Un tema che certamente sta a cuore di molti in questi anni è senza dubbio quello dell’immigrazione, un argomento quanto mai scottante, ieri come oggi, in vista soprattutto delle Europee, e come sarà domani e nel tempo avvenire per altre e mille ragioni umane e sociologiche.
Animali selvatici (R.M.N), film romeno del 2022, scritto, diretto e prodotto dal regista romeno Cristian Mungiu presentato a Cannes nello stesso anno, è sotto molti punti di vista un vero e proprio pugno allo stomaco al cuore dell’Europa e a tutti noi che ci viviamo dentro, perché tutto viene estremizzato e niente ci viene risparmiato, come d’altronde è da sempre tipico nel grande cinema dell’Est-Europa.
Nulla rimane seppelito sotto la cenere, nemmeno le posizioni che ad un primo impatto ci sembrerebbero sensate ed invece poi non lo sono fino in fondo, perché in ognuna di esse si nascondono sempre aspetti decisamente scomodi da ricordare, come l’interesse personale o l’ipocrisia derivante dal nostro status sociale, e che ci porta a pensarla in una maniera o nell’altra.
Animali selvatici: La trama
Tra immigrazione e ritorni a casa
Il film inizia paradossalmente, per quello che sarà dopo, in una maniera tutto sommato tranquilla. Si sentono rumori di fondo della natura e di animali vari e, in maniera innocente, non è un caso che la prima figura umana che incontriamo è un tenero bambino che passeggia nel bosco per andare a scuola, ma che ad un certo punto rimane paralizzato alla vista di qualcosa che lo fa fuggire allarmato.
Ci rimane per alcuni secondi il primo piano di questo bambino, Rudi, ma noi non sappiamo cos’ha realmente visto. Il regista sceglie di lasciarci fin dall’inizio con un dubbio, come se fossimo anche noi degli infanti non in grado di capire ciò che di fatto abbiamo davanti, anche perché c’è sempre un livello primario da analizzare, l’immagine diretta di fronte a noi, e ciò che a livello secondario c’è dietro ad essa.
E come se Mungiu iniziasse a disegnare un cerchio dove incomincia il tutto e, prima di completarne interamente la figura, sia necessario fare un giro di 360° per tornare alla stessa immagine ed avere di fatto una nuova e più piena consapevolezza su ciò che in realtà il bambino vede nella sua interezza nel finale del film, e di rimbalzo noi con lui.
Siamo in Romania, in un piccolo paese della Transilvania, terra famosa per essere stata la casa del conte Dracula, per i suoi sterminati boschi e per quella natura sinistra che immancabilmente le leggende del Conte Vlad si è portato con se.
Immediatamente però Mungiu ci porta da tutt’altra parte, come se il focus iniziale fosse in tutt’altro luogo: a Münster in Germania, nella Renania settentrionale, perché qui incontriamo il protagonista, Mathias (Marin Grigore), rumeno di Transilvania che, costretto dalla necessità di dover guadagnare per mantenere la propria famiglia, lavora all’estero in un mattatoio per ovini.
Una storia che però è ben più di una questione privata, in cui si narrano le vicende di un singolo uomo immigrato e delle sue difficoltà sia a livello personale, che familiare, questo è solamente il punto iniziale del cerchio che il regista sta disegnando di fronte a noi e che ha intenzione di mostrarci tratto per tratto.
Perché con l’addentrarci della trama, l’aspetto del singolo individuo si va a mischiare con una questione pubblica, che crescendo minuto dopo minuto, si allarga partendo a livello di paese e si sviluppa su diversi livelli: prima statale, poi europeo e infine mondiale, perché il tema dell’immigrazione che verrà sviluppato da Mungiu possiede al suo interno tantissimi strati narrativi da dover sbucciare volta per voltasotto i nostri occhi, e che il regista cerca di sviluppare non tralasciando e non nascondendo nessuna delle ragioni, delle contraddizioni, dei falsi miti e delle ipocrisie che si sprecano su un tema così delicato come quello migratorio.
