Sguardo conturbante e fisico statuario. Bellezza esuberante e inquieta, ma non discinta da una forte autoironia. E un talento che in oltre ottanta film le ha permesso di interpretare donne passionali e tormentate, impetuose e luciferine. Ha spento settantacinque candeline lo scorso 22 marzo, Fanny Ardant; era il 1981 quando, già più che trentenne, François Truffaut l’aveva voluta al fianco di Gérard Depardieu in La signora della porta accanto, investendola di una fama internazionale.
Nata a Saumur, nella Loira, in una famiglia di militari, aveva trascorso gli anni dell’infanzia nel Principato di Monaco, compiendo anche numerosi viaggi in tutta Europa. In un’intervista rilasciata a Paola Casella nel 2019, per Io Donna, ha confessato: «Ho una natura inquieta, se non fossi diventata un’attrice probabilmente sarei impazzita».
I primi passi di Fanny Ardant
Prima di incontrare il nume tutelare della Nouvelle Vague, si era divisa tra le scene teatrali – spesso affiancata e diretta dal compagno Dominique Leverd, con cui nel 1975 aveva avuto la sua prima figlia, Lumir – e il piccolo schermo. Aveva esordito nel mondo del cinema con Marie-poupée (1976), per la regia di Joël Séria, ed era già apparsa al fianco di Depardieu in un’altra pellicola, Dogs Man (1979) di Alain Jessua. Dopo, le proposte per il grande schermo fioccarono a un ritmo incalzante.
Fanny Ardant: gli anni del successo
Nei cinque anni successivi a La signora della porta accanto, che le era valso una prima candidatura ai Premi César, fu diretta, tra gli altri, da Claude Lelouch in Bolero (1983), da Alain Resnais in La vita è un romanzo (1983), L’amour à mort (1984) e Mèlo (1986), da André Delvaux in Benvenuta, al fianco di Vittorio Gassman, da Volker Schlöndorff in Un amore di Swann (1984) e da Constantin Costa-Gavras in Consiglio di famiglia (1986). Interpretò, inoltre, la protagonista di Desiderio (1983), per la regia di Anna Maria Tatò, affiancò Claudia Cardinale e Philippe Noiret in L’estate prossima (1985) di Nadine Trintignant, apparve in Macumba story (1985) di Pierre-William Glenn e in La Paltoquet (1986) di Michel Deville, con Michel Piccoli.
Oltre a rappresentare una consacrazione professionale quasi immediata, il suo incontro con Truffaut si era subito trasformato in un’intensa e dolorosa storia d’amore. Con il regista, nel 1983, aveva dato alla luce la sua seconda figlia, Joséphine: era uscito lo stesso anno anche il secondo film della coppia, Finalmente domenica!, con Jean-Louis Trintignant, Jean-Pierre Kalfon e Philippe Laudenbach. Sarebbe stato l’ultimo lungometraggio diretto da Truffaut, che morì il 21 ottobre del 1984 a soli cinquantadue anni.
La loro unione avrebbe continuato a nutrire l’immaginario culturale francese ancora per molto tempo: nel 2002, il cantautore francese Vincent Delerm, laureatosi in lettere moderne con una tesi su François Truffaut, aprirà il suo album d’esordio con una canzone dedicata a lei, Fanny Ardant et moi.
Avventure internazionali e cinema indipendente: i tanti volti di Fanny Ardant
Nella seconda metà degli anni Ottanta, l’attrice apparve in alcuni importanti film al di fuori dei confini francesi. Nel 1987 ritrovò Vittorio Gassman sul set de La famiglia, per la regia di Ettore Scola, che circa un decennio dopo la vorrà anche in La cena (1998). È invece del 1988 il film di Margarethe von Trotta Paura e amore, nel quale fu affiancata da Greta Scacchi e Valeria Golino. Dopo Pleure pas my love (1989) di Tony Gatlif e Australia (1989) di Jean-Jacques Andrien, con Jeremy Irons, sarebbe stata la volta di una serie di film in tono minore, tra i quali si distinse il primo lungometraggio di Mark Peploe, Occhi nel buio (1991).
Nel 1990 ebbe la sua terza figlia, Baladine, dal regista e produttore Fabio Conversi. Prese poi parte ad Amok (1993), la trasposizione cinematografica di una novella di Stefen Zweig, per la regia di Joël Farges, e fu diretta da Yves Angelo ne Il colonnello Chabert (1994) dall’omonimo romanzo di Balzac, ancora accanto a Gérard Depardieu. Nel 1995, inoltre, Agnès Varda non mancò di sceglierla per il suo ultimo film da regista, Cento e una notte, un corale omaggio alla storia del cinema che coinvolgeva star internazionali come Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Gina Lollobrigida, Jeanne Moreau, Jean-Paul Belmondo, Alain Delon, Robert De Niro e un giovanissimo Leonardo Di Caprio.
