Alla fine la vita è una metafora del wrestling. Qualcuno potrebbe obiettare che sia il contrario, che sia il wrestling a essere metafora della vita. Ma non sarò io quel qualcuno, non oggi perlomeno.
Buongiorno caro lettore o cara lettrice di icrewplay.com, mi chiamo John Cena (per intenderci, sono quello che sbeffeggia gli avversari sul ring con l’iconico you can’t see me…) e oggi voglio parlarti di Jackpot!, il film disponibile dal 15 agosto su Prime Video di cui sono produttore esecutivo nonchè attore coprotagonista.
(E se te lo stai chiedendo, sì, sono anche quello che ha recitato in Barbie e che si è presentato con il birillo al vento agli Oscar 2024).
(Sono così versatile, io).
Cercherò di proporti una recensione sincera e un po’ burlesca, in linea con il carattere di Noel Cassidy, il personaggio che interpreto nell’action comedy, ma ti avverto che ho promesso (giurin giurello) sia a Prime Video che alla WWE di non lasciarmi sfuggire il benché minimo spoiler sulla pellicola, e io, che sia John oppure Noel, mantengo sempre la parola data.
Insomma, allaccia le cinture e tieniti forte. Si parte per la bizzarra e assurda Los Angeles del 2030.
Jackpot!, il contesto della storia
L’atmosfera che il regista Paul Feig ha deciso di dare a Jackpot! la definerei sintetizzabile in un mix tra La Notte del Giudizio, Squid Game, Wrestlermania, GTA San Andreas e American Pie.
A proposito dell’ultimo franchise citato, Jackpot! si apre proprio con un cameo di Sean William Scott (già interprete all’epoca dell’improbabile Steve Stifler), il quale non farà esattemente una fine gloriosa, venendo infatti freddato da una “innocua” vecchietta la quale incassarà così il jackpot della California Grand Lottery.
Il tutto con tanto di “Squadra SWAT” a verificare la morte del bersaglio e con il presentatore dello show connesso alla lotteria, Johnny Grand (era l’intrattenitore Murray Hill a interpretare Johnny Grand o è Johnny Grand a esperire l’esistenza di Murray Hill nella realtà?), a consegnarle l’assegno in diretta social e a congratularsi con lei per il bottino.
Già, hai capito bene. Ti assicuro che quella vecchietta pareva davvero un pezzo di pane. Avrebbe tratto in inganno pure me.
(Dai, questo non è uno spoiler, cara Prime Video e cara WWE).
Ma permettimi di introdurti meglio il contesto di questa Los Angeles del 2030, capisco tu possa essere un po’ in confusione.
A causa della Grande Depressione del 2026 l’inflazione è schizzata alle stelle e la disoccupazione ha raggiunto livelli record, ma, “in compenso”, il mercato azionario frutta dollaroni a volontà, creando ogni settimana nuovi miliardari e acuendo in modo parossistico le differenze socio-economiche all’interno del paese, evidenziate, peraltro, dall’esposizione continua sui social network delle vite delle persone.
È in questa situazione che nasce l’idea della California Grand Lottery.
Il possessore del biglietto vincente, se resiste fino al tramonto, diventerà finalmente ricco come un Machine Gun Kelly qualsiasi (il rapper, tra l’altro, in un attacco di mitomania, è riuscito nell’impresa di interpretare praticamente sé stesso nel film…) (ah, il sogno americano…).
Il problema è arrivarci vivi al tramonto, siccome è legale uccidere il fortunato di turno – purchè entro i termini temporali del “gioco” – per impadronirsi del jackpot.
E qui entro in azione io, Noel Cassidy: in cambio di una ragionevole percentuale sulla vincita, farò in modo, con garbo e professionalità, che tu possa arrivare sano e salvo alla fine della giornata più estrema della tua vita.
Jackpot!, tra distopia e farsa
(Qualcuno definirebbe tutto ciò distopia, ma sono solo i tipi noiosi a farlo).
