Il Codice Hays e la censura prima dell’odierno Politically Correct
William Harrison Hays (1879-1954) è stato un uomo politico, appartenente al partito repubblicano. La sua influenza sul mondo del cinema cominciò nel 1922, quando venne nominato presidente della Motion Pictures Association of America (MPAA). Il cinematografo -come allora lo si chiamava – rappresentava un mezzo in grado di assicurare una libertà d’espressione fino ad allora sconosciuta. In nome dell’Arte (il cinema presto sarebbe stato conosciuto come ‘settima arte’, in aggiunta alle sei già rappresentate dalle Muse sul monte Parnaso) e con l’ausilio delle immagini, gli autori sembravano poter rappresentare qualunque cosa ad un pubblico di massa giudicato sempre più influenzabile.
Negli anni ’30 il panorama era variegato: donne disinibite, dotate di un fascino esotico ed aggressivo (Marlene Dietrich, Greta Garbo) pronte a traviare l’americano medio, buon padre di famiglia e accanto a loro gangster spietati e violenti (Scarface – lo sfregiato, capolavoro di Howard Hawks, uscito nel 1932), mostri dall’aspetto terrificante (Frankenstein del 1931, i fenomeni da baraccone di Freaks, 1932), per non parlare delle depravate produzioni europee (L’angelo azzurro, Metropolis, M il mostro di Düsseldorf).
Per porre un freno al dilagare dell’immoralità, William Hays, con l’appoggio degli Studios più prestigiosi, varò nel 1934 una serie di linee guida, da seguire obbligatoriamente, per non turbare il pubblico, note come Production Code, un modo elegante di chiamare la censura.
Il Codice Hays: alcune delle norme
-La simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato.”
-“La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione”.
-“La ridicolizzazione della religione fu proibita; i ministri del culto non potevano essere rappresentati come personaggi comici o malvagi”.
-“Le scene di omicidio dovevano essere girate in modo tale da scoraggiarne l’emulazione nella vita reale, e assassinii brutali non potevano essere mostrati in dettaglio”.
Altro passo molto specifici riguardavano la famiglia e in particolare erano volti a preservare la sacralità dell’unione matrimoniale:
-“I film non dovranno concludere che le forme più basse di rapporti sessuali sono cose accettate o comuni”. L’adulterio e la prostituzione, per quanto si riconoscesse potessero essere necessari per la trama, non dovevano essere presentati come un’opzione attraente.
-Le scene di passione non dovevano essere introdotte se non necessarie per la trama. “Baci eccessivi e lussuriosi vanno evitati”, assieme ad altri atteggiamenti che “potrebbero stimolare gli elementi più bassi e grossolani”.
Vietatissime erano le allusioni alle ‘perversioni sessuali‘ (soprattutto l’omosessualità) e alle malattie veneree. Uomini e donne non potevano essere filmati a letto insieme, anche se coniugi: obbligati a dormire in letti gemelli (singoli), o comunque uno dei due doveva sempre avere almeno un piede sul pavimento.
I casi
Nemmeno i cartoni animati sfuggivano all’occhio vigile del Codice Hays, applicato rigidamente da Joseph Breen, messo a capo della commissione di censura, che aveva il potere di riscrivere e modificare intere pagine di sceneggiatura. Nel 1933 l’immagine di Betty Boop, nata dalla penna di Max Fleischer, fu cambiata radicalmente: allungata la gonna e ‘sgonfiata’ la figura, che mostrava curve troppo generose.
Persino Via col Vento ebbe problemi, a causa dell’ultima memorabile battuta di Clark Gable (“Frankly, my dear, i don’t give a damn”, tradotta in italiano col meno censurabile “Francamente me ne infischio”). Il produttore David O. Selznick, ossessionato dalla fedeltà al romanzo di Margaret Mitchell, scavalcò Breen, rivolgendosi direttamente ad Hays per dimostrargli che nel dizionario Oxford, la parola ‘damn‘ non figurasse come imprecazione ma come semplice volgarismo. Selznick fu multato, ma la battuta non venne toccata.
Qualche volta il timore della censura ha invece giovato ad un film: l’impossibilità di un lieto fine per la relazione adulterina tra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in Casablanca ha infatti creato un epilogo struggente ed ironico che è rimasto nella Storia del Cinema.
Altro caso esemplare è quello del western di Howard Hughes Il mio corpo ti scalderà (1943) nel quale si riteneva che la protagonista femminile Jane Russell mostrasse un po’ troppo le sue grazie in alcune scene decisamente torride. Fu Hughes stesso a difendersi davanti alla commissione, riuscendo a prevalere, come mostrato da Martin Scorsese nel film The Aviator (qui sopra il filmato della scena).
Non poteva mancare fra gli aneddoti riguardanti il Codice Hays Marilyn Monroe, l’attrice più prepotentemente erotica che sia mai apparsa sul grande schermo. Venne interpellata dalla commissione riguardo ad una scena, girata con gli attori filmati in orizzontale. Quando le fu contestato che la scena poteva suggerire un atto sessuale, ella rispose candidamente: “Oh quello? Guardi che si può fare anche in piedi, lo sa?”. Per la cronaca, la scena non venne toccata.
Lo sguardo del censore spinse molti registi e sceneggiatori ad aguzzare l’ingegno per non rovinare i propri lavori: il lungo bacio (ben 4 minuti) fra Cary Grant ed Ingrid Bergman in Notorius – l’amante perduta di Alfred Hitchcock fu ad esempio girato grazie a numerosi stacchi da angolazioni diverse, intervallati da poche parole sussurrate: è lo stesso regista a raccontare l’espediente a François Truffaut, nel memorabile Libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock.
Censura, ieri e oggi
Dopo l’abolizione del Codice Hays, nel 1967, il cinema fece un deciso balzo in avanti: i registi della New Hollywood ebbero la possibilità di rivoluzionare il mondo del cinema. Del ’67 sono i due film che più avrebbero suscitato le ire dei censori: Il laureato, incentrato sul sesso e in particolare sulla relazione tra un giovane neo-laureato e la matura madre della ragazza di cui è innamorato e Gangster Story di Arthur Penn. Soprattutto quest’ultimo non fu capito all’epoca: non è un’apologia del crimine, bensì una storia malinconica che intreccia amore e morte di due giovani, verso un finale tragico.
Oggi che del codice Hays manteniamo solo il ricordo, il ricorso continuo a forzature in nome del ‘politicamente corretto’ ha il sapore di una censura al contrario cui sfugge un punto fondamentale: più queste forzature e modifiche (ad esempio ne La Bella e la Bestia girato con Emma Watson la cittadina di Belle è abitata da numerosi individui di pelle scura, che certo nella Francia del secolo XVII difficilmente sarebbero stati liberi cittadini) appaiono evidenti, più aumenta la percezione della diversità. Sicuri che sia un bene?