Generazione 56k è la nuova serie italiana Netflix prodotta da Cattleya, parte di ITV Studios, in collaborazione con The Jackal, gruppo Ciaopeople, disponibile dal 1° luglio. Ambientata tra Napoli e Procida, è una commedia romantica composta da otto episodi e basata su un’idea originale di Francesco Ebbasta scritta insieme a Costanza Durante, Laura Grimaldi e Davide Orsini (head writer). Regista dei primi quattro episodi Francesco Ebbasta, regista degli ultimi quattro: Alessio Maria Federici.
I Personaggi:
Nel 1998 Daniel Mottola è un bambino con due grandi passioni: i videogiochi e Ines, la sua vicina di casa. Intraprendente e spigliato con gli amici Sandro e Lu, coraggioso con i nemici, Daniel è invece un ragazzino timido e imbranato quando si tratta di sentimenti. E infatti quello di dare il primo bacio sembra un miraggio lontanissimo. Per ora fa le prove con lo specchio.
Nel presente, Daniel è direttore creativo di un’azienda napoletana che sviluppa app, ma da tempo non riesce più a crearne una nuova, così come da sei anni non riesce ad innamorarsi. Trovare l’idea giusta in fondo è come trovare l’anima gemella, e ogni giorno Daniel non fa altro che cercare entrambe le cose, destreggiandosi in un mondo che va velocissimo. Lui però è rimasto il Daniel di sempre: intraprendente e coraggioso, legatissimo agli amici – ormai soci – Sandro e Lu, un adorabile imbranato con le donne.
Nel 1998 Matilda Pastore è una tredicenne taciturna e arrabbiata che nasconde l’assenza di forme sotto improbabili tute di pile, col risultato che i compagni di scuola la chiamano “maschio” e non ha ancora dato il primo bacio. Come se non bastasse, suo padre è andato via di casa per inseguire il sogno di diventare un attore famoso. Cresciuta prendendosi cura della madre e della sorellina, Matilda oggi è un’adulta meno arrabbiata e decisamente più simpatica, ma in qualche modo è rimasta ancorata al passato: fa la restauratrice in una piccola bottega a Spaccanapoli, paga ancora le bollette della madre e non ha mai risolto per davvero il rapporto con suo padre, che l’ha lasciata con un dubbio: meglio fare la cosa giusta per se stessi anche se questo può ferire le persone che ami, oppure fare ciò che gli altri si aspettano anche se può fare del male a se stessi?
Nel 1998 Lu è un bambino buono e leale, che condivide con i suoi amici la passione per i videogiochi. È sempre preoccupato per qualsiasi iniziativa partorita dalle menti molto più fervide e coraggiose di Daniel e Sandro, che lo apostrofano spesso con “Stai zitto Lu!”, anche per via delle sue terribili gaffe. Crescendo, Lu è diventato programmatore: la passione per la tecnologia è evidentemente una componente fondamentale nella sua vita, quella per le donne un po’ meno. E la sua vena da gaffeur ha lasciato il passo a un inaspettato piglio filosofico.
Per carisma e iniziative il Sandro del 1998 è sicuramente il leader di questo gruppo outsider di amici, quello che non sta mai zitto e ha una capacità innata di mettersi (e mettere tutti) nei guai. Sandro è quello che ha la faccia tosta di mettersi sempre in prima linea e ringhiare quando c’è da difendersi dai bulli come Antonio. Anche se di solito finisce sempre per prenderle. La versione adulta di Sandro è quella che sembra assomigliare di più al bambino del 1998, la sua parlantina sciolta ne ha fatto il direttore commerciale dell’azienda. Cosa è cambiato? A dispetto di ogni pronostico dei tre amici Sandro è l’unico sposato…
Favolosa nei suoi fuseau a fantasia, la Ines del 1998 è sicuramente la ragazza più bella delle medie. O almeno così la vede Daniel, che è perdutamente innamorato di lei. Ines è la migliore amica di Matilda, ma è il suo opposto: la sua famiglia è unita e il suo primo bacio l’ha già dato. Nonostante le differenze, la loro amicizia è sopravvissuta negli anni e ancora oggi è l’amica spumeggiante ed estroversa dalla battuta pronta, che all’occasione sa fornire anche saggi consigli “da donna felicemente sposata”.
