C’era una volta un redattore di icrewplay.com il quale, nel corso di una torrida giornata di luglio, decise di scaricare l’app di Netflix sullo smartphone, oltre a quella che aveva già sulla TV.
Quel redattore (scemo) (anzi, scXXo, per non scandalizzare le anime belle della Direzione) ovviamente ero io, e non sapevo ancora, ingenuo, che da lì a poco mi sarei imbattuto nella lisergica sezione “giochi per dispositivi mobili“, in cui troneggiava, tronfia, la storia interattiva di Virgin River.
E allora, come ogni bravo scXXo di questo secolo, feci l’unica cosa nella quale ero davvero Maestro, il click con il mio famelico indice. Et voilà, ero sul Play Store dello zio Google e, con apparente nonchalance, pronto a scaricare pure la scintillante app di Netflix Stories.
Certo, ero lì per quella boiata della storia interattiva di Virgin River, ma, sfogliando la homepage della mia nuova app occupa-ram, non potei fare a meno di notare altre storie interattive del calibro di Perfect Match (il reality show più piccante di Netflix, a quanto diceva l’autocelebrativa descrizione) o L’amore è cieco (un altro reality show, più romantico, per quelle sagome alla ricerca dell’anima gemella in mondovisione), con l’avviso (o forse l’ammonimento) che da lì a breve sarebbero state disponibili anche le storie interattive di Emily in Paris (azz…) e Selling Sunset (urgh…).
(Più altre due ancora oggi pixellate. Che emozione, non vedo l’ora di scoprirle) (?).
In ogni caso, tenni a freno la curiosità (sarà per un’altra volta, caro Perfect Match e caro L’amore è cieco). Ero certo che tutto il trash di cui avevo bisogno lo avrei trovato nella mia boiata originale.
Virgin River: la creazione di Taylor Smith
E quindi venne il momento di creare il personaggio, di cui dovevo scegliere il genere e l’orientamento sessuale, oltre che il nome e la corporatura.
Questi quattro elementi, una volta avviata la sessione, sarebbero stati immutabili, mentre altri aspetti secondari, come taglio di capelli, accessori e vestiario, sarebbero stati modificabili durante il proseguo della storia.
Notai quali erano le impostazioni di default: una giovane donna, bionda, di nome Taylor Smith. Perfetto, mi dissi, un po’ Taylor Swift, la popstar di cui tutti parlano ma non conoscono una canzone, un po’ Winston Smith, il protagonista dell’orwelliano 1984.
(icrewplay is watching you, cara Taylor).
Alla domanda indiscreta se volessi avere appuntamenti con donne o con uomini, nel dubbio, optai per la terza scelta: entrambi.
(Insomma, Franza o Spagna purché se magna, estendendo in maniera impropria la celeberrima massima del Guicciardini).
Virgin River: i miei flirt come Taylor Smith
In realtà, però, capii ben presto che mi sarei concessa solo alle labbra di una donna.
Non tanto perché avessi ristretto i miei gusti sessuali da un momento all’altro (d’altronde il redattore mi aveva disegnata così), quanto perché l’unico uomo che ci ha provato con me nel corso della storia era stato talmente imbecille da arrestarmi senza motivo.
Mi spiego meglio. Preparati una cioccolata calda, ti racconto un po’ di me.
Nonna Mary era venuta a mancare e nel testamento aveva scritto che mi lasciava tutti i suoi averi, compresa la casa di Virgin River.
Allora, certa di risolvere in tempi brevi la questione dell’eredità e di vendere l’abitazione, partii da New York in direzione nord della California. Ma, nei boschi appena fuori la bucolica cittadina, rimasi con l’auto in panne, esattamente come accaduto a Mel nella serie TV che ha fatto sognare tutte noi ragazze (a voi ragazze bisognerebbe farvi crescere a pane e Rai Play, altro che Netflix).
Il cellulare non prendeva, ero abbastanza preoccupata. E se ci sono i lupi cattivi? mi domandai.
Fu in quel momento che comparve l’agente Jonah Dawson, il quale, con fare rassicurante, mi accompagnò fino a destinazione con la volante di servizio, occupandosi anche di chiamare il carroattrezzi per la mia auto fuori uso (non è vero, a quella gatta morta di Taylor io dissi di farsela a piedi fino al bar di Jack; lì avrebbero potuto chiamare il carroattrezzi).
Da script di Virgin River potevo scegliere se non era il mio tipo o se lo trovavo carino o se “far scorrere il mio sguardo sulle sue braccia muscolose, fino ad arrivare alla sua mascella definita” (testuale). Chiaramente scelsi la terza opzione, “mordendomi inoltre il labbro in modo sexy per aumentare in lui il desiderio di avermi” (non ricordo se testuale o meno in quel momento, ma la storia è piena di dialoghi di dubbio tasso erotico su questa falsa riga).
