1917 (Id.)
Regia: Sam Mendes; sceneggiatura: Sam Mendes e Kristy Wilson-Cairns; fotografia: Roger Deakins; scenografia: Dennis Gassner; effetti speciali: Greg Butler, Pier Lefebvre, Dominic Tuohy, Guillaume Rocheron; costumi: David Crossman, Jacqueline Durran; trucco: Marzenna Fus-Mickiewicz, Sara Kramer, Daniel McGraw; montaggio: Lee Smith; colonna sonora: Thomas Newman; interpreti: George McKay (William Schofield), Dean Charles Chapman (Thomas Blake), Mark Strong (capitano Smith), Andrew Scott (tenente Leslie), Richard Madden (tenente Blake), Colin Firth (generale Erinmore), Benedict Cumberbatch (colonnello Mackenzie), Claire Duburcq (Lauri); produzione: Amblin Partners, DreamWorks Pictures, Neal Street Productions, New Republic Pictures; origine: USA/Regno Unito – 2019; durata: 119′.
Trama
Francia, 6 apile 1917. Al caporale Tom Blake (Dean Charles Chapman) viene ordinato di prendere un uomo e raggiungere il comando militare. In compagnia del pari grado William Schofield (George McKay) viene ricevuto dal generale Erinmore (Colin Firth) che ordina loro di partire per una missione suicida: in 24 ore i due dovrebbero percorrere le trincee e parte del territorio nemico per raggiungere un battaglione di 1600 uomini e consegnare un messaggio che annulli un’ offensiva di massa prevista per il giorno successivo. Tra quegli uomini si trova il fratello di Blake, che accetta la missione e parte di corsa, seguito da un incerto Schofield che lo invita alla prudenza. Giungono al fronte e vengono equipaggiati: nessuno sa se oltre il filo spinato i tedeschi siano ancora in allerta o si siano ritirati. A testa bassa i due attraversano la terra di nessuno e trovano le trincee tedesche abbandonate. Stanno per imboccare la strada verso l’esterno quando si accorgono di un filo d’innesco. Un topo spaventato lo taglia e fa scattare il tranello: il tetto della grotta crolla sulle loro teste. Blake riesce a liberare Schofield dalle macerie e lo porta in spalla attraverso lo stretto passaggio, prima che l’intero soffitto frani. Usciti all’esterno,i due assistono a un duello aereo. Un biplano tedesco viene colpito e rovina al suolo. Blake decide di tirar fuori il pilota nemico, ma questi lo pugnala all’addome, prima che Schofield possa intervenire. Tra le braccia del compagno il giovane muore. Rimasto solo, il caporale si unisce a un convoglio diretto verso il battaglione che si prepara all’attacco. Percorsi pochi metri però la strada è bloccata e Schofield, visto il poco tempo a disposizione, decide di proseguire da solo. Al tramonto arriva in un villaggio semidistrutto: da una torre un cecchino solitario presidia il luogo, sbarrando il passaggio. William lo aggira e piomba alle sue spalle, i due sparano all’unisono. Buio. In piena notte il caporale si risveglia: è stato colpito all’elmetto, mentre il tiratore è morto. Nella notte percorre la cittadina e in un seminterrato trova una ragazza francese con un neonato. Invitato a restare, egli decide di proseguire la missione, ma una volta allo scoperto si imbatte nel nemico e, fuggendo, cade nel fiume. Resta miracolosamente a galla e raggiunge il battaglione, attestato sulle sponde del corso d’acqua, in tempo per consegnare l’ordine del comando al colonnello Mackenzie (Cumberbatch) che controvoglia ferma la seconda ondata dell’offensiva, salvando così la vita alla maggior parte dei soldati. Si dirige all’infermeria e trova il tenente Blake, fratello del suo commilitone. Alla domanda su dove si trovi quest’ultimo, il silenzio di William rivela la sua sfortunata sorte. Il caporale va a sedersi, sotto un albero di ciliegio in fiore, come quello che apre il film, riflettendo sull’inutilità della guerra e del coraggio di una generazione che chiede solo di poter tornare a casa.