Tecnico dell’azienda dei telefoni, nel 1998 Bruno porta – letteralmente – internet dentro casa. Quando rientra dal lavoro vorrebbe godersi un po’ di calma e tranquillità con la sua famiglia, ma con due figli di 13 e 8 anni la calma e la tranquillità si sono trasferite altrove. Così finisce spesso per perdere le staffe e urlare, contribuendo al caos che regna sovrano. Fortuna che a riportare l’ordine e mettere in riga tutti ci pensa Rosaria, donna dal piglio forte e dalla lingua tagliente. Oggi, a parte qualche capello bianco, Bruno e Rosaria, non sono poi così cambiati: vivono sempre a Procida e nonostante i continui battibecchi, a quanto pare non si sono ancora stancati l’uno dell’altra.
Alla conferenza stampa di stamattina per la presentazione di Generazione 56k c’eravamo anche noi e, cogliendo l’occasione per ringraziare l’ufficio stampa e tutta la produzione della serie, ti vogliamo raccontare cosa ci hanno detto cast e autori!
Francesco Ebbasta ha raccontato in che cornice nasce la serie, come mai è stata ambientata tra Procida e Napoli e cosa lo ha ispirato.
Riusciamo ancora a distinguere quello che ci rende felici, da quello che dovrebbe renderci felici? Mosso da questa assuefazione possibilista, mi ero ritrovato a scavare tra i ricordi semplici di quando eravamo bambini. Il primo bacio, le prime VHS.In questa serie non ci sono maschi alfa: gli uomini sono fragili, vulnerabili, hanno paura ad ammettere che non gli va di fare sesso, e vomitano ai primi appuntamenti.È questo quello che più mi eccita di questa storia, e della possibilità di averla potuta raccontare: la commistione. Personaggi moderni, e atmosfere dal sapore antico. La sensazione, nonostante si stia parlando di app di incontri, di star respirando un po’ d’aria di vecchia commedia.
La serie vuole riscoprire cosa ci fa stare bene, la forza si superare quella moderna fobia denominata FOBO (Fear Of Missing Out) la paura di perdersi qualcosa, quel costante dubbio che ci sia qualcosa che desideriamo più di ciò che abbiamo. C’è una forte e percepibile ispirazione a Massimo Troisi, le atmosfere dell’isola di Procida riconducono subito il pensiero a Il Postino, ma anche a Mediterraneo, senza contare poi che nella colonna sonora sono state inserite musiche di Luis Bacalovper creare un’atmosfera classica, senza tempo, immortale e che il direttore della fotografia, Francesco Di Giacomo è figlio di colui che fu direttore della fotografia proprio nel film Il Postino: Franco Di Giacomo.
Anche Alessio Maria Federici spiega di aver adattato le riprese ai due “tempi” narrativi distinguendo il 1998 con il 2021 soprattutto nella tecnica di regia utilizzata:
In accordo con il direttore della fotografia ho cercato di mischiare dei movimenti di macchina studiati per raccontare da vicino le espressioni degli attori insieme a campi larghi, più cinematografici e descrittivi, soprattutto nella stupenda location di Procida, per poter gestire i tempi del racconto.Ho provato a differenziare la posizione della macchina da presa in tutte le situazioni con i bambini abbassandola a quello che è il loro punto di vista – determinato fondamentalmente dalla loro altezza – dando quindi una proporzione diversa rispetto agli adulti e agli ambienti che i nostri piccoli protagonisti si trovano a vivere.Generazione 56K è la mia prima esperienza nella serialità e per questo è stata una sfida e una scoperta continua di novità narrative che non conoscevo, come ad esempio l’importanza di dare una storia verticale ad ognuno degli episodi.
Francesco Ebbasta ha chiarito la precisa volontà di non rappresentare Napoli come una classica cartolina, ma nella sua essenza più concreta, moderna e multiculturale, per creare un connubio tra classicismo e modernità. Anche nei colori è stata utilizzata una palette di base molto simile per entrambe le linee temporali narrative, per Procida ed il passato sono stati “pastellati” tutti i toni, mentre per Napoli ed il presente, sono stati accentuati i toni del mattone, bordeaux, per dare idea della spensieratezza della fanciullezza opposta alla serietà e alle complicazioni della vita da adulti.