Gli anni ’90 e 2000: la nuova nascita di Fanny Ardant
Per la carriera di Fanny Ardant, gli anni a cavallo del terzo millennio si rivelarono particolarmente favorevoli. Fu tra i protagonisti del film a episodi di Michelangelo Antonioni Al di là delle nuvole (1995), realizzato con la co-regia di Wim Wenders, partecipò a Sabrina (1996) di Sydney Pollack e a Elizabeth (1998) di Shekhar Kapur, interpretando Marie de Guise. Molte le pellicole memorabili di questo periodo e degli anni immediatamente successivi: da Ridicule (1996) di Patrice Leconte a Di giorno e di notte (1996) di Gabriel Aghion – quest’ultimo le valse il Premio César come migliore attrice protagonista –, da Le Libertin (2000), ancora per la regia di Aghion e con la sceneggiatura di Éric-Emmanuel Schmitt, a Nessuna notizia da Dio (2001), dello spagnolo Agustín Díaz Yanes.
L’estate del 2000, per la prima volta, la vide calcare le scene teatrali in Italia: recitò Le square di Marguerite Duras nei giardini della Filarmonica Romana e nella Chiesa dello Spasimo di Palermo, riscuotendo in entrambe le occasioni un notevole successo.
Ottenne un vasto apprezzamento, nel 2002, anche la commedia-thriller di François Ozon 8 donne e un mistero, che attirò una pioggia di premi alle protagoniste Catherine Deneuve, Virginie Ledoyen, Isabelle Huppert, Emmanuelle Béart, Ludivine Sagnier, Firmine Richard, Danielle Darrieux e la stessa Ardant: su tutti, l’European Film Award e l’Orso d’Argento alle migliori attrici al Festival di Berlino. Ancora nel 2002 interpretò Maria Callas in Callas Forever (2002), l’ultimo film di Franco Zeffirelli, che l’aveva ammirata nella stesse veste in un precedente spettacolo teatrale. L’anno successivo fu invece diretta da Anne Fontaine insieme a Emmanuelle Béart nell’intrigante Nathalie…, del quale Atom Egoyan avrebbe girato un celebre remake, Chloe – Tra seduzione e inganno (2009).
Del 2003 è L’odore del sangue di Mario Martone, che la vede al fianco di Michele Placido; di lì a pochi anni, sarebbe stata diretta da altri due registi napoletani, Vincenzo Marra e Paolo Sorrentino, rispettivamente in L’ora di punta (2007) e Il divo (2008). Un rapporto, quello dell’attrice con il Belpaese, che sarebbe poi stato simbolicamente omaggiato proprio da Sorrentino in una delle scene più iconiche de La grande bellezza (2013), facendo apparire Madame Ardant nel ruolo di se stessa nella spettacolare cornice di Trinità dei Monti.
Sempre al centro della scena: i progetti più recenti di Fanny Ardant
Frattanto, era stata protagonista dei progetti più diversi: dal film a episodi Paris, je t’aime (2006), per la regia di Richard LaGravenese, a Les Beaux Jours (2013) di Marion Vernoux, da Visage (2009) di Tsai Ming-liang a Interno giorno (2011) di Tommaso Rossellini – un sentito omaggio all’indimenticato Truffaut e al suo Effetto notte –, passando per Roman de gare (2007) di Claude Lelouch, The Secrets – Segreti (2007) di Avi Nesher e Hello Goodbye (2008) di Graham Guit, tra gli altri.
Da non dimenticare, inoltre, è il suo approdo alla regia, con il film Cendres et sang (2009), da un soggetto dello scrittore albanese Ismail Kadare. Gli avrebbero fatto seguito altri due lungometraggi: Cadences obstinées (2013), interpretato da Ronit Elkabetz e Asia Argento, e Le divan de Staline (2016), con Gérard Depardieu ed Emmanuelle Seigner.
Una delle sue interpretazioni più apprezzate dell’ultimo decennio è stata certamente quella di Marianne Drumond in La belle époque (2019), di Nicolas Bedos: grazie al film, infatti, Fanny Ardant si è aggiudicata il Premio César come attrice non protagonista. È quindi apparsa in DNA – Le radici dell’amore (2020) di Maïwenn, per poi tornare a dominare il grande schermo grazie a opere quali I giovani amanti (2021) di Carine Tardieu, Amusia (2022) di Marescotti Ruspoli e, in tempi recentissimi, l’ultima fatica di Roman Polański, The Palace (2023).