Per la qualità mostrata con l’aumentare delle puntate, Watchmen avrebbe meritato una candidatura ai Golden Globe quest’anno, ma ne ha ricevuto due per i Writers Guild Awards, i premi del sindacato degli sceneggiatori. In questa puntata conosciamo finalmente il Dottor Manhattan, dopo le tante allusioni e l’importante rivelazione nel finale dello scorso episodio: il superumano era sempre sotto i nostri occhi e aveva le sembianze di Cal (Yahya Abdul-Mateen II), il marito di Angela (Regina King), a sottolineare la centralità di questo personaggio. Sarebbe un’offesa parlare di flashback e di flashforward per questa puntata, piuttosto noi siamo stati privilegiati con la possibilità di vederla come il dottor Manhattan concepisce la storia, senza l’ingombrante parametro del tempo. Una scelta narrativa che loda ancora una volta il gran lavoro compiuto dallo showrunner Damon Lindelof, aspettando il gran finale per il giudizio complessivo.
Il titolo dell’ottavo episodio di Watchmen, A God Walks into Abar, contiene uno strabiliante doppio senso poiché rappresenta l’inizio di una barzelletta e mostra il cognome di Angela. A tal proposito è intervenuta la regista Nicole Kassell per spiegare che questo cognome contiene un significato preciso: Abar, The First Black Superman è un film blaxploitation del 1977 con protagonista uno dei primi supereroi neri del cinema statunitense. Anche l’identità umana di Manhattan come marito di Angela, Cal, ci ricorda il vero nome di Superman, ovvero Kal-El (che si può ricavare da CALvin JELani). La puntata si tinge subito di blu durante la VVN e Jon Ostermann non fa fatica a mimetizzarsi tra i cosplay del suo alter ego: indossa una maschera blu e per tutta la conversazione al bar con Angela non mostra neanche il suo volto; Yahya Abdul-Mateen II non poteva ancora mostrare il suo viso al pubblico prima della “trasformazione” ed è stato abilissimo nelle prime scene in cui gli è stato chiesto di muovere solo le mani. Il colore caratteristico dell’eroe si trova anche nella musica con una versione funky di Rapsodia in blu di George Gershwin, Sul bel Danubio blu di Johann Strauss e Mr. Blue dei Fleetwoods. Jon spiega che la sua presenza su Marte costituisce una registrazione frutto di un depistaggio, in realtà ha passato gli ultimi vent’anni a creare la vita, come annunciato alla fine del fumetto e come compiuto poi nella miniserie Before Watchmen: Doctor Manhattan di J. Michael Straczynski e Adam Hughes. Quest’ultima mostra anche che Jon Osterman era un ebreo tedesco scappato in America da bambino durante la seconda guerra mondiale: la serie tv riprende tali eventi, ma Jon e il padre lasciano la Germania nel 1936, mentre nella versione cartacea vivono lì fino almeno al 1938.
“Un elefantino me l’ha detto”: questa la risposta di Adrian Veidt (Jeremy Irons) quando il dottor Manhattan gli chiede della sua conoscenza riguardo alla sua creazione della vita su Europa e capiamo che in qualche modo sia interessata Lady Trieu. Jon crea la vita sul satellite di Giove partendo dalle persone che lo hanno ospitato e gli hanno fatto vedere come “si ama”; questa coppia gli regalò anche una Bibbia e HBO conferma che l’illustrazione nel testo sacro è stata realizzata da Dave Gibbons, disegnatore dell’opera di Moore. La vicenda di Veidt potrebbe acquisire ora un significato ecologico: Manhattan gli dona la sua creazione per prendersene cura, così come Dio ha donato all’uomo il mondo per sfruttarlo a suo favore nel rispetto dell’ambiente e di chi lo abita. Nella scena dopo i titoli di coda apprendiamo che Ozymandias sta completando il suo piano di fuga; nel frattempo legge Fogdancing di Max Shea, uno dei creativi che lo aiutò Veidt a elaborare il suo piano per la pace nel mondo; non è la prima volta che il romanzo appare nella serie tv, am la terza.
Il dottor Manhattan funge da vero e proprio deus ex machina di Watchmen che tira i fili della trama, lasciando da svelare solo i misteri riguardo il Settimo Cavalleria e Lady Trieu.