In un’intervista a El País, in occasione di una lectio magistralis alla Scuola RFTI di Madrid, Luca Bigazzi, pluripremiato direttore della fotografia di Paolo Sorrentino, dice la sua sul cinema, e altro
“Faremo un’intervista politica”, premette Bigazzi. “La scomparsa delle sale cinematografiche è utile al controllo sociale. La perdita della visione collettiva produce individui più facilmente manipolabili. Per questo credo che siano importanti i luoghi d’incontro come cinema e teatri. L’empatia è uno strumento fondamentale per la visione e la realizzazione di un film. Anche la comunicazione non verbale fra gli spettatori funziona; se vedo una pellicola da solo, probabilmente, non capirò nulla”.
Gli è stato chiesto perché ha rifiutato di lavorare ancora con Sorrentino per la nuova stagione della serie televisiva The young Pope. “Il problema sta nella mia idea di cinema. Io credo che si tratti di un’opera collettiva e come tale debba essere sfruttata in una sala. La serie, con una visione televisiva e atomizzata, distrugge tutto ciò. Oltretutto 24 settimane di quel lavoro ucciderebbero un cavallo. Anche se devo riconoscere che in alcune situazioni ti offre mezzi migliori“. In The young Pope Bigazzi ha dovuto usare da 3 a 5 telecamere fisse: “Prima potevi utilizzare un’illuminazione per ogni inquadratura; ora devi trovarne una che funzioni per tutte le posizioni della telecamera e degli attori“. Perciò Bigazzi adora il digitale: “È più flessibile, preciso e democratico. Oggi un ragazzo può cominciare a filmare a costi bassissimi e realizzare un buon materiale, se ne è capace. La pellicola di celluloide è una forma di protezionismo professionale insopportabile“.
Sempre a proposito dei giovani e il cinema dice: “Ultimamente si chiede sempre più spesso ai giovani di lavorare gratis; è ovvio che lo faranno solo quelli che possono permetterselo. Ed è terribile. Il risultato sarà un cinema creato, scritto, fotografato e girato da ricchi che parla ai ricchi”.
Sul cinema dice: “È il più bel lavoro del mondo. È meraviglioso qualsiasi cosa tu faccia, anche se è precario e faticoso. È una delle poche attività nella quale un gruppo di persone estremamente eterogeneo si riunisce sotto la guida di un regista, per dar vita a un’opera d’arte. Certo che c’è dietro un interesse economico, ma è uno dei pochi divertimenti pazzi che la gente si concede”.
Di Sorrentino dice: “È il regista più veloce che abbia mai incontrato e ti obbliga a lavorare al suo stesso ritmo“.
Bigazzi ama immensamente il suo ruolo di direttore della fotografia e anche di cameraman, che gli piace ancora di più. Su come debba essere una buona fotografia dice: “Deve essere rapida, appropriata al film, mai invasiva e al servizio degli attori che sono la parte più fragile del film. Bisognerebbe che li proteggessero l’UNICEF o l’UNESCO”.
Ma la domanda più pregnante è quella finale: “Che fotografia ha oggi l’Italia?“
“Una senza senso. Viviamo in una costante sovrailluminazione, di luci inutili, con colori inutili e inutile confusione. Per l’ossessione della sicurezza, anche le notti nella città sono illuminate eccessivamente. C’è luce dappertutto. Non c’è una sola ombra, ma una moltitudine“.