Il cast ha risposto a diverse domande e quando è stato chiesto quale fosse la loro personale FOBO, hanno risposto così:
- Ho paura di avere paura di perdermi qualcosa, cerco di non pensarci neanche. Perché sarebbe un pensiero ossessivo, una sfida persa in partenza – Angelo alias Daniel
- Ho paura di avere rimpianti più che rimorsi – Cristina alias Matilda
- Ho paura che il mondo non smetta mai di essere così crudele o che accada giusto tipo un paio d’anni dopo la mia morte, che sarebbe una cosa sfigatissima. Ma più banalmente ho paura di perdermi l’ultimo, supertecnologico modello di playstation che rileva i movimenti del corpo – Fru alias Lu
- Ho paura di non riuscire a comunicare tutti i diversi aspetti di me stesso e di rimanere incastrato in un solo genere – Fabio alias Sandro
- Ho paura di non riuscire a rimanere sempre fedele a me stessa – Claudia alias Ines
La colonna sonora di Generazione 56k è stata curata da Michele Braga che ha deliberatamente scelto atmosfere indimenticabili e brani amati, colonna sonora della vita di tutti noi partendo da brani anni ’50 e ’60, sino agli straordinari 883, tipicamente anni ’90.
Ho composto diverse canzoni per questa serie, potendo contare sulla dolcezza e il calore della voce della cantautrice Bea Sanjust, autrice anche di alcuni testi. Questi brani, contraddistinti da un approccio timbrico indie-folk, bene si inseriscono in un contesto di brani di repertorio molto vario, che spazia dagli 883 alla cantautrice francese Soko, dai Jealous of the birds ai Pompelamousse. Ampio spazio ha infine l’utilizzo di diverso repertorio anni Cinquanta (Paul Anka) e Sessanta (The Marvelettes, The Crystals) dalle armonie calde e rassicuranti, oltre a un omaggio alla musica italiana nel locale karaoke (Maledetta primavera di Loretta Goggi e Amore disperato di Nada).
Ho chiesto, poi, ispirata da un post Facebook dell’attore Fabio Balsamo, cosa mancasse loro di più degli anni ’90 premettendo che a me manca moltissimo il senso di possibilismo che rendeva tutto un “progetto” e non un “sogno”, le ore e i giorni trascorsi a raggiungere un obiettivo con tutta la passione e la determinazione di ragazzini che sono convinti che tutto sia possibile, perché era davvero tutto possibile.
- Mi manca il tempo. Quell’approccio lento alle cose, anche nei rapporti con gli altri. Il rispetto dell’altro e dei suoi tempi. Oggi con whatsapp, attendere 15 minuti la risposta ad un messaggio, soprattutto se appare la doppia spunta, ci sembra un’eternità. Negli anni ’90 quei quindici minuti non erano niente, perché ci si prendeva anche il proprio tempo – Angelo Spagnoletti
- Mi manca il fatto che prima ci si doveva impegnare per le cose, ci si doveva ingegnare. Invece adesso è tutto accessibile e più facile in apparenza. Ma solo in apparenza – Cristina Cappelli
- Mi manca…non lo so, sono nato nel 1995. Mi manca come mi cambiavano i pannolini? No, non saprei. Io non sono davvero un trentaduenne, dopotutto essere un attore è anche questo – Gianluca Fru
- Mi manca la privacy. Che alcune incontri che facevo o cose che vivevo le sapevo soltanto io. Che tornato dalle vacanze sentivo i racconti dei miei amici e decidevo a chi raccontare le mie esperienze e invece ora si sa tutto di tutti, anche se non vuoi – Fabio Balsamo
- Mi viene subito in mente MSN. Perché ricordo vividamente le lotte con le mie due sorelle per conquistare una mezz’ora di collegamento ad internet (che, tra l’altro, costava tanto!) per chattare su MSN e non per quella scoperta tecnologica in sé, ma per la magia dell’aspettativa, per l’emozione che ne derivava, la consapevolezza che non era un’esperienza da dare per scontata – Claudia Tranchese
- Tutto, prima, in qualche modo, era legato ad una scrivania. Una scrivania alla quale ti sedevi per collegarti e connetterti con qualcuno, ora invece ovunque tu sia tutti si connettono con te, che tu lo voglia o no. E’ paradossale sentir parlare addirittura di “diritto alla disconnessione”, come se ormai rimanere costantemente connessi o attaccati ad un cellulare, fosse la normalità – Francesco Ebbasta
- Mi manca raccontare qualcosa a qualcuno a voce o anche sentirti fare una domanda alla quale non sai rispondere nell’immediato e dunque accendere il cervello e magari uscirtene con una sciocchezza assurda per non deludere l’interlocutore, per dare una risposta. Invece ora è tutto verificabile nell’immediato e si è perso il “colore” di quell’improvvisazione creativa nelle conversazioni – Davide Orsini