Non saprei dire se sto esagerando a considerarlo il “Re Mida” delle serie TV, ma è certo che Ryan Murphy, negli ultimi 20 anni è riuscito ad ottenere con i suoi prodotti successi sempre maggiori. Dai tempi di Nip/Tuck il cui primo episodio è andato in onda nel 1999, ne ha fatta di strada e in tutto questo tempo lui e i suoi collaboratori storici, Brad Falchuck in primis, hanno sfornato show televisivi in grado di catalizzare l’attenzione di milioni di telespettatori. E’ il caso di Glee, American Horror Story, ma anche dei prodotti più recenti come Pose o The Politician.
Ora il produttore sta per tornare su Netflix con una serie che è una vera e propria dichiarazione d’amore per la Hollywood del dopo guerra e che, allo stesso tempo, ne condanna i comportamenti discriminanti di chi ci lavorava dietro le quinte. Abbiamo visto in anteprima Hollywood, il nuovo lavoro di Ryan Murphy. Creata e prodotta assieme a Ian Brennan, altro storico collaboratore di Murphy dai tempi di Glee, la miniserie sarà disponibile per tutti gli abbonati a Netflix a partire dal prossimo primo Maggio.
Già dalle prime scene si capisce che la Hollywood del dopo guerra (allora chiamata Hollywoodland), è il sogno di moltissimi artisti che mirano a puntare al grande schermo e tantissimi si accalcano di fronte ai cancelli della Ace Studios pur di comparire, anche per una frazione di secondo, al fianco di attori diventati famosi e far parte anche per un solo minuto del brillante mondo del cinema. E’ un mondo patinato e dominato da edifici color pastello quello creato da Murphy e Brennan, ma quando tutto sembra gridare “E’ Hollywood! Non c’è posto migliore al mondo”, si scopre che in realtà il meccanismo che muove il complicato mondo dello show business è ben più complesso e misterioso.
Accade così che giovani attori, sceneggiatori o registi, si abbassino alle pratiche più assurde, e talvolta umilianti, pur di accaparrarsi un posto fra le stelle. E quindi succede che quello che sembra solo un distributore di benzina nasconda in realtà servizi ben diversi da quello che sembra e proprio qui un giovane ragazzo, Jack Castello (David Corenswet), sposato e con la moglie incinta di due gemelli, decide di iniziare a lavorare come gigolò per potersi guadagnare qualche soldo in più per acquistare una casa e mantenere la moglie e i figli in arrivo, sempre con la mente rivolta verso l’olimpo di Hollywood, quella che sembra essere una delle maggiori case cinematografiche del momento, la Ace Studios.
E sarà proprio in questo distributore che conoscerà l’infelice moglie del presidente degli studios, Avis Amberg (Patti LuPone) che, dopo essersi garantita i suoi “servizi” gli garantirà l’accesso ai provini per un nuovo film. Con il proseguire della storia, Jack conoscerà altre persone desiderose, come lui, di diventare delle stelle del cinema e si unirà ad Archie Coleman (Jeremy Pope) e Raymond Ainsley (Darren Criss), rispettivamente sceneggiatore e regista di quella che sembra essere una pellicola interessante, che vuole raccontare la storia di Peg Entwistle che si suicidò gettandosi dalla lettera H dell’insegna di Hollywoodland (dando il via, successivamente ad una tristemente lunga serie di suicidi dello stesso tipo) dopo aver perso il lavoro.
Il gruppo si dovrà scontrare però con i pregiudizi dell’epoca. Uno sceneggiatore di colore non era visto di buon occhio dalle produzioni americane, al punto da arrivare a proporgli di accreditare la sceneggiatura ad un’altra persona, purchè bianca. Così come i produttori dell’epoca non avrebbero mai accettato di vedere una ragazza nera, sebbene eccezionalmente dotata dal punto di vista attoriale, protagonista di un film del genere.
