Qualche settimana Back to the vintage ha fatto la sua prima incursione nella cinematografia del Principe della risata, presentando una commedia diretta da Mario Mattioli, tratta da una commedia di Eduardo Scarpetta Miseria e nobiltà.
Bene, quella pellicola fa in realtà parte di un trittico che Mattioli decise di dedicare a Scarpetta, e che vede come interprete principale Antonio De Curtis, in arte Totò.
Il primo dei tre film fu in realtà Un Turco Napoletano, che arrivò nelle sale nel 1953, tratto appunto dalla farsa Nu turco napulitano (1888) a sua volta ispirata a La Parisienne di Edmond Gondinet.
La trama
Totò interpreta Felice Sciosciammocca, un uomo forzuto ma dal cuore nobile, arrestato per essersi accollato la colpa di un delitto in realtà commesso da altri.
In carcere familiarizza con un lestofante che si fa chiamare Faina e, quando viene a conoscenza della sua condanna a morte, Felice accetta la sua proposta di evasione, piegando senza problemi le sbarre della cella.
Appena usciti di prigione, i due incontrano un forestiero turco che chiede indicazioni per la stazione, poiché deve recarsi a Sorrento per non specificati motivi di lavoro.
Faina e Felice lo stordiscono e lo derubano e il primo convince il secondo ad andare a Sorrento con i documenti dello sconosciuto per assumerne posto di lavoro e identità.
Felice scopre così che il turco avrebbe dovuto prestare servizio presso la bottega di Pasquale Catone, uomo ricco ma gelosissimo della seconda moglie Giulietta e della figlia di primo letto, Lisetta.
Pasquale in effetti si aspetta un lavoratore straniero e con un “difetto”, il quale può far comodo alle esigenze di Pasquale che lo mette ai servigi/guardia della moglie e della figlia, il resto del film è tutto un programma e fra equivoci, scherzi e le battute a cui Totò ci ha abituati, Miseria e nobiltà è in grado di far trascorrere attimi allegri e spensierati, un film che non stanca mai, e che si rivede volentieri.
Oltre al grande Totò che veste i panni di Felice, nel cast di Un turco napoletano troviamo, fra gli altri, anche Carlo Campanini nel ruolo di don Pasquale, Isa Barzizza nella parte della moglie Giulietta, e Aldo Giuffrè in quella di Faina, tutte degne spalle del comico napoletano.
I temi rivoluzionari e la censura
Vari sono i temi importanti e di grande attualità trattati nel film. Se per anni infatti l’Europa si è interrogata sulla liceità del burkini, c’è da ricordare che, in un passato neanche troppo lontano, anche le nostre donne erano ahimè “costrette” a fare il bagno con questo tipo di costume da bagno che copre interamente il corpo, esclusi la faccia, le mani e i piedi.
Cento anni fa e anche meno infatti, i cattolici non erano molto differenti in merito al pudore dei costumi. E poi? Qualcosa è cambiato, e ad anticipare i tempi è stato proprio genio della risata di nome Totò che in una famosa scena di questo film altrettanto famoso, ma bersagliato dalla critica, invita le donne a liberarsi dei burkini dell’epoca e a mettere in mostra il loro corpo.
“Aria, aria all’epidermide”
ripeteva alle signore Totò strappando strati di un castigatissimo pezzo intero che copriva collo, braccia e gambe. Non era certo una scena dettata dalle ideologie per l’emancipazione della donna, ma nell’immaginario collettivo forse ha ottenuto molto di più che cento cortei delle femministe in strada (che all’epoca in Italia non c’erano).
Così si cambiava il “costume” ai tempi di Totò, quando ancora le Kessler non avevano fatto vedere le loro gambe in tv, e la minigonna avrebbe dovuto attendere ancora dieci anni prima di regalare un pò di grazia al gentil sesso.
Proprio a causa di questa “scabrosa” tematica e di quella politica, anch’essa molto forte, dirompente e inusuale per l’epoca, all’ uscita della pellicola gli spettatori trovarono una spiacevole sorpresa, il divieto imposto dalla censura.
Il veto fu motivato dall’ argomento trattato: un eunuco proveniente dalla Turchia incaricato da un marito geloso di vigilare sulla buona condotta della moglie.
