Presentata alla rassegna College Cinema della biennale di Venezia l’opera prima di Margherita Ferri, un film a basso costo che si interroga sull’identità di genere.
Ancora una volta ci troviamo a parlare dell’identità di genere, che abbiamo già affrontato con Nati 2 volte di Pierluigi di Lallo, Favola di Filippo Timi e, infine, con They di Anahita Ghazvinizadeh. Un tema di grande attualità, che ormai si discute con estrema disinvoltura, almeno nel mondo del cinema.
Vediamo di cosa andrà a parlare Zen sul ghiaccio sottile
Questa volta è il turno di Maia, soprannominata Zen, un’adolescente irrequieta e scontrosa che vive in un piccolo paese dell’Appennino. Siccome è l’unica femmina nella sua squadra di hockey su ghiaccio, i ragazzi non perdono occasione per prenderla in giro per i suoi modi da maschiaccio. La ragazza di uno dei giocatori della squadra, Vanessa, scappa di casa e si nasconde nel rifugio della madre di Maia. Fra le due ragazze nasce un forte legame; Maia, finalmente, riesce a confidare a qualcuno i suoi dubbi sulla propria identità sessuale. Libere dalle convenzioni e dai ruoli imposti dalla piccola comunità nella quale vivono, iniziano la loro personale ricerca dell’identità e della sessualità.
Il film è stato girato a Castiglione dei Pepoli, il piccolo paese sull’Appennino Tosco Emiliano di poco più di 5000 abitanti, non lontano da Imola, dove la regista è nata. La storia è in parte autobiografica. Senza indugiare in commenti superflui, lasciamo volentieri la parola alla regista, che riesce a descrivere il suo film in maniera esaustiva e concludente:
“Anche se non ho mai giocato a hockey, i turbamenti di Maia e Vanessa sono parte della mia storia personale. L’inquietudine del sapersi “diversi”, la magia di essere attratti da una persona del proprio genere senza sapere cosa stia succedendo o nemmeno dare un nome a quel sentimento, il desiderio di essere visti e accettati per quello che si è: queste emozioni sono state l’essenza della mia vita da adolescente e oggi lo sono del film”, dice Margherita Ferri e continua: “Come regista, mi è sempre interessato dare vita e centralità a personaggi come Maia, che vivono ai margini delle proprie comunità. Zen sul ghiaccio sottile parla proprio del fragile confine tra il voler appartenere a un gruppo e l’essere sé stessi senza condizionamenti. Il film, infatti, racconta il disagio e le lotte che deve affrontare chi non si conforma ai ruoli di genere e all’eteronormatività imposta dalla nostra società. Ho cercato di raccontare la storia di Maia giustapponendo le sue emozioni al paesaggio dell’Appennino Emiliano, bellissimo e dimenticato. Ho voluto esplorare la relazione tra la produzione del paesaggio e l’identità di chi vive quei territori, lavorando sull’idea di paesaggio emotivo: uno strumento per stimolare lo spettatore visivamente e accompagnarlo nella dimensione più profonda dei personaggi”.
La regista poi conclude così, sottolineando cosa l’ha spinta a dar vita a questo film: “Volevo fare un film radicato nella comunità LGBT e nei nostri territori, ma con l’obiettivo di condurre il pubblico in quel cammino universale che porta alla scoperta di sé stessi, negli anni inquieti dell’adolescenza“.