Si conclude l’attesissima serie tv di quest’anno creata da Damon Lindelof, con cui possiamo solo congratularci per il gran lavoro svolto. L’ultima puntata di Watchmen spiega i dubbi ancora irrisolti collegando tutti i punti della trama in modo eccezionale. In essa si toccano tutti i temi affrontati durante lo show, come il conflitto politico-culturale tra razze, la ricerca d’identità, il ruolo del supereroe, il concetto di eredità; quest’ultimo interessa maggiormente la serie che si pone come seguito del capolavoro di Alan Moore, scelta che all’inizio ritenevamo azzardata, ma che quasi approviamo dopo la visione. Notevole la scelta di ritornare nel finale nel luogo dove tutto era iniziato, il cinema Dreamland; non a caso della sua insegna restano ancora accese solo tre lettere: DR M.
La scritta Watchmen in See How They Fly compare in uno splendido momento metanarrativo: il nome della serie tv è scritto su un ciak di una ripresa che viene battuto e su esso leggiamo 15 dicembre 2019, la data della prima messa in onda dell’episodio. Scopriamo le vere origini di Lady Trieu, molto distanti dalle nostre ipotesi avanzate nel settimo episodio. Si ricollega alla Giovanna d’Arco vietnamita, un’eroina di nome Lady Trieu che nel terzo secolo riuscì a resistere temporaneamente allo stato cinese della Wu orientale durante la sua occupazione in Vietnam; nella serie tv, sua madre prima di concepirla cita la frase che contraddistingue questo personaggio storico: “Voglio cavalcare i venti impetuosi, infrangere le alte onde, uccidere le orche assassine del mare orientale, mettere in fuga l’esercito di Wu, rivendicare la terra. Eliminare il giogo della schiavitù. Non piegherò la mia schiena, diventando una schiava”. Nella sua iconografia, Lady Triệu è raffigurata mentre cavalca un elefante, suo riferimento costante nello show di Lindelof. Adrian Veidt la chiama figlia solo per poter fuggire da Europa e non la ritiene tale perché convinto di distaccarsi dai rapporti sessuali come il suo idolo Alessandro Magno; in realtà non è così perché il famoso re macedone ebbe un figlio con la principessa battriana Rossane e forse un altro figlio illegittimo con Barsine, nobile di Persia e, nella miniserie fumettistica Before Watchmen: Ozymandias, Adrian si mostra in atteggiamenti intimi con uomini e donne. Allo stesso modo del direttore del New Frontiersman parlando della presunta candidatura di Redford nel 1988 nel finale del fumetto, il personaggio di Jeremy Irons definisce Redford un attore di film di cowboy alla Casa Bianca. Dalla stessa sezione dell’opera di Moore è ispirata anche l’azione difensiva di Veidt che prese con la mano un proiettile sparato da Laurie; in questo caso a sparare è il guardacaccia. Ancora dalle ultime pagine del graphic novel è ripresa la frase della Stele di Merenptah, il documento più antico (1209-1208 a.C. circa) su cui comparirebbe il termine “Israele”, pronunciata sempre da Ozymandias: “Israele è desolata e il suo seme non c’è più, e la Palastina è diventata una vedova per l’Egitto”.
In questo finale assistiamo a una completa umanizzazione del Dottor Manhattan che, in gabbia rivive i momenti più importanti della sua vita e cita alcune battute dal fumetto, come “Delle stelle vediamo soltanto le loro vecchie fotografie” o “Per quel che so, al momento la situazione in Afghanistan non richiede la mia attenzione”, per esempio. Tutti pensano che Jon (Yahya Abdul-Mateen II) non abbia usato a dovere il suo potere e vorrebbero imbrigliarlo per i loro scopi; solo Adrian capisce, invece, che neanche la persona più intelligente del mondo è in grado di controllare un potere divino e che lo potrebbe usare lo stesso per scopi personali. A questo discorso si collega la riflessione sul ruolo del supereroe, tema da sempre caro a Watchmen , che si conclude con la stupenda rassicurazione di Will a sua nipote: “Non puoi guarire sotto una maschera, Angela. Alla ferite serve l’aria”.
Infine diamo voce al grande protagonista dello show, ovvero il suo creatore che a Vanity Fair ha svelato la volontà di replicare il fumetto inserendo un motivo visivo costante, evitando però le immagini abusate degli orologi e dello smiley; la sua costante è rappresentata dalle uova e a tal proposito ha affermato: “L’unico smiley che vediamo nella serie è fatto con le uova: è il momento in cui le due immagini si cedono il testimone”. Poi a Vulture Damon Lindelof commenta la fine di Watchmen: “Il fumetto originale ha un finale altrettanto ambiguo, con un personaggio secondario che deve decidere se pubblicare o meno il diario di Rorschach e di conseguenza smascherare Adrian Veidt. Io però non credo che la scena finale sia tanto ambigua: per me è chiaro che se fossimo andati avanti per altri dieci secondi, l’avremmo vista camminare sull’acqua. È uno show che parla di eredità. Jon vuole trasmettere il suo potere alla donna che ama. Una volta scelta quest’idea, il resto era pura esecuzione. Questi nove episodi erano la seconda parte della sua origin story, dopo la morte dei genitori. Con questi poteri lei potrà affrontare i suprematisti bianchi, cosa che a Dr. Manhattan non interessava particolarmente perché lui è un personaggio fondamentalmente passivo. È una battaglia che andrà avanti a lungo, e non ho inserito quel tema nella serie per convincere gli spettatori che riusciremo a sconfiggere il razzismo, ma per fargli capire che vale comunque la pena opporre resistenza”.