Animali selvatici: Una questione privata
Un uomo e le sue ipocrisie di fondo
Mathias si rivela da subito come un uomo non particolarmente incline ad un sereno confronto con l’altro, sia quando avrebbe anche buone motivazioni per risentirsi per qualcosa, sia quando la cosa migliore sarebbe magari fare un passo indietro e chiedere scusa. Di fatto viene licenziato per essere stato chiamato zingaro e per aver colpito il titolare di quel mattatoio, ma in patria si comporta con gli stranieri esattamente nello stesso modo come quel suo superiore tedesco che, nella sua lingua madre, lo aveva vergognosamente trattato additandolo con un infamante dispregiativo.
Qui di fatto ne esce già un punto non secondario nel film: il mettersi nei panni degli altri. Non solo Mathias non lo fa, ma nemmeno gli altri suoi conterranei in terra transilvana lo fanno, segno di una mancanza a livello culturale non di una persona, ma di un popolo intero, come è d’altronde tipico delle piccole comunità, spesso troppo abituate a difendere l’immaginario ed illusorio idillio che si sono autocreati, e che sembra magicamente circondarli.
Mathias dovrà quindi tornare al suo paese, e lì troviamo il suo mondo che per necessità aveva lasciato e che ritrova con i medesimi problemi, in particolare quelli con la moglie, Ana (Macrina Barladeanu) che lo detesta per diversi motivi: in primis perché questo ha un’amante, Csilla (Judith State) e non fa di fatto nulla per nasconderlo, e secondo per quel suo piglio arrogante che lo porta ad essere un uomo violento e autoritario in maniera esagerata, e che la moglie legittimamente mal sopporta.
Quando torna troverà quindi un altro ambiente ostile, quello familiare, persino il figlio Rudi lo evita per quanto sia possibile, non solo perché ancora traumatizzato per ciò che ha visto nel bosco, ma anche per quella figura così dispotica di padre severo che Matthias porta con se, e per questa sua natura così dura, appare decisamente poco incline a capire e a sostenere il piccolo Rudi in quella sua misteriosa paura di attraversare quel bosco, all’improvviso divenuto così spaventoso.
Due modelli educativi diversi
Vengono fuori all’interno in Animali selvatici di questa famiglia due modelli opposti di educazione di un bambino: c’è quello iperprotettivo della madre che in modo materno e dolce lo vuole proteggere da ciò che lo spaventa, e fa di tutto affinché questo non sia spaventato o che almeno lo sia il meno possibile.
Mathias invece è un padre alla vecchia maniera, non accetta queste debolezze infantili; come che il piccolo figlio dorma ancora con la mamma, che lo accompagni a scuola, che si occupi di cucito, che abbia delle inclinazioni artistiche e che non sappia una parola di tedesco, e che quindi di sostanza non sia incline ad un temperamento di giovane bambino di sesso maschile dedito allo sport, alla pesca e alla caccia, insomma votato alla competizione verso l’altro, ma che al contrario abbia una natura sensibile, secondo il suo patriarcale punto di vista, più incline da trovare in una donna, cosa inaccettabile per un uomo della vecchia guardia come lui.
Qui sorge anche il problema della lingua, una questione nient’affatto scontata in un paese con problemi economici, in cui l’immigrazione verso la capitale o verso l’estero è un qualcosa da dover prendere necessariamente in considerazione per il proprio futuro.
Mathias vuole che il figlio incominci a parlare il tedesco, perché un giorno sa che dovrà emigrare come ha fatto lui, e come ha fatto probabilmente il padre Otto (Andrea Finti), un uomo malato, figura austera e severa di poche parole con cui non a caso Matthias parla in tedesco, non nella sua lingua natia, la moglie invece non sembra incline a pensarla così. Per la donna, quando verrà il momento il bambino supererà le proprie problematiche a suo modo, ed imparerà la lingua se vorrà farlo, non vuole che insomma che cresca troppo in fretta, quando sarà il momento lo farà con i suoi tempi.
