Decine di impiegati della sede newyorkese delle edizioni Hachette manifestano contro la pubblicazione delle memorie di Woody Allen, migliaia di messaggi contrari alla pubblicazione sui social e la casa editrice cede. “Siamo solidali con Ronan Farrow, Dylan Farrow e le altre vittime di abusi sessuali”. Questo il comunicato dei lavoratori che protestano.
Ne abbiamo già parlato e la cosa che continua a sconcertarmi è che è stato fatto un processo, durante il quale Dylan Farrow non è stata data in pasto ai giudici, ma è stata debitamente assistita da uno psicologo; Woody Allen è stato assolto con formula piena, mentre Dylan è stata ritenuta suggestionata dalla madre che, lei sì, ha senz’altro motivi di rancore verso il regista newyorkese. Le probabilità di un errore giudiziario ci possono essere, ma sono sembrate da subito piuttosto scarse. Questa storia dovrebbe essere chiusa; oltretutto mi chiedo cosa c’entri tutto questo con la pubblicazione di un’autobiografia, che non è stata negata neppure ad Albert Speer, che ha fatto decisamente di peggio che essere processato per un’accusa non provata. Ma l’ipocrisia, che ormai dilaga nel mondo intero, porta al paradosso che un gerarca nazista abbia diritti che una persona accusata e non condannata non ha. Ma dietro a questo c’è un pericolo molto grave e a segnalarlo è una persona intelligente ossia, scusate se è poco, Stephen King, che ha twittato:
“La decisione di Hachette mi preoccupa. Non mi importa niente del signor Allen, ma di chi alla prossima volta verrà messo il bavaglio”.
Chissà perché, queste storie remote ripescate mi puzzano tanto di strumentalizzazione. Non so a cosa mirino, ma sono preoccupanti. Ho anche già detto che, mentre ho ragionevoli motivi per non dubitare dell’innocenza di Woody Allen, nutro grossi dubbi su quella di Roman Polanski, ma mi sembra bizzarro comunque che venga fatto tutto questo fumo su un crimine commesso molti anni fa quando, contemporaneamente, si continuano a comminare condanne lievi per gli stupri, se la colpa non viene data addirittura alla vittima, che era vestita in maniera provocante. Chi commette un femminicidio è un “gigante buono” che ha perso la testa per un attimo (e anche in questi casi s’insinua che la vittima non sia del tutto innocente).
Verrebbe voglia di dire: ma chi credono di prendere in giro?
In realtà in giro stanno prendendo molte persone. E il sospetto è che ci piaccia anche essere presi in giro. La strategia dell’emergenza ne è un’ulteriore prova: se, visto che questa volta eravamo stati debitamente avvertiti in tempo, la maggioranza della gente avesse dato retta a consigli di puro buon senso, che erano stati diffusi in maniera esaustiva, non saremmo dovuti arrivare all’emergenza nazionale per il covid19. Emergenza alla fine vuol dire limitazione delle libertà personali, il che, e per questo dico che ci piace essere presi in giro, in fondo ci piace. Ho già sentito dire da più di una persona che in Cina il covid19 sta diminuendo perché lì c’è una dittatura e allora sì che dànno retta. La conclusione logica è che a questa gente piacerebbe una dittatura anche da noi. Il brutto di un mondo manicheo, come sta diventando il nostro, è che, senza grigi, tutto si riduce al bianco e al nero: buono / non buono, quindi al conflitto. In caso contrario si potrebbe condannare un regista per un crimine che ha commesso e, contemporaneamente, ammettere che abbia diretto uno dei due film più belli del 2019 (l’altro è Parasite), senza bisogno di rifiutargli i premi. Anche Haidegger era colluso col nazismo, ma nessuno gli ha negato il primato fra i filosofi del ‘900. Vero è che un crimine è un crimine, ma anche il codice penale ammette una pena proporzionale alla gravità del crimine.