Una donna, una mamma, una moglie: pezzi che compongono la vita e la personalità di Martha (Vanessa Kirby), protagonista di Pieces of a woman. Martha è incinta di nove mesi e quando si accorge che le stanno arrivando le prime contrazioni, scopre che la sua ostetrica di fiducia è impegnata in un altro travaglio. Così la vita sua e della sua bambina è affidata ad un’estranea, che risulta inesperta, quasi impacciata fin dal primo momento.
Dopo urla, dolori e tormenti, tra le braccia del marito e spostandosi in diverse stanze della casa per trovare il momento perfetto, Martha riesce a dare alla luce sua figlia. L’ostetrica piange, si consola, non può credere al suo operato, ma poi si guarda allo specchio, fissandosi: qualcosa non va. Molla tutto quello che aveva in mano, strappa la bambina dalle braccia di sua madre. Cos’è? Il cordone? Il pianto? Un osso spezzato? No, è il battito, la bambina non ha ossigeno. “Chiama immediatamente il 911”, dice al marito di Martha, “deve andare in ospedale”. L’ambulanza arriva, i tentativi di salvarla non risultano sufficienti, la piccola viene al mondo con dolore, e con lo stesso identico dolore va via.
Sono questi i primi 23 meravigliosi ed estenuanti minuti di Pieces of a Woman, il nuovo film di Kornél Mundrczó presente su Netflix dal 30 dicembre 2020. Il regista non bada a delicatezze o a riservatezze, il dolore che attraversa Martha durante tutta la prima fase del parto è quasi tangibile per lo spettatore, soprattutto per le donne. La paura di quello che può accadere, di cosa stia accadendo al corpo prima di un parto viene poi rischiarato dalla nascita: il miracolo della vita e del dolore.
Ma Pieces of a woman non è solo questo. Certo, quei primi minuti sono la parte migliore del film, che dopo divaga in alcuni punti, in altri si perde totalmente, ma qui stiamo parlando dell’angoscia e della solitudine, stiamo parlando di una donna che doveva aggiungere un pezzo a se stessa, quello di essere genitore, ma non ce l’ha fatta. E allora accade che anche gli altri pezzi crollano: non riesce ad essere più una moglie, una figlia, una sorella. Per ricomporsi ha bisogno di ricongiungersi con quello che l’ha spezzata: la morte di sua figlia.
Kornél Mundrczó torna con un film più maturo rispetto ai precedenti Una luna chiamata Europa e White God , quest’ultimo gli aveva conferito anche il premio Uncertain Regards a Cannes. Se nel primo c’era l’elemento fantastico e nel secondo il mondo animale era preponderante, con Pieces of a woman si consuma un dramma puramente umano. L’azzardo tematico è palpabile, ma il regista cavalca l’onda senza alcun problema dandoci un film che non pretende essere un capolavoro autoreferenziale, ma vuole raccontare una storia.
Una regia non troppo difficile dirige situazioni molto complesse, con qualche primissimo piano che ci lascia confusi, come quello sul collo della protagonista all’inizio e alla fine, tuttavia l’occhio della telecamera si fa a volte dinamico (come nelle sequenze a casa della protagonista) a volte più lento. Il montaggio è semplice, la storia è narrata in maniera classica, senza tante sorprese narrative.
Tutto il complesso rende giustizia a ciò che si vuole raccontare, ma non possiamo esimerci dal dire che Mundrczó avrebbe potuto rasentare il capolavoro se tutto il film avesse avuto il sapore della prima prima parte.
Pieces of a woman, nonostante si caratterizzi per i suoi momenti iniziali, ha ragione d’essere visto fino alla fine, con tutta l’angoscia che ne consegue, perché ciò che di importante si comprende è che metabolizzare il lutto non è mai, purtroppo o per fortuna, qualcosa che si affronta da soli. Nel film è il “purtroppo” che emerge, tra un marito incapace di sostenere il peso di quanto accaduto ed inerme di fronte alla chiusura della moglie, una mamma propensa ad esorcizzare il dramma con un processo all’ostetrica per fare giustizia e conoscenti indelicati che non risparmiano parole taglienti.
Questo è il mondo in cui si ritrova Martha, la quale in copiose sequenze mangia una mela, il frutto che ha il profumo di sua figlia. Quando possiamo vedere sorridere una donna in queste condizioni? Un ricordo: quello delle foto scattate con la figlia subito dopo il parto, ecco che si ritrova, dopo quasi un anno, faccia a faccia con quello che ha perso, anche se racchiuso in una foto: Martha sorride, scioglie il processo, è serena, ha perdonato se stessa e gli altri, ha ritrovato il suo pezzo mancante.
Una Vanessa Kirby meravigliosamente brava incarna tutta la sofferenza che il regista vuole far arrivare allo spettatore, si conferma il suo talento emerso anche dall’ormai rinomata serie The Crown. A non aver bisogno di confermare il talento è invece Shia LaBeouf che già sappiamo essere uno dei più bravi attualmente, inoltre il suo ruolo di marito tormentato, infedele e tossicodipendente è lo specchio di quello che l’attore sta realmente vivendo in questo periodo, dopo essere stato accusato di violenze fisico/psicologiche dalla moglie (clicca qui per approfondire).
Non mancano le lodi anche ad Ellen Burstyn che si fa amare sempre di più dal pubblico e lascia traccia di sé anche in film come questo, che non la vedono coprire un ruolo principale.
Un film del genere, infine, ha tutti i diritti di trovarsi tra i candidati agli Oscar, ma purtroppo dobbiamo attendere gli sviluppi della vicenda LaBeouf, intanto te lo consiglio, caro lettore, a patto che tu non sia particolarmente sensibile al tema o non stia aspettando un bambino!
Qui il link per vedere Pieces of a woman su Netflix: https://www.netflix.com/it/title/81128745