“Volevo che il film fosse un poema sinfonico di questo tempo, nella vita di questo giovane. Questo titolo riflette la sua consapevolezza, il suo bisogno di andare da qualche parte, anche se non sa esattamente dove.” (Sofia Coppola)
Prodotto dall’ American Zoetrope di proprietà della famiglia (detenuta al 50% dai due figli di Francis Ford Coppola, Sofia e Roman), Somewhere è il quarto film da regista di Sofia Coppola, che decide di presentarlo alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2010. Nel film sono presenti numerosi attori e personaggi televisivi italiani, poichè la storia si svolge tra Los Angeles e Milano e la ragione della scelta di presentare il film in Laguna – spacciato addirittura, prima della proiezione, come esordio hollywoodiano di Simona Ventura e Valeria Marini(!) – è probabilmente questa.
Somewhere (2010)
La star del cinema Johnny Marco (Stephen Dorff) vive in un appartamento dell’hotel Chateau Marmont, celebre ritrovo di attori, starlet e modelle di Los Angeles. Tra spettacoli erotici di dubbia eleganza e avventure amorose occasionali e insoddisfacenti, trascorre le giornate in un’atarassìa indifferente che galleggia in un vortice ovattato e autodistruttivo. I suoi unici impegni sono scanditi dalla sua agente, che programma le sue giornate tra tour promozionali e spot pubblicitari, tappe obbligate di una professione votata all’apparenza. L’inaspettata permanenza della figlia Cleo (Elle Fanning) impone un cambiamento nel ritmo quotidiano:videogiochi, nuotate, esposizioni al sole e un’incursione alla serata dei Telegatti italiani a Milano riempiono le giornate di padre e figlia, che si riscoprono a vicenda, a poco a poco. Finalmente la vita sembra avere un senso,ma l’equilibrio dura fino alla partenza di Cleo per il campeggio. Johnny è di nuovo solo e si trova di fronte a un bivio: tornare a vegetare nell’infelicità o prendere in mano la sua vita?
Somewhere si apre con un’inquadratura fissa di Johnny che, sulla sua Ferrari, gira in tondo, a velocità folle, su una pista ovale deserta. Il protagonista ad un certo punto si ferma e scende dall’auto, guardandosi intorno come in cerca di una via d’uscita da quel circuito chiuso. Sta quasi tutta qui l’essenza del film,il quale, più che dagli scarni dialoghi, è definito dai silenzi, come il più riuscito Lost in Translation. Il richiamo autobiografico è qui evidente, come si evince dalla scelta di girare nell’hotel Chateau Marmont, frequentato per lunghi periodi da Francis Coppola in passato, con prole al seguito. Nell’intervista di presentazione concessa a Venezia, la regista arriva a definire l’albergo come il terzo personaggio principale del film e se ne comprende il motivo: si tratta di un “non luogo” dal quale la dodicenne Cleo (alter ego della piccola Sofia) salva il padre, il quale non viene giudicato ma osservato con partecipazione e un pizzico di filiale compassione. In una delle scene più commoventi del film Johnny le chiede scusa della sua assenza, mentre Cleo sta partendo per il campo estivo, ma la sua voce si perde, coperta dal rombo delle pale dell’elicottero che lo riporta nella sua prigione hollywoodiana.
Le somiglianze stilistiche con Lost in Translation (i lunghi piani sequenza, le inquadrature fisse alternate a zoomate che inseguono i personaggi e i silenzi) furono i principali punti a sfavore di Somewhere, accolto con scarso entusiasmo a Venezia, dove la giuria presieduta da Quentin Tarantino gli conferì a sorpresa un contestatissimo Leone d’Oro. Dalla platea si alzarono fischi impietosi, in parte dovuti a un’edizione del premio particolarmente avara di riconoscimenti per l’Italia e in parte all’immagine impietosa e kitsch della TV italiana presentata nel film, che avrà urtato più di un critico nostrano. L’accusa di auto-plagio e il rapporto di Sofia Coppola col presidente di giuria Tarantino, col quale era stata fidanzata, non devono però nuocere ad una pellicola profondamente personale, resa con un talento delicato e quasi alieno, espresso nella sottrazione più che nell’eccesso. Somewhere emoziona con garbo e freschezza presenti in ogni dettaglio, dalla fotografia di Harris Savides all’appropriata colonna sonora curata dai Phoenix (Il front-man del gruppo è l’attuale marito della Coppola, che gli ha dato due figlie). Elle Fanning ruba la scena al pur bravo Stephen Dorff, conquistando il pubblico con la sua spontanea vitalità: soffrirai anche tu per la sua assenza dallo schermo nel finale, garantito.
Voto 6,5 su 10.