1961. Un giovanissimo Bob Dylan, senza soldi e con la chitarra in spalla, decide di andare a trovare il suo idolo Woody Guthrie, leggenda del folk ricoverata in ospedale, per lasciarsi ispirare. Qui incontra Pete Seeger, un altro grande nome del folk che lo accoglie sotto la sua ala e lo aiuta ad entrare nella vibrante scena musicale newyorkese, intuendone il genio.
A Complete Unknown, un biopic apparentemente convenzionale
Il regista e sceneggiatore James Mangold sceglie di raccontare l’ingombrante figura del cantautore statunitense in modo più convenzionale rispetto all’elusivo Io non sono qui di Todd Haynes, tornando a dirigere un biopic musicale dopo il film su Johnny Cash del 2005, Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line, che ha fatto da modello a tanti film biografici usciti negli anni successivi. Basandosi sul libro di Elijah Wald Dylan Goes Electric!, Mangold cambia non pochi particolari e inventa di sana pianta per arrivare a una sintesi che restituisca la giusta enigmaticità al personaggio, in un film che sceglie di rimanere sempre a un passo di distanza dal proprio protagonista.
Come indica il titolo stesso della pellicola, Dylan entra nel film da “perfetto sconosciuto” e rimane tale, nonostante la fama conquistata. A Complete Unknown non ci dice nulla della famiglia e del passato di Dylan (lui racconta di aver lavorato in un circo itinerante) e il personaggio si muove all’interno della pellicola quasi come un essere proveniente da un altro pianeta, aspetto che pian piano farà emergere i problemi tra il protagonista e il personaggio di Sylvie Russo (Elle Fanning), l’interesse amoroso ispirato alla storica fidanzata di Dylan Suze Rotolo.
A Complete Unknown, gli attori e le tematiche del film
Timothée Chalamet è chiamato a un’interpretazione non facile, ma riesce a risultare all’altezza dell’incarico, trovando la giusta voce per l’imperscrutabile protagonista, particolare non da poco viste le tante canzoni presenti in A Complete Unknown. Per alcuni momenti musicali, Mangold prende anche in prestito gli stilemi del film-concerto, conferendo enfasi alle reazioni che i brani suscitano nei personaggi. Sono particolarmente riuscite le sequenze in cui è presente Joan Baez, interpretata da Monica Barbaro: una sorpresa, specialmente nelle parti cantate – anche perché, si può affermare senza paura di essere smentiti, è più complicato riprodurre la voce virtuosa della Baez piuttosto che quella da cantastorie di Dylan.
Trovandosi di fronte a così tanta musica folk e a certi ambienti, è difficile non pensare al film A proposito di Davis, un capolavoro dei fratelli Coen di cui si parla sempre troppo poco, ambientato peraltro nello stesso anno. Tuttavia, A Complete Unknown sfiora soltanto gli inizi di Dylan al Greenwich Village (in una scena compare il Gaslight café, il locale-simbolo del film dei Coen), e c’è un’altra differenza sostanziale: A proposito di Davis raccontava l’epopea di un eterno sconfitto, mentre il film di Mangold gira intorno a un protagonista che ha saputo raggiungere un pubblico vastissimo.
Ciò nonostante, non è il successo ad interessare Bob Dylan (anzi, molti aspetti del suo nuovo status lo infastidiscono): quello che il protagonista anela è l’assoluta libertà di esprimersi. Per Dylan, il solo modo per poter essere se stesso è essere qualcos’altro, mutare. Il cantautore non vuole restare ancorato a un unico stile o ai suoi vecchi successi, e sembra uscire dalla sua cortina di impassibilità soltanto quando deve lottare contro l’abitudine del pubblico e degli addetti ai lavori ad etichettare e “addomesticare” gli artisti.
Questa tendenza alla libertà è al centro di A Complete Unknown più di quanto non lo sia l’ascesa di Dylan verso la fama. Il tema va a braccetto con il rapporto tra il protagonista e Peter Seeger, incarnato da un ottimo Edward Norton. Seeger (almeno nella realtà del film) diventa una sorta di amorevole padre putativo per Dylan, accogliendolo nella famiglia del folk newyorkese, e Dylan lo ripaga portando al successo il genere a livello nazionale. Qualcosa sembra però incrinarsi quando Bob, da sempre appassionato anche ad altri generi come il rock and roll, si guarda intorno e cerca di assimilare nelle sue nuove produzioni i suoni elettrici che da qualche anno infiammavano i giovani.
“The Times They’are a-Changing” canta Dylan in uno dei momenti più riusciti di A Complete Unknown: i tempi stanno cambiando, e chi non è disposto ad accogliere il nuovo e a dare una mano, è meglio che si faccia da parte. Nello scontro di vedute tra Dylan e Seeger, la sceneggiatura evidenzia il conflitto generazionale tra i due, ma fa anche comprendere ottimamente entrambi i punti di vista. La libertà cercata dal Dylan di Chalamet è possibile solo attraverso l’emancipazione dai suoi padri del folk, da cui si distacca sfrecciando a tutta velocità verso nuove strade – senza però dimenticare di onorare e rendere omaggio alle sue radici, come dimostra l’incontro che chiude la storia.
A Complete Unknown, un trattato sull’arte?
Attraverso l’origin story di Dylan, Mangold racconta un importante periodo della moderna Storia americana, portando sullo schermo eventi come la crisi missilistica di Cuba o l’assassinio di JFK. Appare chiaro in quale contesto si muovono i personaggi della storia, e come i testi di Dylan risultassero dirompenti e assolutamente in linea con lo zeitgeist socio-culturale e politico del tempo. Tuttavia la lotta di Dylan contro “i poteri forti” è un tema che il film affronta solo in superficie, al di fuori della sua ribellione verso l’establishment del folk.
Nel corso della conferenza stampa a Roma, Mangold ha sottolineato come oggi l’arte tenda a compiacere il pubblico, che chiede di essere “anestetizzato”, mentre autori come Dylan mettevano alla prova e facevano scattare riflessioni negli ascoltatori. Gli effetti dell’efficacissima scrittura di Dylan non sono così evidenziati da A Complete Unknown, che sceglie di lasciare solo sullo sfondo le implicazioni politiche e d’attivismo intrinseche nella produzione del cantautore, pur ponendo l’accento su quella potenza creativa che a volte sembra un miraggio nell’industria musicale odierna.
Come altre pellicole di Mangold (si pensi a Cop Land o a Le Mans ’66 – La grande sfida) A complete unknown risulta essere un film solido, con una confezione sopra la media – ad esempio, l’ottima fotografia valorizza l’ambientazione e il periodo storico – ma manca forse quel guizzo che il regista di Logan ha trovato solo a fasi alterne nel corso della sua carriera, nonostante A Complete Unknown possa contare su alcuni momenti di grande impatto. Grazie alle buone interpretazioni e alle sequenze musicali coinvolgenti, questo biopic potrebbe c’entrare il non facile obiettivo di soddisfare i fan di Dylan e, cosa ancora più importante, farà venire voglia alle nuove generazioni di approfondire l’opera di un artista ancora estremamente attuale.