(Ehi, Johnny Grand, fuori dalla mia recensione. ORAAA!).
La protagonista di Jackpot! è però Katie Kim, un’attrice in declino arrivata a Los Angeles per cercare “fortuna” dopo aver badato a sua madre malata per diverso tempo.
Katie, interpretata da una bravissima Awkwafina (e di cui non voglio spoilerarti quasi nulla), si ritroverà in tasca, durante un’audizione piuttosto surreale, il biglietto vincente della California Grand Lottery dalla cifra record di 3,6 miliardi di dollari.
Ciò sarà l’occasione per iniziare il nostro sodalizio professionale, tra fughe rocambolesche, botte da wrestling, coltelli volanti, Airbnb dal cui soffitto precipitano deiezioni (questo è prima di incontrarla, ma non importa…), citazioni pop di dubbio gusto (tipo le Tartarughe Ninja…), test della personalità sulle casate di Harry Potter (io sono risultato Tassorosso…), teste di cera di Kim Kardashian usate come arma (bisogna sempre essere al passo con i Kardashian…), fragilità emotive variegate e assortite, traumi familiari, pistole di Spongebob, Simu Liu (un altro pazzo che ha recitato con me in Barbie…), ma, soprattutto, fan in visibilio, pronti alternativamente a voler uccidere Katie o a idolatrarla.
In pratica, il vincitore della lotteria si trova nella condizione dell’Homo sacer – richiamando l’antico istituto giuridico della sacertà nel diritto romano –, venendo posto al di fuori del consorzio umano ed essendo uccidibile da chiunque senza subire sanzioni – anzi, vi è qui un enorme premio da riscuotere – non, però, in nome di una ipotetica e mai verificabile pace con gli dèi, ma in virtù di una sorta di capitalismo assoluto.
Un capitalismo assoluto che travalica il più basilare dei diritti che si è affermato nel costituzionalismo occidentale – quello alla vita – la cui messa alla berlina, del capitalismo assoluto s’intende, centra solo parzialmente il bersaglio, in quanto l’oggetto criticato è totalmente irrealistico anche inserendolo nella prospettiva di un film distopico.
(Preciso che con diritto alla vita faccio qui riferimento a tale diritto in condizioni ordinarie, non in situazioni eccezionali come possono essere i casi di aborto o eutanasia).
Più amare le riflessioni sull’alienazione dei personaggi, da Katie, tartassata in ogni modo possibile da un mondo che lei non riesce più a decifrare, fino alla stessa maschera di Noel, tutto sommato un brav’uomo, ma totalmente assuefatto alle logiche di quel sistema, di cui si dimostra sin da subito un “utile idiota”.
Sia chiaro, al di là degli aspetti da commedia demenziale e dalle scene d’azione stile giovedì sera a birra e rutto libero, questo non è assolutamente un film che vuole realmente criticare lo stato delle cose – nemmeno nella forma di compromesso pasoliniano di sfruttare le armi del capitalismo cinematografico per colpire il capitalismo stesso.
Questo è un film che assorbe la critica al capitalismo trasformandola in prodotto, da consumare magari mentre con una mano si scrollano i meme sullo smartphone e con l’altra si tiene in mano un bilanciere, perché, regaz, è sempre il momento di dedicarsi al fitness.
Di tutto questo Jackpot! è ovviamente consapevole e ci gioca su, dando quasi a intendere che – al di là delle esagerazioni distopiche – il mondo che viviamo noi bipedi del 2024 sia in fondo – paradossalmente – il migliore dei mondi possibili.
(Che noia i criticoni, sono proprio tipi che non si sanno divertire).
(Ma ci sono davvero wannabe intellettuali che si mettono a fare recensioni cercando significati filosofici in questi film di quart’ordine, credendo, peraltro, di essere acuti? Che leggessero un po’ di classici, questi analfabeti…).