Le prime tre puntate della seconda e ultima stagione di Andor usciranno su Disney+ il 23 aprile, e segneranno il ritorno sullo schermo di una delle serie più apprezzate degli ultimi anni. Partita in sordina, con ascolti non esattamente eccezionali, nel 2022 lo show ha conquistato gradualmente i suoi spettatori ed è stata acclamata dalla critica, fino a raggiungere un pubblico più ampio – ma non abbastanza, perché la serie di Tony Gilroy meriterebbe ancora più attenzione.
Le origini della serie
Nel 2018 vennero annunciati diversi progetti messi in cantiere dalla Lucasfilm per rimpolpare il catalogo di Disney+ con serie originali. L’annuncio di Andor generò perplessità: Rogue One – A Star Wars Story era stato molto apprezzato dai fan, ma quanto poteva risultare interessante un prequel su uno di quei personaggi? Lo sviluppo della serie iniziò sottotraccia e, come tanti altri progetti annunciati nel corso degli anni, Andor correva il rischio di non vedere mai la luce.
La presidente della Lucasfilm, Kathleen Kennedy, contattò Tony Gilroy per avere un parere su quanto ideato fino a quel momento dallo sceneggiatore incaricato Jared Bush. Gilroy era già intervenuto, come un ideale Mr. Wolf, su Rogue One: il film di Gareth Edwards presentava immagini evocative ma risultava piuttosto caotico sul versante narrativo. Lo sceneggiatore della saga di Bourne riscrisse varie parti dello script e supervisionò le riprese aggiuntive, “salvando” la pellicola dal caos produttivo.

Il parere di Gilroy sull’approccio scelto per la serie fu negativo, e in una conversazione informale spiegò alla Kennedy quali cambiamenti avrebbe apportato per far funzionare le cose. La presidente, convinta dalle spiegazioni di Gilroy e forte del fresco successo mondiale di The Mandalorian, propose allora al regista di Michael Clayton di diventare lo showrunner della serie, supportandolo in qualsiasi decisione e concedendogli una prima stagione da ben dodici episodi.
Il piano originale di Gilroy per la storia avrebbe previsto ben cinque stagioni, richiedendo tuttavia troppo tempo e impegno da parte del team dietro alla serie. La Lucasfilm decise comunque di rinnovare formalmente lo show prima ancora della messa in onda della prima stagione, concedendo a Gilroy ulteriori dodici episodi conclusivi.
I punti forti di Andor
A dispetto del nome, la storia di Andor non è incentrata completamente sull’omonimo protagonista interpretato da Diego Luna. La serie si pone l’obiettivo di raccontare ciò che nei film della Saga non vediamo: le persone comuni, coloro i cui sacrifici rendono possibile l’intervento degli eroi più celebrati. Andor è prima di tutto una serie sulla Ribellione e sulla lotta a un sistema oppressivo e totalitario.

Lo show indaga lo scoppio delle varie scintille che porteranno alla prima vittoria contro gli imperiali. Anche all’Impero stesso è tuttavia concesso grande spazio, attraverso un approfondimento sulle vite e le carriere di funzionari arrivisti, burocrati e ruote di quell’ingranaggio che è la banalità del male. Andor rende ancora più spaventoso l’Impero, perché lo umanizza e gli concede tridimensionalità.
La coralità della storia si lega al tema dell’individualità che viene messa da parte in favore del collettivo, tematica che d’altro canto era già presente in Rogue One. La Galassia di Star Wars viene proposta agli spettatori in modo più maturo e complesso, ancor più di quanto non venisse fatto nello spin-off del 2016. Gilroy, appassionato di Storia, ha dichiarato di essersi ispirato alle azioni di un giovane Stalin nella scrittura di uno degli archi narrativi della prima stagione.
È una boccata d’aria fresca assistere a qualcosa che si basa su riferimenti di questo tipo, visto che altri show di Star Wars spesso si adagiano su camei e riferimenti, o si accontentato di rielaborare quegli stessi generi a cui già Lucas si era ispirato per creare il primo film nel 1977.

