenza dei militari al potere, mettendo a tacere i suoi oppositori.
Questi vengono rinchiusi in una stazione ferroviaria, nota come Nowhere, (Nessun posto) un gruppo formato da un cuoco omosessuale, un professore disilluso, un operaio appassionato di bolero, uno studente patito per la boxe ed un barbiere amante del tango. Con l’aiuto di un avventuriero americano, un militante della resistenza e la sua compagna i prigionieri progettano un piano di fuga e la loro storia si intreccia a quella di chi vive quell’ingiustizia dall’esterno.
Così lo scrittore si affaccia sul mondo del cinema mettendo in scena la storia di cinque presunti dissidenti cileni tenuti prigionieri in un luogo quasi metafisico, protagonisti di una vicenda dolorosa ma che ha tutti i connotati di una favola, di un’allegoria calata in quel contesto di realismo magico che da sempre contraddistingue gran parte della letteratura latino-americana, dissolvendo i più sicuri riferimenti spazio-temporali.
Un dramma potente quindi, che sfrutta una realtà politica, che il mondo ha più volte vissuto, per offrire una delicata analisi dell’animo umano.
Nel 2003 esce il documentario Corazon Verde, premiato al Festival di Venezia, girato da Sepulveda per parlare della Patagonia e dei suoi abitanti, sui quali incombeva la minaccia di una fabbrica produttrice di scorie tossiche.
“Non è un film etnografico, e neppure imparziale, ma un roadmovie nel cuore della Patagonia, la zona più incontaminata del pianeta su cui incombe una minaccia ambientale”.
Nel documentario si parla di una grande multinazionale che produce alluminio (la seconda del mondo) che intende aprire in Patagona una fabbrica. Luis Sepùlveda e Diego Meza intervistano gli indigeni del posto sull’impossibilità di coniugare globalizzazione e la necessità di una vita decorosa; non fantasia e invenzione quindi, ma storie di vita vera, raccontate dai protagonisti per i protagonisti, sempre e comunque in difesa del pianeta e della natura.
Questo ci fa capire quanto nobile fossero l’animo e le intenzioni di quest’uomo dagli occhi scuri e i lineamenti da guerriero con un grande talento da affabulatore che lo rendeva prima ancora che un abile scrittore, un inguaribile cantastorie.
Non amava la cronaca puntigliosa, credeva che la letteratura fosse finzione e intrecciava i fili della narrativa per dare vita a personaggi picareschi e trame avventurose inzuppate di passioni e ideali. I suoi ovviamente, quelli per cui aveva lottato, viaggiato e infine scritto.
Dopotutto, come recita un passo de La gabbianella e il gatto
“…e se è tutto un sogno, che importa. Mi piace e voglio continuare a sognare”