La mia via (Going My Way)
Regia: Leo McCarey; soggetto: Leo McCarey; sceneggiatura: Frank Butler e Frank Cavett; fotografia (B/N): Lionel Lindon; scenografia: Hans Dreier e William Flannery; costumi: Edith Head; colonna sonora: Johnny Burke, Robert Emmett Dolan, Jimmy Van Heusen; montaggio: LeRoy Stone; interpreti: Bing Crosby (padre Chuck O’Malley), Barry Fitzgerald (padre Fitzgibbon), Frank McHugh (padre Timothy O’Dowd), James Brown (Ted Haines Jr.), Gene Lockhart (Ted Haines Sr.), Jean Heather (Carol James), Porter Hall (Mr. Belknap), Fortunio Bonanova (Tomaso Bozanni),
Eily Malyon (Mrs. Carmody), The Robert Mitchell Boy Choir (Choir, accreditato come Robert Mitchell Boy choir), Risë Stevens (Genevieve Linden); produzione: Leo McCarey per Paramount Pictures; origine: USA – 1944; durata: 126′.
Trama
Il giovane e atletico reverendo O’Malley (Crosby) viene inviato dai suoi superiori nella piccola e sonnolenta parrocchia di Saint Dominic, nei sobborghi di New York, per aiutare l’ormai anziano padre Fitzgibbon (Fitzgerald), parroco lì da quarant’anni. O’Malley comprende l’iniziale ostilità del vecchio e burbero sacerdote, il quale si sente messo da parte a causa della sua veneranda età, così finge di mettersi ai suoi ordini e di assecondarlo, aiutandolo con energia ed entusiasmo. In breve tempo, la ventata di freschezza portata da O’Malley riesce a far rifiorire la parrocchia, salvandola dalle difficoltà finanziarie in cui versava da tempo. Dove regnavano rabbia e rassegnazione, l’ugola d’oro del protagonista riporta serenità e voglia di vivere tra gli abitanti del quartiere.
Un regista col senso del comico
Quella di Leo McCarey è una storia come tante se ne sentono sulla Hollywood dei tempi che furono. Laureato in legge esercitò la professione di avvocato prima del fallimento del suo studio legale. Si avvicinò al cinema soprattutto come battutista del comico Hal Roach, storico produttore di comiche dei tempi del muto. Vicepresidente e supervisore dell’intera produzione comica del gruppo di Roach, impose il proprio spirito deciso e attento al minimo particolare, visionando di persona tutta la produzione dei film, dal soggetto all’anteprima. Secondo la tradizione McCarey fu uno dei primi ad intuire il potenziale comico irresistibile di Stan Laurel e Oliver Hardy; l’idea di metterli insieme funzionò sin dal loro primo film: Metti i pantaloni del 1927 fu scritto e girato da McCarey col fenomenale duo di comici in meno di una settimana, nonostante nei titoli di testa venga accreditato come regista Clyde Bruckman. Con l’avvento del sonoro McCarey decise di passare dietro la macchina da presa, diventando così uno dei maestri della commedia hollywoodiana sofisticata con film come L’orribile verità, per il quale viene incoronato miglior regista dell’anno nel 1937, vincendo il suo primo Oscar.
Direttore d’orchestra dal tocco elegante e raffinato, McCarey fu anche un discreto pianista, in grado di collaborare alle musiche delle sue pellicole. Ciò vale in particolar modo per La mia via, commedia musicale al servizio di Bing Crosby, reduce dallo straordinario successo ottenuto con una delle canzoni più iconiche del ventesimo secolo: la celeberrima White Christmas. Il film di McCarey piacque al pubblico, oppresso in quel momento dall’incubo della Seconda Guerra Mondiale in cerca di svago e – perchè no – di buoni sentimenti e speranza per il futuro. Ai Golden Globe La mia via trionfò come film drammatico (!), portando a casa anche il trofeo alla regia e all’attore non protagonista Barry Fitzgerald per il ruolo del burbero padre Fitzgibbon.
Il racconto del redattore
Scorrendo la cinquina dei finalisti, in concorso quell’anno per aggiudicarsi la statuetta per il miglior film, con buona pace de La mia via, amatissimo dal pubblico, c’è molto di meglio. Ad esempio Angoscia di George Cukor, premiato per il team di scenografi guidato dal grande Cedric Gibbons, ma soprattutto per la migliore attrice protagonista Ingrid Bergman nella parte di Paula Alquist, nipote di una cantante lirica assassinata alle prese con uno spietato quanto astuto ladro di gioielli. Come dimenticare poi uno dei capolavori assoluti del geniale Billy Wilder, capace di confezionare un noir da manuale con il sulfureo e inquietante La fiamma del peccato, che non vince nulla (ad essere penalizzata è soprattutto la maliarda Barbara Stanwyck, che da quel momento sarà considerata la dark lady per eccellenza, mentre Wilder si consolerà l’anno successivo grazie a Giorni Perduti. Leggermente meglio va a un altro capolavoro del genere: Vertigine di Otto Preminger, perdonato dal produttore Darryl F. Zanuck il quale lo aveva cacciato dalla 20th Century Fox due anni prima, ottiene un clamoroso successo al botteghino ma deve accontentarsi di cinque nomination e un premio alla fotografia. Completamente ignorati altri due capolavori noir come La donna fantasma di Robert Siodmak e La donna del ritratto dell’esule austriaco Fritz Lang. Distribuiti i trofei minori si passa allo scontro frontale tra il film di LeoMcCarey sotto l’egida della Paramount e il faraonico biopic Wilson di Henry King, girato per la 20th Century Fox, costretto ad accontentarsi di cinque statuette (sceneggiatura originale, fotografia e scenografia a colori, montaggio, suono). A imporsi è La mia via con sette Oscar di peso al miglior film, alla regia, al soggetto, alla sceneggiatura, all’attore protagonista Bing Crosby, all’attore non protagonista Barry Fitzgerald – nominato per lo stesso film sia come comprimario che come interprete principale, caso unico nella storia – e alla canzone Swinging on a star (in alto il filmato), scritta da James Van Heusen con le parole di Johnny Burke e cantata con timbro caldo e gradevole da Bing Crosby e Ann Rutherford.