Al momento in cui comincio questa recensione, Ad Vitam è al 1⁰ posto dei film più visti su Netflix, ma, la cosa potrebbe sorprendere i più sprovveduti, è davvero una pessima pellicola.
Ciò che affermo, attenzione, non è che la produzione francese diretta da Rodolphe Lauga sia terribile come user experience in sé (su Netflix si possono passare ore peggiori…), tuttavia dell’ora e 38 minuti su schermo i primi 59 potevano tranquillamente essere l’episodio pilota di una serie a tema GIGN, il corpo d’élite della gendarmeria galletta la cui sede operativa, ho scoperto, è nientepopodimeno che a Versailles.
Sì, suvvia, si poteva realizzare il classico sceneggiato senza troppe pretese, il Chicago Fire delle operazioni speciali parigine, per intenderci. E invece no, ne hanno fatto un film, quando di buone idee per un prodotto compatto, ahimè, non ne avevano alcuna.
Ad Vitam, un contesto che funziona
E il lettore o la lettrice con la polemica facile potrebbe obiettare: se non avevano buone idee per un film, figuriamoci per una serie.
Obiezione possibile, certo, ma in ogni caso il flashback di addestramento e di vita quotidiana nel corpo militare, senza essere trascendentale, era però in grado di suscitare un vago interesse.
I personaggi, a partire da Franck, il protagonista interpretato da Guillaume Canet (Patrick Dempsey quando lo ordini su Wish…) (allora non è Chigago Fire ma Grey’s Anatomy…), fino a Léo, nei cui panni si è calata Stéphane Caillard, avevano attorno un microcosmo di figure che creavano un contesto funzionale e piacevole da seguire, sebbene decisamente cliché.
E, senza fare spoiler, di per sé nemmeno i fatti dell’hotel facevano venire meno tutto ciò: il problema è tutto quello che, temporalmente, avviene dopo.
Una menzione speciale, però, la meritano le parecchie inquadrature ben riuscite di Parigi, comprese le immagini dall’alto della Cattedrale di Notre-Dame e della già citata Versailles.
Ad Vitam, tra cattivoni kitsch, inseguimenti noiosissimi e spiegoni anticipati
Sul motivo per cui il film s’intitola Ad Vitam glisserò, parlare di quell’omerale rovinerebbe il mistero del complotto.
Perché di complotto si tratta, dato che, e siamo nelle prime scene dell’opera, una banda di ignoti mette a soqquadro il nido d’amore di Franck e Léo, la quale dal marito aspetta un figlio, prima di tentare di uccidere lui e di prendere in ostaggio lei.
Ma, a dispetto del supposto professionismo di questi tizi, nei modi risultano soltanto degli esaltati da strapazzo, cattivoni kitsch con la bava alla bocca.
Sorvolando poi sull’insopportabile mezz’ora finale di inseguimenti, ma a chi è venuto in mente, al fatidico minuto 59, di svelare con uno spiegone di due minuti l’intera soluzione dell’enigma?
(Sì, insomma, è una Amerikanata in salsa franco-belga piuttosto non riuscita…).