Girato in una Basilicata da sogno, ispirato molto liberamente ai Tre moschettieri e Vent’anni dopo, di Dumas padre. Un film che s’inserisce in pieno fra i titoli della commedia all’italiana
Devo ammettere che molto raramente vado al cinema a vedere le commedie. Se poi sono italiane è ancora più difficile. E questo perché ormai, per me, commedia italiana è sinonimo di cinepanettone. Moschettieri del re, invece, mi aveva incuriosita e dal trailer non sembrava male. A questo si aggiungeva la presenza di un cast eccezionale, da Favino a Rubini. Anche se, diciamoci la verità, sono andata a vedere Moschettieri del re solo perché c’era Rocco Papaleo; ebbene, è stata una gradevolissima sorpresa. Per ricordare quando ho riso tanto devo scomodare Peter Sellers, i fratelli Marx o Jerry Lewis.
Intanto i personaggi
Anna d’Austria è Margherita Buy, che per difendere di nuovo la Francia dalle mire del crudele cardinale Mazzarino, interpretato da Alessandro Haber, richiama i moschettieri, ormai ultracinquantenni. D’Artagnan è interpretato da Pierfrancesco Favino, che è l’unico a parlare con accento francese alla commissario capo Clouseau. D’Artagnan è diventato porcaro e perfino i cavalli scappano per via del puzzo che si porta addosso. Athos è Rocco Papaleo, che parla in lucano, e vive nel castello avito, tormentato dalla lussuria, dalla sifilide e dagli acciacchi. Aramis è Sergio Rubini, che parla in pugliese ed è stato costretto a rifugiarsi in un convento e farsi abate per sfuggire ai debiti. Porthos è Valerio Mastandrea che parla, ovviamente, romanesco, ed è diventato dipendente dall’alcol e dall’oppio; è dimagrito più di trenta chili e, quindi, non ha più la prestanza e la forza di una volta.
Il cardinale Mazzarino sta conducendo una feroce campagna di sterminio degli ugonotti che fuggono verso il nemico di sempre, l’Inghilterra. Anna si rivolge ai moschettieri, dapprima, per fermare lo sterminio, poi per salvare il futuro Re Sole, quando Mazzarino farà rapire il giovane Luigi XIV, del quale Anna è madre e reggente. Rinfrancati dal nuovo compito i moschettieri ringiovaniscono nello spirito, ma il corpo rimane quel che è.
Veronesi dirige in maniera leggera
e si sente libero di citare quanti più film possibile. Per esempio, quando ai moschettieri vengono forniti i cavalli, un servo muto fedelissimo e alcuni nuovi ritrovati della scienza, sembra una delle scene di 007 quando a James Bond vengono forniti dai servizi segreti i mezzi all’avanguardia che gli serviranno nelle sue missioni impossibili.
Le scene nelle quali si cita Brancaleone sono parecchie, ne scegliamo una, quella della morte del fedele servo (o Sergio, come dice D’Artagnan) muto che rievoca la morte di Abacucco.
Come in Brancaleone e come abbiamo già accennato, ci sono molti dialettalismi, che normalmente sono, assieme alla volgarità gratuita, uno dei marchi di fabbrica della commedia all’italiana più becera, ma Veronesi s’ispira a quella sublime di Monicelli e Dino Risi e riesce nell’intento di essere divertente, ma non volgare.
I quattro interpreti principali sono perfettamente a loro agio, sembra che si divertano un sacco e ognuno recita nella maniera che gli è più congegnale, Favino con esuberanza, Mastandrea per sottrazione. La sceneggiatura non è saldissima, ma la bravura degli interpreti e i dialoghi spassosi lo rendono un film decisamente godibile. Ci sono scene che rimarranno epiche, come l’entrata dei moschettieri a palazzo, a passo di danza e sulle note di Prisencolinensinailciusol di Celentano.
Non è Brancaleone, ma quasi. Quattro stelle le merita tutte, anche perché fa ben sperare in una rinascita della commedia italiana.