Inevitabile, ineluttabile. L’Ufficio Marketing era stato chiaro a proposito: la seconda motivazione in assoluto che invoglia gli internauti a navigare in rete sono, rullo di tamburi… i gatti (miao).
(Ti devo specificare, davvero, qual è la prima motivazione in assoluto, caro ingenuo lettore o cara ingenua lettrice di icrewplay.com?).
(No, sciocchino o sciocchina, non sono i cani…).
E allora, per forza, si doveva passare dal felino più adorato del West; era fondamentalissimo (ma quando mai, non c’è nulla di fondamentalissimo) un articolo sull’argomento.
D’altronde, mi aveva sempre affascinato cercare di capire cosa potesse passare nella mente di un gatto. Perché no, mi son detto. Garantisce Netflix (appunto).
Poi, però, dopo l’ora e sette minuti del documentario di Andy Mitchell, con stupore sono giunto alla conclusione che, al pari di tutti gli umani che hanno attorno, i Signori e le Signore Vibrisse siano solo marmaglia attiva su Hinge.
Cercherò di spiegare il perché, forse invano, in questa pseudo-recensione di un torrido luglio al gusto di lampone.
(Mi compiaccio per i miei stessi easter egg, muahahahah).
Nella mente di un gatto, felini da Hinge
Vorrei iniziare questo paragrafo con la classe di Dasha. Dasha, ti informo, è una diva (ossessionata dalla telecamera, pare). Nella sezione del suo profilo Hinge “Due verità e una bugia” ha scritto:
Sono bravissima a fare la “mission impossible“;
Sono cintura nera di “grande salto“;
Mi piace il mare.
Essendo una gatta (diva peraltro; è, infatti, la star delle Savitsky Cats) (ne riparlerò più avanti delle sorelle Savitsky, le umane) è talmente edgy da sbeffeggiare l’ottanta percento dell’utenza di Hinge, la quale, non si sa perché, ritiene che possa essere interessante per l’altro contraente di quel telefono senza fili chiamato “match” il fatto che piaccia il mare.
Ovviamente Dasha il mare non sa neppure cosa sia, mentre a sgattaiolare appesa su un tubo a testa in giù, la cosiddetta “mission impossible“, è fenomenale (Tom Cruise in persona, impressionato da cotanta leggiadria, le ha messo un bel like).
(Il buon Tom, inoltre, fonti ufficiose affermano, pare sia finito per l’altezza nella stessa categoria Hinge di Dasha, la quale, ricordo, è una gatta).
(E sì, ho controllato, è anche realmente cintura nera di “grande salto”, ossia un balzo dal trampolino che le fa svolazzare il fiocchetto rosso in aria durante il “volo”).
(Il mio nome è Volo, Fabio Volo).
Questo è il mood (più o meno) con cui vengono presentati nel corso del documentario gli adorabili felini: ogni gatto è diverso (che paXXe), ogni gatto ha bisogno di fiducia per lasciarsi andare (a sto punto meglio Dasha, la diva), ogni gatto ha talenti peculiari (che sembra fare il paio con “so fare la carbonara” o “il mio punto forte è la simpatia”, citando Ilaria, 25 anni, in cerca di una relazione seria su Hinge).
Altro gatto da menzionare è tale Friar John Clark, fratello di Vesper, la capa acchiappatopi (?) di una distilleria in Scozia, dove, anche qua pare, sia passato a suo tempo William Wallace (quello che urla “libertàààà” doppiato da Mel Gibson in Braveheart).
Ma torniamo a Friar. Il nostro su Hinge si definisce flemmatico, esperto di pubbliche relazioni, nonché sempre pronto a farsi accarezzare nell’Ufficio Turistico.
Nella bio, furbastro, allega anche il profilo Instagram, dove, gatto social lui, pare sia molto attivo (incredibile che abbia capito di più la contemporaneità uno con la coda e un nome impresentabile come Friar John Clark che il tipico intellettuale da salotto televisivo).
(Se pensi che scherzi, caro lettore o cara lettrice di icrewplay.com, ti consiglio di guardare il documentario. Poi mi dirai).
Il gatto come metafora dell’americano medio
Nel mondo ci sono circa 400 milioni di gatti domestici, il che rende il Felis Catus uno dei 10 mammiferi più prosperi al mondo.
Uno di questi, meraviglioso, si chiama Carl, ed è un altro degli eroi di questo articolo e del documentario.
Carl a favore di telecamera è ben lieto di far vedere di essere in grado di riconoscere il proprio nome quando viene chiamato, capacità che ha in comune con la maggior parte dei suoi colleghi felini.
Carl, perdipiù, riconosce il volto e la voce degli umani, oltre a quella degli altri gatti.
Carl, inoltre, capisce quando gli si indica qualcosa e concettualizza l’idea della permanenza degli oggetti (esempio: se la pallina scompare sotto la coperta Carl sa che la pallina esiste ancora anche se è scomparsa dal suo raggio visivo).