Il colpo di scena arriverà però proprio nel bel mezzo della produzione, quando Avis sarà chiamata a dirigere temporaneamente gli Ace Studios e spronata dai collaboratori Ellen Kincaid (Holland Taylor) e Dick Samuels (Joe Mantello) deciderà di osare e di sfidare proprio quei pregiudizi e le discriminazioni dell’epoca rischiando addirittura il fallimento della società.
Il bello di Hollywood sta proprio in questo. Ryan Murphy ha deciso di prendere parte della vera storia di Hollywood e, in un certo senso, di riscriverla, immaginando un futuro in cui i pregiudizi e le discriminazioni non hanno avuto la meglio in quel periodo e trascinandoci in una scalata al successo che fa davvero comprendere le difficoltà di molti artisti dell’epoca, relegati a ruoli marginali o addirittura nascosti dietro ad altri nomi solo per via di differenze di genere, sessuali o razziali.
Hollywood ci porta quindi nel dietro le quinte di una produzione cinematografica nel fiore degli anni, quando tutto era glamour e di classe e lo fa con una sceneggiatura precisa, diretta, a tratti addirittura disturbante, così come la regia, che non si risparmia su scene più spinte e che fa del linguaggio forbito una delle maggiori armi. La stessa fotografia fa da contorno alla storia, risultando quasi accecante nella prima parte e diventando via via più realistica man mano che le vicende procedono verso il finale. Incredibilmente ben ambientata, i produttori hanno avuto un occhio di riguardo verso i dettagli e i costumi ricostruendo magnificamente l’epoca d’oro del cinema di Hollywood.
Contrariamente a molte produzione di Murphy e Brennan, questa volta non si è optato per scelte anacronistiche. La colonna sonora, ad esempio, richiama brani tipici dell’epoca e non mancheranno brani a ritmo di jazz o charleston. Inoltre mancano pezzi musicali cantati, che quasi sempre contraddistinguono i lavori del produttore statunitense. L’intera miniserie è concentrata sulla difficile scalata dei protagonisti che vogliono con tutte le forze far avverare i loro sogni. La sigla iniziale vede il gruppo arrampicarsi, non senza difficoltà, sull’insegna di Hollywoodland e proprio queste immagini sono una metafora di quanto raccontato poi nella miniserie.
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A completare l’opera, si aggiunge un cast di giovani talenti e vecchie glorie che formano un gruppo omogeneo, riservando particolari sorprese. Alcuni degli attori sono già vecchie conoscenze di Ryan Murphy. David Corenswet, Darren Criss e Dylan McDermott hanno già lavorato con lui in The Politician, Glee e American Horror Story. In quest’ultima serie è comparsa anche Patti LuPone, una delle migliori interpreti di Hollywood, nel difficilissimo ruolo di Avis Amberg. Meno conosciuti gli altri giovani attori: Laura Harrier, Jake Picking, Jeremy Pope e Samara Weaving hanno avuto, finora, poche occasioni di farsi notare, recitando in ruoli minori o in film meno conosciuti e Hollywood potrebbe essere un interessante trampolino di lancio.
Tra le maggiori sorprese all’interno del cast, troviamo Jim Parsons, che, smessi definitivamente i panni di Sheldon Cooper, protagonista di The Big Bang Theory, ricopre un ruolo completamente diverso interpretando Henry Willson, un agente in grado di trasformare i “comuni mortali” in celebrità, ma dotato di un’umanità fredda e al limite del perfido in grado di umiliare come pochi i suoi clienti che, consci della fama del loro agente, decidono di subire pur di diventare grandi star. Degna di nota è anche la presenza di Queen Latifah, nel ruolo di Hattie McDaniel, attrice nota per il ruolo di Mami in Via col Vento e prima donna afroamericana a vincere un Oscar.
Hollywood è una montagna russa di emozioni che ti farà amare la Hollywood dell’epoca, ma detestare i suoi “governatori” e ti farà emozionare mentre segui le gesta dei giovani protagonisti alla ricerca del successo. Non mancheranno momenti divertenti, ma anche molto commoventi e anche tu alla fine dovrai dire: “Questa è Hollywood!”