Finalmente visibile in sala il film che narra la prigionia, lunga 12 anni, di Pepe Mujica
Nell’attesa del docufilm di Kusturica che, “triste per non aver avuto un tale presidente“, ha voluto comunque omaggiare il piccolo grande Pepe, ecco il primo dei due film presentati a Venezia sulla vita del Pepe.
Nel 1829 fu costruito, nella città dal nome altamente simbolico di Filadelfia, un carcere modello. Prevedeva celle individuali luminose e perfettamente attrezzate, dotate di servizi igienici efficienti e, poiché i criminologi si erano accorti che, stando in carcere, spesso si apprendevano nuovi crimini dai compagni più esperti, era previsto il più completo isolamento. Il Granducato di Toscana, uno stato lungimirante in fatto di delitti e pene, tant’è che il 30 novembre 1786, nel Palazzo Reale di Pisa, il Granduca Pietro Leopoldo rendeva la Toscana il primo paese al mondo ad abolire la tortura e la pena di morte, mandò alcuni osservatori per cercare di ripetere l’esperienza anche nel Granducato. Purtroppo, il tentativo, fatto in perfetta buona fede dai volenterosi cittadini della Pennsylvania, fallì miseramente: l’isolamento fu, per i prigionieri, un tormento peggiore delle più efferate torture, anzi era una tortura vera e propria.
Otre alle tradizionali torture, il totale isolamento e la proibizione di parlare è la pena alla quale furono condannati nove guerriglieri tupamaros, arrestati dal regime militare di Juan María Bordaberry, che guidò il colpo di stato nel 1973, stesso anno del Cile. Assistente del Presidente per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti era Henry Kissinger. Bordaberry sciolse il parlamento, represse le proteste con la violenza e mise fuori legge i partiti di sinistra.
Una notte di 12 anni racconta la storia di tre di questi nove prigionieri politici:
José “Pepe” Mujica, Mauricio “Ruso” Rosencof e Eleuterio “Ñato” Fernández Huidobro. Interpretati, rispettivamente, da Antonio de la Torre, Chino Darín e Alfonso Tort.
Ci si potrebbe aspettare che la figura principale del film sia il futuro presidente uruguaiano Pepe Mujica, ma non è così, perché il film è ispirato al romanzo di Mauricio Rosencroft Memoria del calabozo, 13 anni sottoterra pubblicato in Italia nel 2009 per i tipi di Iacobelli. Perciò, in primo piano ci sono i sentimenti e le sensazioni del Ruso e i suoi disperati tentativi di comunicare col Ñato, vicino di cella, mentre Mujica era tenuto ancor più isolato.
Forse perché a Venezia è stato presentato anche El Pepe una vida suprema di Kusturica, ho avuto subito la falsa impressione che el Ñato fosse Matko Destanov, ossia il protagonista di Gatto nero gatto bianco, Bajram Severdzan. Ovviamente non poteva essere lui però, effettivamente un po’ i due attori si somigliano.
Quello che salta subito agli occhi è che non è un film nordamericano, tanto è sobrio e rigoroso. Nessuna produzione hollywoodiana avrebbe resistito alla tentazione di sfruttare in maniera spettacolare una storia simile. Invece, come già abbiamo osservato di Sulla mia pelle, le scene di violenza, che pure ci sono, non diventano un facile espediente per spettacolarizzare il film. Ci si sofferma, invece, sull’atmosfera claustrofobica alla quale sono sottoposti i prigionieri, sul confine sempre più labile fra normalità e follia, dopo anni di una simile prigionia. E, soprattutto, quello che esce in maniera prepotente dal film sono la lealtà e l’incredibile coerenza con le proprie idee. Quello che fa dire al Ñato, prigioniero da anni e senza speranze di uscire vivo dal carcere, che non si reputa sconfitto perché le sue idee sono giuste.
Trattandosi di una storia vera, il lieto fine non risponde a un’esigenza di marketing; per fortuna è andata proprio così. Il buio è durato dodici anni, poi la democrazia è tornata in Uruguay e El Pepe è diventato presidente della Repubblica Uruguaiana e uno dei personaggi più amati e ammirati da tutte le persone decenti.
Ci siamo soffermati sul messaggio del film,
il che non significa che non abbia anche qualità artistiche e tecniche di grandissimo livello, per la recitazione, per la fotografia, per la regia. Un film che ricorda quelli degli anni ’70, in particolare i film di Costa Gavras, Missing, per ovvi motivi di ambientazione ma, soprattutto Z – L’orgia del potere.
Insomma merita cinque stelle sia per la storia che per il film in sé. Sempre cinque stelle sono, ma luminosissime.