Abbiamo appena pubblicato due articoli che riportano le opinioni di due giganti della cinematografia mondiale che lamentano la crisi del cinema di autore. Si tratta del regista newyorkese Martin Scorsese e del produttore francese Marin Kamitz. Scorsese è nato nel 1942, Kamitz nel 1938, appartengono quindi alla stessa generazione, si sono formati, dunque, sugli stessi film, hanno amato gli stessi registi, entrambi vedono in pericolo il cinema d’autore, eppure imputano il male a cause diverse. Scorsese ha innescato una polemica ben nota e condanna senza remissione i grandi distributori e vede in Netflix la salvezza del cinema d’autore: “In molti luoghi degli Stati Uniti, e in tutto il mondo, il franchising è l’opzione principale se vuoi vedere qualcosa sul grande schermo, questo riguarda anche me, che ho appena finito di girare un film con Netflix. Solo così abbiamo potuto realizzare The Irishman come lo volevamo e di questo sarò sempre grato. Abbiamo la possibilità di andare in sala, che è bellissimo, ma mi sarebbe piaciuto che il film fosse proiettato in più sale e per più tempo. Ma non importa con chi fai il film, il fatto è che le sale sono condizionate dal franchising”.
Kamitz, per contro, afferma che Netflix è “il nuovo predatore; si mangia il mondo intero e affronta un solo pericolo: la concorrenza della Disney. Netflix sta anche trasformando la televisione che sta soffrendo il suo dominio. Oltretutto Netflix non rispetta le regole degli altri: non paga le tasse nel mio paese, né le percentuali dei diritti al cinema francese. La filiale spagnola di mk2 paga le tasse in Spagna, ma Netflix España, no. Abusa della sua posizione dominante, come Amazon e altre imprese simili. Quando il Governo francese affronta questo problema, la risposta di Trump è aumentare i dazi ai prodotti europei”. E indica nelle sale la sola salvezza del cinema d’autore. Ora, Scorsese è un creativo, Kamitz, invece, è un produttore e proprietario di sale, un uomo d’affari, quindi, ma molto del suo genere: ai soldi ha sempre anteposto la qualità del film e non perché lo dice lui nell’intervista; tutto quello che ha fatto lo dimostra senza ombra di dubbio. Inoltre, è molto rispettoso del lavoro dei creativi: nelle sue sale si proiettano i film in originale, sottotitolati, per non perdere nulla del lavoro che hanno fatto gli attori. Infine, ha studiato all’ Institut des hautes études cinématographiques e ha iniziato come regista.
Intervenire in una questione sollevata da due autentici mostri sacri del cinema è roba che fa tremare i polsi, ma neanche possiamo liquidare tutto alludendo alla loro età veneranda. Se vi prendete la briga di leggere entrambi gli articoli, vedrete che i motivi e gli esempi addotti da entrambi sono validissimi, non si fatica a dare ragione a entrambi, eppure arrivano a conclusioni opposte; segno che il problema è molto più complesso di quel che sembra. Quindi nasce il sospetto che, pur avendo ragione entrambi, sbaglino qualcosa. Forse vedono nell’effetto la causa di tutto. Forse la vera causa non sta né nella prepotenza di Netflix, né nel condizionamento delle sale, ma in un sistema economico inumano, che non tiene conto di nient’altro che del profitto; quindi la bilancia penderebbe dalla parte di Scorsese, anche se non assolve certo Netflix. Netflix sta facendo come i ricchi borghesi che facevano sposare la figlia al nobile spiantato per elevare il proprio ceto sociale: prende registi famosi e bravi e mette a disposizione tutti i soldi che ha fatto, agendo slealmente, proprio come dice Kamitz, per potenziare l’immagine e fare ancora più soldi. Come per l‘ambiente che sta collassando, a poco serviranno la raccolta riciclata, le energie alternative, ecc. se non si cambia radicalmente sistema economico. Il capitalismo è, per sua natura, rapace, spietato e
indifferente. Il socialismo si basa su presupposti umani, ma mi duole dire che all’atto pratico non ha dato risultati migliori. Bisogna trovare un modo di vivere che permetta ai creativi di creare, alla gente di essere felice, alla Terra di continuare ad esistere e quello attuale non è quello giusto. Tutti sanno cosa ci vorrebbe per vivere in maniera più umana; tutte le religioni predicano le stesse cose, ma poi si odiano fra loro. Il vero problema è che non esiste una proposta credibile per un modo altro. Scorsese e Kamitz continueranno ad aver ragione entrambi, pur avendo torto.
Un’altra delle cause è il cannibalismo di grandi case di produzione come la Disney. Dopo la Pixar ha acquisito Lucas Ltd. Marvel, Fox e lanciato una propria piattaforma streaming. Quando manca il pluralismo, in qualunque ambiente, il rischio è di sposare una sorta di “pensiero unico” che inocula, in qualunque prodotto (ahimè ormai i film sono prodotti) gli stessi messaggi. Il cinema d’autore, in particolare quello che abbiamo visto negli anni ’70, ha avuto battute d’arresto e insuccessi clamorosi, ma ha spinto sempre di più registi e sceneggiatori a diventare impresari di se stessi, pur di non rinunciare alla loro libertà nel rispetto della creatività di ognuno di loro. Diciamola tutta: il cinema ha sempre avuto tra gli obiettivi il profitto. Se una volta il fine era portare gli spettatori in sala, oggi si cerca di raggiungerli in tutti i modi possibili e la concorrenza è l’unico modo per mantenere il cinema in vita: più ci saranno voci fuori dal coro, film e serie tv differenti da tutte le altre, più lo spettatore le premierà, perchè esse spiccheranno, proprio per la loro peculiarità rispetto alla marea di prodotti standard. Il rischio è che , con una scelta così ampia, sarà più difficile trovare ciò che è straordinario: oggi la merce più preziosa è il tempo: l’on demand è nato per questo: per sfruttare al massimo, in una vita sempre più frenetica, il poco tempo libero che si ha a disposizione. per me Scorsese e Kamitz hanno entrambi ragione, dal loro punto di vista. Da spettatore, a me interessa la qualità e solo la concorrenza e quindi il pluralismo possono mantenerla.