“Ogni parola uscita dalla bocca di Calvin Candie era una merda, ma aveva ragione su una cosa… io sono quel negro su 10.000”.
Una delle passioni che lega Tarantino all’ Italia è quella per lo spaghetti western. Un genere che ha portato fortuna al nostro paese, basti pensare a quelli girati da Sergio Leone (Il buono il brutto e il cattivo, C’era una volta il West). In un’intervista rilasciata nel 2007 il regista accenna all’idea di girare un western, all’ interno del quale vorrebbe integrare un tema scabroso, una delle più grandi vergogne che il popolo americano abbia conosciuto e seppellito sotto il tappeto dell’oblio: la schiavitù, diffusa soprattutto nel profondo sud, in stati come il Mississippi e l’Alabama. Un argomento del genere è sempre stato considerato scottante e mentre sono stati molti i film girati per esaltare la lotta alla schiavitù di Abramo Lincoln, raramente sono state affrontate le implicazioni legate alla tratta di esseri umani al cinema, se escludiamo il coraggioso Amistad di Steven Spielberg. Tarantino si ritiene la persona adatta per affrontare questa sfida, affermazione che non gli risparmierà le critiche dell’ estabilishment black americano, in primis da parte di Spike Lee, che si rifiuterà di vedere il film, giudicandolo irrispettoso a prescindere. La scelta del titolo è un omaggio al western all’ italiana di Sergio Corbucci, Django del 1966, interpretato da Franco Nero, che accetta un cameo nella pellicola: al bancone di un saloon, un avventore chiede al protagonista:”Come ti chiami, giovane?” e Jamie Foxx gli risponde: “Django, la d è muta.” E l’altro che è proprio Franco Nero ribatte, sorridendo beffardo: “Lo so“.
Django Unchained (2012)
Il Dottor King Schultz (Christoph Waltz), anziano cacciatore di taglie, è sulle tracce degli assassini fratelli Brittle, commercianti di schiavi e solo l’aiuto di Django (Jamie Foxx) lo porterà a riscuotere la taglia che pende sulle loro teste. Il poco ortodosso Schultz assolda Django con la promessa di donargli la libertà una volta catturati i Brittle – vivi o morti.Il successo dell’operazione induce Schultz a liberare Django, ma i due non si separano: il Dottore, affascinato dalla sua storia, che gli richiama alla mente la leggenda tedesca di Sigfrido, propone all’ ex schiavo un accordo: se lo aiuterà a riscuotere le taglie sui più pericolosi criminali del profondo Sud durante l’inverno, Schultz scoprirà dove si trova Broomhilda (Kerry Washington), la moglie di Django, venduta anche lei come schiava appena arrivata negli Stati Uniti e lo aiuterà a liberarla, col denaro o con la forza, se necessario. Il nostro eroe accetta e nei mesi successivi affina le sue doti di pistolero e cacciatore di taglie sotto la guida del suo mentore. Giunta la primavera, i due scoprono che Broomhilda è stata comprata dal malvagio e dissoluto proprietario terriero Calvin Candie (Leonardo di Caprio). Costui gestisce un giro di scommesse nel business dei combattimenti fra mandinghi (così chiama gli schiavi che combattono per lui). I due riescono ad incontrare Candie e, fingendosi interessati al suo commercio, vengono invitati nella sua residenza di campagna, dove ritrovano Broomhilda. Non hanno però fatto i conti con il sospettoso maggiordomo di Candie, Stephen (Samuel L. Jackson), che li tiene d’occhio: riusciranno comunque nel loro intento?
Meno lineare rispetto al film precedente, Tarantino qui si diverte a sfidare lo spettatore a riconoscere i film cui si è ispirato, a partire dalla colonna sonora, che apre e chiude il film: è quella originale di Luis Bacalov per il Django di Corbucci, sui titoli di testa, e di Franco Micalizzi per Lo chiamavano Trinità…, su quelli di coda, o dal dialogo con Franco Nero sull’esatta pronuncia di «Django» o ancora dal finale in cui Stephen sta per dare a Django del figlio di putt…opportunamente interrotto dalla musica scritta da Ennio Morricone per “Il Buono il brutto e il cattivo”. Grande merito del successo va riconosciuto anche al casting, che ha scelto la strana coppia formata da Cristoph Waltz (alla seconda tripletta Golden Globe-BAFTA-Oscar consecutiva come attore non protagonista) e Jamie Foxx. In particolare il personaggio del Dottor King Schulz è talmente irreale, affettato nei modi ma spiccio con le armi, da assurgere a figura leggendaria della cinematografia moderna. Così come lo schiavo nero Django, cui Tarantino regala una coscienza di sé e del suo «ruolo sociale» che sarebbe piuttosto ardua da spiegare dal punto di vista antropologico e storico (il film è ambientato nel 1858, tre anni prima della Guerra di secessione).
La lunga durata (165 minuti) non nuoce ad una storia che scorre veloce, violenta sì ma senza esagerazioni e venata d’ironia, senza annoiare mai. Tarantino si conferma, dopo la bella prova di Bastardi senza gloria, regista e sceneggiatore di talento (premiato con Golden Globe, BAFTA Award e Oscar al miglior copione originale), con un gusto tutto particolare per la citazione. Il film si rivela il suo maggior successo commerciale, sbancando il botteghino e superando agevolmente il muro dei 100 milioni di dollari negli USA e dei 426 milioni nel mondo. Voto 7,5 su 10.