I due coniugi sono di fatto separati in casa, litigano per ogni cosa e non c’è più dialogo tra loro, e sembrano stare insieme solamente per il bene del bambino, e probabilmente anche per evitare spiacevoli confronti con un’austera comunità di paese che non vedrebbe di buon occhio una separazione anche civile tra i due.
Una donna libera in un mondo legato al passato
Come detto il problema viene anche dal di fuori, avendo Mathias un’amante, la giovane Csilla, verso il quale pare avere un amore malato, infatti per tutto il film si rivelerà verso di lei quanto mai possessivo e geloso a livelli inverosimili.
Csilla è però una donna tutt’altro che sottomessa e dipendente da lui: lavora come vice-capo presso il panificio di paese, è di mentalità aperta, conosce bene l’inglese, le piace bere vino e ha un’anima fortemente votata all’arte, al ballo, al nuovo, è di fatto quindi una donna estremamente libera e seppur è legata da uno strano tipo di amore con Matthias, quando questo cerca di legarla a se e limitarla, lo fronteggia sempre con forza, spesso di fatto nel film appare orgogliosamente nuda, e non accetta intromissioni di nessun tipo nella sua sfera privata e non da lei gradita.
E’ di origine etnica ungherese, anche lei quindi è emigrata in cerca di lavoro in Romania dall’Ungheria, quindi lei sa cosa vuol dire essere emarginata e vivere in un paese che la considera inferiore, sia dal punto di vista linguistico che etnico, oltre al fatto di essere una donna non sposata, non religiosa e che vive da sola, tutti elementi che la portano ad essere certamente una figura altra nell’immaginario collettivo nella piccola comunità transilvana.
Animali selvatici: Una questione pubblica
Le problematiche lavorative tra datori di lavoro, manodopera locale e straniera
C’è un problema che a cavallo delle feste natalizie attanaglia il panificio in cui lavora Csilla come responsabile: due nuove figure da trovare a basso costo. Non trovando per settimane risposta all’interno della comunità, lei e la titolare dell’azienda si rivolgono ad un mediatore che, per conto loro, troverà due lavoratori provenienti dallo Sri Lanka, i quali ovviamente visto la necessità di lavoro che hanno e dato che provengono da un paese ancora più povero di quello romeno, pagheranno di fatto molto meno rispetto agli standard locali, rivelando dietro questa scelta una natura fortemente opportunista dietro la scelta di assumere degli extra-comunitari per quel lavoro.
Il regista, come farà per molte altre questioni nel film, non dimentica però di spiegarci l’altro punto di vista, quello delle due donne a capo del panificio: tra domanda e offerta con i locali esistono infatti delle insormontabili differenze, che non permettono di fatto un favorire dello sviluppo della manodopera a livello locale, e quindi dato che nessuno della zona vuole lavorarci a quelle condizioni salariali, la scelta sul personale da assumere dovrà necessariamente andare altrove.
Da questa decisione ne nascerà un gran putiferio poichè, nonostante i due singalesi siano assolutamente bravissime persone, lavoratrici e competenti, all’interno della comunità paesana incominceranno a serpeggiare pesanti malumori, e qui si apre un’altra questione decisamente più ad ampio raggio: visto che ci si lamenta perché c’è poco lavoro, perché nessuno di loro si è proposto per lavorare nel panificio di paese? Perché emigrano, se ci sono delle possibilità lavorative anche vicino casa? La risposta sembra solo in apparenza ovvia, perché nasconde su diversi livelli molte problematiche, alcune evidenti, altre decisamente no.