Anche se in un primo momento il lungometraggio non aveva trovato particolari ostacoli, ottenendo anche una generica approvazione da parte del temibile funzionario censuratore dell’ epoca, Annibale Scicluna Sorge, compiaciuto per l’ ambientazione risalente a quarant’ anni prima, al momento dell’ uscita il film fu vietato ai minori di 16 anni.
Se la celebre battuta:
“La donna è mobile e io mi sento mobiliere”
destò sospetti negli austeri burocrati, nella vicenda non mancava anche un’ acuta satira politica con la vicenda dell’ onorevole Enrico Cocchetelli, interpretato da Mario Castellani, in compagnia di una ballerina francese del Salone Margherita spacciata per la moglie.
La soubrette cade nelle braccia di Totò al grido:
“Bimba, alle urne…”.
Altra battuta che non dev’ essere piaciuta ai censori poco inclini a divagazioni politiche.
Storie di tradimenti quindi, ma anche di come conquistare voti con favori e ospitate private che danno lustro e importanza anche ad una festa di fidanzamento, dove lo scandalo la fa da padrone.
Un’altra scena sicuramente sui generis e molto forte per l’epoca, è quella che rompe gli equilibri familiari che il buon Pasquale aveva faticosamente costruito.
Lisetta, incitata da Felice, dà vita a uno scandalo lasciando il ricco quanto odioso fidanzato che il padre vorrebbe farle sposare; la ragazza è innamorata di un giovane, che ricambia il sentimento, con pochi soldi, ma educato, gentile e poetico.
Curiosità e scene memorabili
Il film presenta anche alcuni momenti musicali, e Totò ci ha regalato bellissimi brani scritti di suo pugno. Anche qui, durante la festa di fidanzamento di Lisetta, quando Felice si esibisce in una danza allegra invitando a ballare le donne più belle di casa, nel perfetto stile “sciupa femmine”, lo fa sulle note del brano Carmè, Carmè composta dallo stesso Totò cantata dalla voce Franco Ricci.
Questo brano sarebbe stato ripreso, 13 anni dopo, da Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini.
Sceneggiato tra gli altri anche da Mario Monicelli, il film ebbe come direttori della fotografia Riccardo Pallottini e Karl Strauss, collaboratore di Charlie Chaplin in Luci della ribalta e fu ambientato a Sorrento, anche se in realtà, le scene in esterna, furono girate sul litorale laziale a San Felice Circeo.
Preceduto da Sette ore di guai girato nel 1951, dove il principe lavorava insieme a Giulietta Masina, Un turco napoletano, come già detto, è il secondo film in cui Totò recita un testo di Scarpetta seguiranno, Miseria e nobiltà (di cui ho già parlato) e Il medico dei pazzi (a cui dedicherò prossimamente un altro appuntamento di Back to the vintage).
Fra le scene memorabili, di sicuro quella in cui Totò sta per entrare dentro la tenda dove ci sono tutte le ragazze più o meno discinte è fra le più belle, non solo perché ci mostra uno spaccato vero e reale della condizione della donna, come dicevo prima, ma anche perché l’espressione di Totò, quasi pietrificato, la dice lunga su quale fosse il suo pensiero in quel momento.
Dietro il suo volto in quel momento c’ è un mondo di desideri che stanno per essere appagati e lui si ferma sulla soglia perché non ha deciso ancora se sia più bello stare lì a godere di questo momento esaltante o di varcare la soglia e affondare in questo piacere che però potrebbe anche deludere.
Molto divertente è invece una delle scene iniziali, quando il secondino entra nella cella per prendere le misure ai condannati a morte.
Va in scena una vera e propria commedia degli equivoci
“Le scarpe le voglio larghe di dentro e strette di fuori. Sapete, ho i piedi che mi hanno fatto una cattiva riuscita”
e l’immensità del genio Totò sta proprio nel rendere leggero e spensierato anche un momento simile.
Un turco napoletano fu visto da quasi cinque milioni di spettatori incassando oltre 600 milioni di vecchie lire, e pur iniziando con una falsa rappresentazione teatrale al teatro San Carlino di Napoli, datata 24 febbraio 1904 resta, a quasi 70 anni dall’ uscita, una delle più amate e celebri commedie del comico partenopeo.