Una storia verosimile
Dopo aver rinunciato a proseguire il franchise di James Bond, cui aveva dato nuova vita con due film credibili e avvincenti come Skyfall e Spectre, Sam Mendes si è messo alla ricerca di un progetto stimolante. Legge numerosi copioni senza trovarlo poi decide di attingere al proprio vissuto, in particolare ai racconti del nonno, che era stato per due anni in Francia, durante la Prima Guerra Mondiale. Così nasce l’idea di un film su quel periodo, cui aggiungere un tocco personale. Trovata la location in Scozia, Mendes ingaggia due protagonisti ancora alle prime armi. McKay e Chapman sono infatti due nomi semisconosciuti al grande pubblico (il secondo è noto per il breve ruolo di Re Tommen ne Il Trono di Spade), mentre il primo è noto solo per la parte di Peter Pan, risalente all’ormai lontano 2003. La scelta, oltre che coraggiosa è anche economica: il film è girato completamente in piano-sequenza, con una telecamera speciale che segue i volutamente anonimi protagonisti, talvolta mostrandoci solo quello che vedono loro, talvolta mostrando allo spettatore un paesaggio o un dettaglio grazie alla ripresa in soggettiva. Un progetto del genere richiede una sceneggiatura, una scenografia e una fotografia che funzionino all’unisono, con un equilibrio perfetto. In questo modo il lavoro di montaggio è ridotto al minimo, così come lo sono le possibilità di errore: se una scena non è perfetta dall’inizio alla fine, deve essere girata daccapo, anche se si tratta di un piano sequenza di diversi minuti, allungando oltremodo i tempi di lavorazione. Nonostante il budget di oltre 100 milioni di dollari, Mendes impiega un anno a completare il film: vi immaginate ad esempio un Leonardo DiCaprio accettare di perdere un intero anno di carriera in questo modo? Per forza di cose i nomi di grido sono relegati a ruoli secondari: il premio Oscar Colin Firth (il generale Erinmore) resta sullo schermo per meno di 3 minuti e ancora meno vediamo Benedict Cumberbatch, che nel ruolo del livoroso colonnello Mackenzie recita solo un paio battute (e gli bastano quelle per definire l’intera vicenda).
Il giudizio del redattore
Il risultato di tanto lavoro è un film tecnicamente ineccepibile, solo apparentemente girato in un unico piano-sequenza (gli stacchi di camera ci sono, così come i tagli, ma sono abilmente mascherati da momenti di buio o di pausa, inseriti ad arte nelle sceneggiatura). Nel percorrere insieme ai due caporali strette trincee e anguste gallerie la sensazione di claustrofobia è palpabile, così come la frenesia della corsa contro il tempo che sfocia in un moto perpetuo, volutamente in contrasto con una guerra di posizione, per sua natura statica. Ciò che manca, in una struttura così abilmente congegnata, è il pathos: tanto le scene del film sono spettacolari, quanto il copione è banale, piatto, privo di dialoghi coinvolgenti (l’unica battuta degna di nota è quella che ho riportato nel sottotitolo). Mendes lascia che a parlare siano i fatti e non bastano brevi momenti poetici (i ciliegi in fiore che aprono e chiudono il film) a scacciare la sensazione di essere davanti a un videogioco – al lettore appassionato potrebbe ricordare Call of Duty – fotografato, scenografato e musicato in modo superbo, ma freddo nella sua perfezione, privo di autentica emozione, se non nella morte di Blake o nel finale grazie a George McKay. Se si vuole comprendere l’atmosfera che permeava quella generazione falciata dal conflitto e tradita dall’ambizione dei propri governanti, consiglio di guardare piuttosto All’Ovest niente di nuovo di Lewis Milestone (1930) o La Grande Illusione (1939) di Jean Renoir. Restano le prodezze tecniche, le immagini sbalorditive di una pellicola che ha già vinto due Golden Globe e, forte di 10 nomination, si candida ad essere protagonista della notte degli Oscar il prossimo 9 febbraio.