Razzismo, ignoranza ed ipocrisia: I tre pericolosi vizi dell’uomo medio
Il confronto diviene di fatto con l’andare avanti di Animali selvatici, sempre più aspro e acceso tra le due parti: tra chi difende i due migranti, come Csilla, la titolare del panificio, gli altri operai di questo e qualche altro coraggioso sostenitore della causa dei due cingalesi, mentre dall’altra troviamo la gran parte della comunità che non li vuole, e per i più disparati motivi.
Paura di diffusione di malattie, che portino via il poco lavoro ai bravi lavoratori locali e che si portino, una volta sistemati stabilmente lì, le loro famiglie dai loro paesi di provenienza, che aumenti la criminalità, e che alla fine rubino persino l’identità del proprio paese a favore di un mondo globalizzato, insomma tutte questioni non così lontane da un qualunque posto del mondo civilizzato.
Dall’altra in questa eterna contraddizione Mungiu tirà brillantemente fuori, proprio nelle accese dispute tra locali, che anche loro o alcuni loro parenti in realtà sono stati migranti nella capitale romena o fuori dai propri confini statali per poter lavorare e sostentare la loro famiglia, rivelandone quindi una discutibile ipocrisia dettata dall’opportunismo egoistico che vige in ogni comunità: noi possiamo farlo, loro no, insomma siamo cittadini magari di serie B, ma loro che sono di una serie inferiore non possono farlo.
Sono infastiditi inoltre dal fatto che questi vogliano usare il loro paese come trampolino verso l’altra Europa che conta: Bucarest nella più vicina delle ipotesi, o addirittura il voler arrivare nei paesi europei più ricchi come Francia, Germania, Paesi Scandinavi, Gran Bretagna e così via, insomma come se loro fossero delle seconde scelte, che vengono presi in considerazione solo perché geograficamente si trovano in mezzo tra il mondo da cui vengono questi migranti, e il mondo che in realtà essi desiderano.
Ne esce fuori quindi una profonda ignoranza di fondo nella conoscenza verso l’altro, perché la paura come in Comizi d’amore del 1964 di Pasolini spiegava molto bene insieme a Moravia e allo psichiatra Musatti, che tutto questo astio verso il diverso nasceva non dalla cattiveria, ma in realtà dalla non conoscenza dell’altro. Non si ha forse paura più del buio, che della luce?
Perché di fatto nell’oscurità noi non vediamo nulla e quindi temiamo l’impensabile, alla luce del sole questo pericolo, almeno apparentemente, di fatto non esiste e quindi non lo temiamo. La questione, Mungiu c’è la vuole porre su questi toni in Animali selvatici, come se serva quasi da una parte a giustificare gli eccessi razzistici di questa comunità popolare, e che tutti questi rancori verso l’altro derivino in realtà da un retaggio storico-culturale sbagliato, non da una consapevole scelta di odio o di volontà premeditata di fare del male verso l’altro.
Questi vogliono infatti solo difendere la propria posizione, soprattutto i patriarchi e le matriarche romene prendono parola in questo caso, essendo secondo la loro opinione, i legittimi difensori delle radici più pure della regione, affermando che non sono razzisti o razziste, ma semplicemente non vogliono quegli stranieri qui, smentendo però di fatto con il loro atteggiamento e le loro parole la loro affermazione precedente.
Il problema appare quindi come abbiamo visto molto più profondo di quel che si vede: le cose vanno male, con chi ce la prendiamo quindi? Con chi è più debole di noi, non con il più forte che nemmeno si vede, e di fatto quindi diviene una guerra tra poveri e più poveri, in cui i ricchi indifferenti guardano sereni e senza battere il minimo ciglio sulla questione, rimanendo di fatto esterni a questo conflitto insensato tra indigenti di diverso livello.
Le ipocrisie però vanno ben oltre la comunità popolare transilvana di cui si parla, ma vigono anche dalla parte di chi apparentemente difende con coscienza questi tre poveri cingalesi, perché paradossalmente sarà l’aumento concesso ad uno di loro a far scatenare l’ultima miccia nel già poco tollerante paese transilvano.
