La colonna sonora di Westworld: le cover al servizio della finzione
Finora abbiamo parlato di diversi tipi di colonne sonore, ma è davvero raro trovarne composte in buona parte da cover. È questo il caso di Westworld, una serie basata sull’omonimo film (Il mondo dei robot in italiano) del 1973. Con una media di ascolti di circa 12 milioni di spettatori su tutte le piattaforme che l’hanno distribuita, la prima stagione è in assoluto la stagione esordiente più vista nella storia della HBO (Game of thrones ottenne una media di 3.3 milioni di spettatori e The walking dead poco più di 5 milioni). Si tratta della storia di un parco divertimenti popolato da androidi, ideato per consentire a facoltosi visitatori delle esperienze uniche a tema western. Ogni azione in Westworld è possibile, senza alcuna ripercussione morale e legale. Per rendere gli androidi sempre più simili agli umani, il dottor Ford (un accattivante Anthony Hopkins) aggiorna continuamente la loro memoria, ma il cortocircuito tra input umani e comandi impostati, rende presto gli androidi instabili e pronti alla ribellione.
Una storia avvincente e con delle tematiche di un certo spessore, una messa in scena accattivante, dei dialoghi pressoché perfetti e un cast assolutamente ispirato. Ma al successo della serie ha contribuito molto anche la colonna sonora firmata da Ramin Djawadi (autore anche delle musiche de Il trono di spade e Person of interest). A colpire sono soprattutto le cover, perché calzanti ed evocative certo, ma soprattutto per il loro significato concettuale.
Come spiega lo stesso Djawadi
“Lo show ha un’atmosfera anacronistica: è un parco tematico western; tuttavia ci sono dei robot, quindi perché non avere canzoni moderne? Ed è se stessa una metafora, inserita nella tematica generale dello show”
La musica produce empatia, emozione, coinvolgimento; le vibrazioni toccano le più profonde corde della nostra anima…
“Utilizzare brani così conosciuti e storicamente ben situabili mi aiuta a sottolineare l’idea di come tutto, all’interno del parco, sia stato deciso a tavolino e di come il “vecchio West” sia solo uno sfondo, un’illusione che non cancella la realtà contemporanea”.
Voglio porre l’attenzione su tre brani in particolare che mi hanno fatto letteralmente innamorare.
Oltre un’irriconoscibile A forest dei Cure e No surprise dei Radiohead, la miglior rappresentante delle canzoni del saloon è Back to black di Amy Winehouse. L’arrangiamento per forza di cose essenziale, mette ancor più in risalto la grandezza di questo brano. Nonostante il solo pianoforte ed il perfetto stile saloon, restano intatte la struggente malinconia e la profonda tristezza di questo capolavoro.
Un altro brano da non perdere è senza dubbio House of the rising sun. Tutto ci si aspetterebbe da un gruppo rock britannico degli anni ‘60, tranne una canzone che sembra fatta apposta per un western. Forse, ascoltandolo bene, il pezzo originale degli Animals ha un non so che di vagamente country, ma questo arrangiamento solo piano ha qualcosa di magico: sposta letteralmente indietro la data di nascita di questo brano.
Dulcis in fundo, se le trasposizioni western delle prime due canzoni vi sono sembrate incredibili, chiudete gli occhi ed ascoltate questo brano dimenticando che si tratta di Paint it black dei Rolling stones. Questa traccia si collega perfettamente alla scena in cui viene riprodotta, anzi la esalta e ne amplia gli orizzonti. Siamo nel primo episodio, volto a farci capire subito il nocciolo della questione, e c’è un duello. Sembra un tema scritto per un classico di Sergio Leone. Si inizia con le atmosfere cupe e cariche di paura e tensione di un duello durante un mezzogiorno di fuoco. Poi sembra di assistere ad un vero cambio di scena e l’immaginazione va su un inseguimento a cavallo attraverso canyon polverosi o vaste praterie. C’è adrenalina, ritmo, passione.
Westworld offre una riflessione generale sul mondo della fantascienza e su come il mondo del vizio e del desiderio ci domini in moltissime decisioni che prendiamo. L’attrazione diventa emblema del nostro lato oscuro, che ci domina, poi però diventa ridondante ed infine ci abbandona, uccidendoci.