Poi c’è il problema delle vibrisse (che però non riguarda Carl, che è splendido). I gatti utilizzano questi speciali “baffi” per orientarsi e capire l’ambiente circostante (esempio: per valutare le dimensioni di un buco in cui si vogliono infilare, i gatti utilizzano le vibrisse).
Nel momento in cui, però, il miagolone diventa obeso iniziano i problemi, poiché le vibrisse sono tarate su una corporatura dal corretto peso forma e non crescono all’aumentare della massa corporea.
Quindi, oltre a essere meno scattante e in salute di per sé, il gatto quando ingrassa fa anche fatica a pensare lo spazio che lo circonda a livello sensoriale.
Ahimè, è da segnalare, infine, che il 59 percento dei gatti americani è in condizioni di obesità.
Cosa c’entra l’americano medio in tutto questo? C’entra, fidati, c’entra.
Innanzitutto secondo lo zio Google gli statunitensi sono circa 333 milioni, una cifra certamente comparabile con i 400 milioni del gatto domestico.
Anche l’americano medio, così come Carl e i suoi simili, è in grado di riconoscere il proprio nome quando viene chiamato, così come sa riconoscere il volto delle altre persone (non si hanno dati sufficienti, invece, per stabilire se l’americano medio sappia distinguere un gatto da un altro).
Inoltre, l’americano medio è abilissimo a individuare le cose indicate.
(Mentre, purtroppo, la sua capacità di concettualizzare la permanenza degli oggetti è ancora rudimentale, ma dall’altra parte dell’Oceano non vogliono che la cosa si sappia troppo).
Esattamente per gli stessi motivi dei gatti (vita sedentaria e dieta non equilibrata), il 35 percento degli americani ha problemi di obesità, pur non avendo ciò ripercussioni dirette sulle vibrisse (di cui l’americano medio, non so se lo sai, è sprovvisto).
(Come dici, caro lettore o cara lettrice di icrewplay.com, sono correlazioni spurie? Questa è solo la tua opinione).
Nella mente di un gatto, umani da Hinge
(Ho scritto troppo, quindi la faccio breve).
E alla fine arrivano gli umani.
A partire, teoricamente, dai giudici di America’s Got Talent, ma qui il discorso si farebbe troppo lungo, quindi taglio e accenno solo agli “specialisti” dei gatti presenti nel documentario.
Questi, infatti, hanno i job title più entusiasmanti che si possano mai trovare su Hinge (match assicurato nel 99 percento dei casi con robe tipo “direttore di un centro di salute felina“, o “psicologa felina” o financo “ricercatrice felina“) (ma che fico sarebbe uscire con una “ricercatrice felina”?).
Poi sì, ci sono le già citate Savitsky Cats, “celebrità ucraine” il cui motto è “umani e gatti finemente addestrati” (tra cui Dasha, la diva, per capirci), ossia le due straordinarie sorelle responsabili della presenza in questo articolo del lemma America’s Got Talent, essendo arrivate con i loro felini dai prodigi circensi fino ai quarti di finale della “competizione“.
Coloro che, in un afflato poetico, ricordano che il potenziale di ciascun gatto si deve rivelare da solo, “così come lo scultore permette che sia la roccia a mostrargli come sarà liberata l’opera al suo interno” (più o meno cit. dal documentario).
Ma il migliore di tutti, idolo indiscusso e suprema divinità (mitomane) di Hinge (con il 100 percento di rateo nei match), è colui di cui non ricordo proprio il nome, ma che ha avuto l’ardire, senza pudore né vergogna, di autodefinirsi fieramente e in mondovisione “Guru dei Gatti“.
(Che stupidi quelli che su Hinge si spacciano come “scrittori”, “Guru dei Gatti” è davvero tutta un’altra cosa).
Note conclusive
1) Non ho accennato a tante cose ovvie spiegate nel documentario, tipo che i gatti fanno quello che vogliono mentre i cani sono ubbidienti o la questione dell’occhiolino lento per entrare in sintonia con i felini o i segreti della coda, delle fusa e dei miagolii o il ruolo della Chiesa di stampo patriarcale (e di quella “canaglia” di Papa Gregorio IX…) nella persecuzione di streghe e gatti o… un sacco di altre cose.
2) Tra queste cose non citate una menzione speciale andrebbe, ovviamente, agli studi di Pavlov, tra condizionamento e controcondizionamento, ma su questo tanto vale vedere il documentario (o, se sei un po’ meglio della marmaglia di Hinge, aprire un libro serio sull’argomento).
3) I gatti, pare infine, siano empatici e che, addirittura, possano amare a modo loro gli esseri umani. La “ricercatrice felina” già citata ne è certa… ma cosa vuoi mai che ti possano dire in un documentario Netflix sui gatti, suvvia…
(Conflitto d’interessi! Conflitto d’interessi!).
(Certo che vi amiamo, cari umani e care umane, ma ora portateci le crocchette).
(Miao).
(I gatti sono meravigliosi).