La titolare è infatti una persona colta, una donna moderna, in parte progressista e votata sinceramente a difendere il proprio investimento, affermando e controbattendo ad ogni accusa, che quindi è tutto in regola e che sono esseri umani da rispettare come loro, ma in diversi punti appare di fatto anche lei disinteressata alla questione di se per se, ma appare rivolta più a difendere la legittimità del proprio lavoro che i migranti singalesi.
Questo lo si deduce soprattutto quando i suoi compaesani incominciano a non comprare più il suo pane perché impastato, secondo i locali, da mani tutt’altro che linde, e di fatto dopo aver finito le alternative democratiche per farli restare, manda via gli operai singalesi senza tanti problemi, lasciando sola Csilla che credeva veramente nella causa, forse l’unica realmente indignata per tutta questa situazione, di fatto proprio per questo suo temperamento estremamente forte e libero, litiga con una certa passione con tutti.
Litiga con Mathias, con la perpetua del prete, con un gruppo di folli imitatori dei Ku-Klux Klan, con la sua superiore e persino con il prete stesso, che come diversi personaggi all’interno della trama sebbene inizialmente sia conciliante verso gli stranieri, dato che rischia di perdere il suo uditorio, anche lui di fatto per opportunismo acconsentirà alla maniera di Ponzio Pilato al volere popolare, dimostrando persino lui ben poca carità cristiana di fondo verso coloro che in realtà, visto la posizione sociale che occupa all’interno della comunità, lui avrebbe dovuto a spada tratta difendere con la forza della fede e della misericordia verso il prossimo.
Non è un paese per tutti, o quasi…
SI crea un’escalation di tensione e violenza, in cui diventa un tutti contro tutti, non solo con petizioni civili per mandarli via, ma sfociando nella più barbara forma di cieca violenza arrivando con alcuni elementi più estremi, a lanciare bottiglie incendiarie all’interno della casa dove sono ospitati a casa di un’apparente uomo di livello culturale più elevato rispetto alla massa, ma che una volta visto il pericolo corso, li abbandona in realtà anche lui con poco rincrescimento verso quelle tre povere persone che di colpo non sono volute più da nessuno, e quindi costrette di fatto ad andarsene altrove.
Anche qui si rileva un’altra forte ipocrisia di fondo: questo signore ospita anche un francese, un giovane appartenente alle ONG, mandato lì dalla comunità europea per fare un censimento degli orsi in quella zona e, sebbene di fatto sia una persona sostanzialmente per bene, colta che crede in sani valori e cerchi a parole di difendere i tre singalesi, nel momento stesso che c’è da da dare una mano concreta, tiepidamente la offre, ma non con la fermezza di chi vorrebbe veramente e concretamente aiutare.
Un ragazzo dell’Europa ricca, che individualmente rappresenta semplicemente un giovane con sani principi, ma che in una disputa tra poveri, che si scannano a parole e con i fatti tra di loro, prova si tiepidamente a mediare, ma poi se ne sta tutto sommato tranquillo ad occuparsi di contare orsi e agli affari suoi, perché alla fine lui non viene visto come minaccia, venendo dall’Europa più abbiente e quindi un ospite da trattare con un certo riguardo, i singalesi invece ovviamente venendo da un paese ancor più povero del loro e per giunta nemmeno europeo, non rientrano tra quelli che vengono considerati ospiti graditi.
In termini ovviamente più globali, il ragazzo francese è l’emblema di un’Europa di serie A che semplicemente si volta dall’altra parte nel momento del bisogno, e che magari anche attraverso dei fondi europei dà dei soldi agli stati membri più poveri, ma per cose che non vanno a beneficio diretto del cittadino, importanti sicuramente su diversi livelli, ma non a lenire le gravi problematiche immediate di esso, perché in fondo l’antieuropeismo presente in questa comunità, è comune a quello di tutti gli stati membri, in cui sembra risuonare l’eco popolare: voi non ci aiutate per ciò di cui abbiamo realmente bisogno, ma per cose che non vediamo e che a noi poco interessano.
