Una notte a New York ha un pretesto narrativo che più classico non si potrebbe: l’incontro tra due perfetti sconosciuti, e con esso le tanto banali quanto casuali circostanze che creano l’occasione per un profondo scambio e confronto umano. Un archetipo tutt’altro che esclusivamente cinematografico che ha dato lo spunto a centinaia di pellicole dalle differenti intenzioni ed esiti.
La sceneggiatrice Christy Hall, qui alla scrittura e all’esordio in cabina di regia, sceglie di declinare tale modello narrativo universale ragionando per sostanza e sottrazione, riducendo al minimo indispensabile i pretesi narrativi di riempimento e lasciando che la narrazione fluisca in un modo naturale. E lo fa in maniera sorprendente.
Una notte a New York: le convergenze della Grande Mela
Una trentenne senza nome è appena atterrata al JFK di New York di ritorno da due settimane di vacanze nel natio Oklahoma. Il tragitto sul taxi che la riporterà a casa a Midtown Manhattan sarà l’occasione per uno scambio a due tra lei e l’autista che, da inevitabili small talks tra sconosciuti, si trasformerà presto in un vero confronto sule più spinose questioni personali di entrambi.
Due ottimi interpreti forti di un’indiscutibile chimica, una scrittura non particolarmente ricercata ma essenziale, solida e molto ben costruita nel suo svolgimento e in un costante ed equilibrato crescendo. Una cornice narrativa, l’interno di un taxi, costruita per trasformare gli spazi ristretti in un’inattesa e magica comfort zone, l’eccessiva vicinanza in un invito alla confidenza, gli spesso imbarazzanti silenzi di due sconosciuti costretti a condividere uno spazio esiguo in inviti allo scambio.
La Grande Mela di Una notte a New York è quasi solo un’idea, uno sfondo mobile e perlopiù sfocato che fa da cornice universale al microcosmo a tempo creatosi all’interno dell’abitacolo del taxi guidato da Clark. E’ piuttosto lo stesso Clark, nella sua squisita essenza working class newyorchese, a portare la città all’interno dello scambio tra i due protagonisti, con la sua esperienza e le sue esperienze, i dolori presenti e passati che emergono senza strappi, con naturalezza e costanza, in uno scambio empatico più equilibrato di quanto lui sospetterebbe all’inizio, così portato com’è ad offrire un orecchio e un po’ di conforto a qualsiasi cliente sia ben disposto a fare due chiacchiere senza impegno o coinvolgimento.
A volte, invece, questa infinita sequela di micro-relazioni estemporanee e in qualche modo forzate diventa una parentesi alchemica tra due anime che, pur concentrate su tutt’altre, impellenti necessità, nella magia della convergenza possono trovare quantomeno un parziale sollievo, un’occhio esterno e disinteressato ai propri tormenti, forse un implicito accenno di direzione.
Una notte a New York: animali di città e di cinema
Un gioco a due dove Sean Penn è delizioso nella parte, così abile nel saper unire una certa qual sfrontatezza nell’approccio alle altrui questioni ad una sensibilità che, appena stuzzicata, emerge con naturalezza dalla dura scorza di animale di città. Un cinema inevitabilmente costruito su primi piani e campi strettissimi, che sia lui che la ben meno esperta Dakota Johnson (The Social Network, 50 sfumature di grigio), valorizzano in modo pieno ed efficacissimo.
La sua controparte filmica senza nome è una giovane e brillante donna tormentata da conflitti di difficile e non immediata soluzione: un ruolo tutt’altro che banale, soprattutto quando la misura e il gusto per il particolare sono gli strumenti con cui si è deciso di raccontarli. Una sorprendente rassomiglianza con una giovane Sharon Stone a parte, Dakota Johnson riesce finalmente a trovare uno spazio, impegnativo e stimolante, dove mettere a frutto un talento attoriale che le sue precedenti apparizioni non erano quasi mai riuscite a valorizzare.
Una pellicola, Una notte a New York, di volti e dei conflitti che quei due volti raccontano in maniera estremamente efficace. Quella di Christy Hall è un cinema capace di trasformare l’universale in intimo: un cinema fatto di piccoli, preziosi momenti, cui nella sua struttura e conclusione non interessa offrire risposte o soluzioni quanto piuttosto raccontare storie che sono schegge di comune, condivisibile e sofferente umanità.