La serie può contare su un ottimo cast così come su una messa in scena convincente, grazie a registi d’esperienza e al mix composto da set molto curati e riprese in esterna. Il vero segreto di Andor risiede tuttavia nella scrittura. Gilroy e gli altri sceneggiatori hanno infatti saputo creare personaggi interessanti e appassionanti intrighi degni di uno spy thriller, allargando l’universo di Star Wars e approfondendone le zone grigie. Tra i momenti più memorabili della prima stagione ci sono due o tre monologhi che sono diventati immediatamente iconici. È emblematica la scena in cui Luthen Rael (uno dei personaggi migliori, interpretato da Stellan Skarsgård) spiega cosa significhi per lui lavorare dietro le quinte della Ribellione e sacrificarsi per essa.
Nonostante non dimentichi di essere coerente con il canone, Andor è una serie che cerca di riportare Star Wars a un livello realistico e “terreno” (a volte anche troppo: non ci sono abbastanza facce aliene), facendosi portavoce di un messaggio universale: bisogna lottare per i propri ideali e non arrendersi a un sistema crudele e fascista. Per costruire questo messaggio, anche attraverso la crescita e la radicalizzazione del protagonista, lo show si prende i suoi tempi. Lo dimostra la totale esclusione dai primi dodici episodi del personaggio di K2, il fedele droide di Cassian in Rogue One, che nelle versioni della serie pre-Gilroy sarebbe invece comparso sin dall’inizio.

Andor e le altre serie di Star Wars
Andor riesce ad affrontare le proprie tematiche in maniera complessa, mettendo alla prova gli spettatori, e lo fa ponendosi sullo stesso piano dei prestige drama di altri servizi streaming o di TV a pagamento come HBO. La durata degli episodi, così come l’ingente sforzo produttivo e l’ambizione dietro al progetto porta Andor ad essere un’ottima serie che funziona autonomamente, a prescindere dalla sua appartenenza al franchise di Star Wars. The Mandalorian (specialmente fino alla seconda stagione) è senz’altro una serie riuscita, ma lo è soprattutto in relazione al proprio universo narrativo.
Favreau e Filoni sono come due bambini che si danno alla pazza gioia fantasticando con i loro giocattoli preferiti, e questo modus operandi li porta a creare momenti eccitanti per i fan della Saga, ma anche a semplificazioni eccessive narrativamente parlando, laddove sarebbe necessaria maggiore sofisticazione. Gilroy, per sua stessa ammissione, prima di lavorare a Rogue One non si era mai considerato un fan di Star Wars. Questo suo distacco lo ha probabilmente aiutato a portare un punto di vista fresco e dirompente all’interno della Saga.

Le serie di Favreau e Filoni si pongono inoltre nel solco degli insegnamenti di George Lucas, che definiva la sua stessa creatura “un film per dodicenni”. In realtà Star Wars, con l’avvento dello streaming e la moltiplicazioni di progetti in casa Disney, può essere quello ma anche molto altro. Al momento regna il caos e l’incertezza nella Lucasfilm, ma la speranza è che Andor funga da esempio per i prossimi prodotti in lavorazione.
Ciò non significa che da ora in poi ogni storia del franchise debba avere toni adulti: Andor deve essere da esempio nel fare bene le cose e nel raggiungere gli obiettivi prefissati – cosa che non possiamo dire di tutte le serie di Star Wars uscite fino ad ora. Skeleton Crew è sembrato un timido primo passo nella giusta direzione, anche se è una serie orientata principalmente ai bambini e dalle ambizioni minori.
Gli episodi della seconda stagione di Andor saranno distribuiti su Disney+ in modo inedito: usciranno tre puntate alla volta. Ogni blocco rappresenterà un arco narrativo, ed ogni arco sarà ambientato a un anno di distanza dal precedente, fino ad arrivare ai momenti che precedono di poco gli eventi raccontati in Rogue One. Una struttura narrativa di questo tipo è qualcosa di probabilmente mai visto che comporta evidenti rischi, ma rende ancora più potenzialmente eccitanti i nuovi episodi. Se il team dietro allo show riuscirà quantomeno a ripetersi con la seconda stagione, il dittico composto da Andor e Rogue One diventerebbe nettamente il progetto di Star Wars più riuscito sotto la gestione Disney. Augurandoci di vedere altri Andor il prima possibile.