Una democrazia pericolosa nelle mani sbagliate
Anche il valore della democrazia viene messo in ballo in Animali selvatici. Se tutti, almeno a livello di pensiero reputeremmo il sistema democratico il meno peggio da cui essere governati, senza gli dovuti strumenti ed accorgimenti e nelle mani sbagliate, questa può andare contro i valori stessi in cui crede essa nel momento in cui è stata istituita.
Se infatti seguendo il ragionamento di alcuni membri della comunità, che la maggior parte è d’accordo a mandarli via, quindi seguendo questa linea di pensiero, non sarebbe forse giusto accondiscere al loro desiderio per quanto sbagliato e immotivato? Non è forse il principio su cui si fonda la democrazia, il voto della maggioranza?
Il problema è che su questioni così importanti si rischia di scambiare una votazione democratica per una legittimazione a tutto, persino verso azioni criminali e di discutibile gusto come l’allontanamento ingiustificato di persone colpevoli solo di essere immigrati stranieri.
Si mette quindi in risalto da parte del regista il pericolo di mettere in mano uno strumento come la democrazia in mano a persone che, di fatto, ne abuseranno fino ad arrivare a negare i principi stessi di accoglienza, essa stessa tra i suoi fondamenti più importanti. Una questione insomma complicata in cui spesso, è la contraddizione di chi detiene o vorrebbe detenere il potere a regnare sovrana.
Animali selvatici: Regia e Conclusioni
Animali selvatici, è indubbiamente un film potente, in cui il regista Cristian Mungiu, riesce piuttosto bene a legare questione privata e questione pubblica, inserendoci al loro interno vecchi temi come l’immigrazione mescolandoli ad altrettanto spinose questioni come il radicalismo nazionalista, la contemporaneità, la politica estera, l’impatto delle nuove tecnologie e il sempre delicato tema incontro/scontro sul tema del costo della manodopera.
Altro punto estremamente a favore del film è che si dà voce a tutti, non esiste una parte che non venga espressa e messa a tacere, tutti hanno il diritto di parola e tutte le componenti sulla questione vengono direttamente o indirettamente interrogate, giusto i singalesi non intervengono, ma più per problemi linguistici che altro, ma anche loro in quella che è la più estrema e semplice quotidianità ci mostrano forse l’unica parte veramente sana tra gli umani almeno in Animali selvatici; quella dedita solo alla famiglia e ai buoni sentimenti, fatta più di sorrisi e tenere dimostrazioni di affetto e rispetto verso il prossimo, che di rimostranza di odio e rancore indiscriminato verso l’altro.
Ottime le scelte di regia a livello di sonoro in cui rientrano diversi generi: un bel mix tra musica classica, musica contemporanea, folclore, religiosa e politica, senza dimenticare i rumori della natura circostante, i respiri profondi dei protagonisti e i silenzi altrettanto importanti ed assordanti di cui il film, nei momenti di stasi, è pervaso.
Ottimo anche lo sviluppo di una trama su diversi livelli: privato/pubblico locale, vicende private mischiate tra tradizione religiosa, momenti di incontro e di comunione, ma dall’altra anche votate anche allo scontro accesso dal punto di vista verbale e fisico qualora non la si pensi allo stesso modo.
Un film indubbiamente complesso proprio per i tanti temi che affronta e non facilissimo da comprendere su alcuni livelli più metaforici/filosofici e meno diretti al grande pubblico, ma che certamente nel suo complesso offre un perfetto spaccato di un paese di mezzo della comunità europea, tra ricchi e ancora più poveri, in cui è una piccola comunità romena a darci con estrema durezza, amari e grandi verità universali sul tema dell’immigrazione e sul tema forse forse centrale del film: l’umanità/bestialità dell’uomo.
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