Lo ringraziai con sguardo furbo ma discreto, ed entrai nel bar indicatomi.
Lì conobbi Jack e Mel, la splendida e affiatata coppia protagonista della serie TV Hope, la sindaca della città, ma soprattutto Peyton, “la bellissima donna dallo sguardo intenso e la voce suadente che mi stava osservando dalla parte opposta del bancone” (certamente testuale stavolta).
Non resistetti, sentii le mie guance avvampare di calore; mi sarei volentieri mordicchiata il labbro per stuzzicare anche lei, femmina com’ero, ma potevo scegliere solo un’opzione tra farmi avvampare le guance di calore e mordermi il labbro al mio solito, e, ormai, avevo scelto la prima possibilità.
Per sedurre Peyton e le sue treccine da barista, però, avevo un asso nella manica. Infatti, quando mi chiese quale cocktail volessi, le risposi, civettuola, che volevo un french kiss. Lei non sapeva cosa fosse, e allora mi offrii di prepararlo io.
Se solo il succo di lampone potesse parlare…
Ero confusa: volevo essere posseduta dalle braccia muscolose di Jonah o assaggiare di french kiss Peyton?
La risposta, suo malgrado, me la diede Madison poco dopo.
Virgin River: in manette ho capito l’amore
Ero finalmente arrivata a casa di nonna Mary. Un po’ di confusione, era tutto così pittoresco. A un certo punto udii un rumore dal piano superiore. Ho paura, pensai. Afferrai il mestolo della cucina e salii le scale. Canticchiavo nella mente Maracaibo di Lu Colombo per sciogliere la tensione. Poi mi scagliai contro l’intruso.
Banzaiiiiiii.
Un colpo ben assestato in testa. Ahi, disse. Lei non cadde. Mi guardò, nuda, con solo l’asciugamano a coprirle le grazie. E tu chi diamine sei? le chiesi. Ero qui solo a fare la doccia, rispose lei. Chi cavolo sei tu? osò incalzare l’intrepida. Io sono la nipote di Mary, nonché l’ormai legittima proprietaria, tu? Io sono Madison, una piantagrane che ogni tanto viene qui a farsi la doccia.
Da script di Virgin River non potei proprio esimermi dal sentire (ancora?) avvampare le guance per l’eccitazione, ma di flirtare con una tizia piantagrane che aveva fatto irruzione in casa mia, francamente, non avevo granché voglia.
A tutto questo si aggiunse pure quell’imbecille del mio presunto stallone, detto anche agente Dawson, il quale proprio in quel momento sfondò la porta d’ingresso, arrestandoci entrambe per violazione di domicilio.
(Agente Dawson, ma questa è casa mia. Ne riparliamo in centrale, signorina…).
Ora, non è tanto perché Peyton si sarebbe prodigata di pagarmi la cauzione che decisi di innamorarmi di lei, quanto piuttosto per la totale inadeguatezza dei suoi competitor.
L’agente Dawson era un cretino. Ebbe pure la sfacciataggine di chiedere di prenderci un drink insieme dopo quello che lui definì un “malinteso”.
Madison era una che andava a fare la doccia in case altrui. Quando eravamo entrambe ammanettate in centrale mi strizzò pure l’occhio dicendomi che le manette che aveva a casa erano più piacevoli e mi ci avrebbe legata volentieri.
Insomma, qualsiasi cosa sarebbe successa da lì in avanti, l’unica con cui sarebbe potuto nascere qualcosa di romantico era Peyton.
(Ah, quelle due. Taylor e Peyton, Peyton e Taylor. Ne passarono proprio di cotte e di crude in quei giorni perduti, tra accoltellamenti, case incendiate, inconfessabili segreti, improbabili ex stalker, acquazzoni e frane. Ma alla fine, su Netflix, l’amore trionfa sempre).
(Avrei voluto far venire a tutti anche un’intossicazione alimentare, ma non è stato possibile).
(Faccinatriste).
Virgin River: tutto ciò che non funziona
Invece, ciò che su Netflix assolutamente non trionfa è il buon senso dei personaggi. Al di là di qualsiasi commento si possa fare sul kitsch erotico che pervade “l’opera” (che nella sua insulsaggine fa appassionare non poco certi redattori da quattro soldi…), quello che proprio non funziona sono le reazioni prive di una messa in prospettiva degli eventi.
Anche se si raccontasse a Mel che Godzilla in persona sta distruggendo la città, lei risponderebbe “oh, no”, per poi aggiungere sorridente che “i cupcake sono davvero deliziosi”.
Sull’irragionevolezza di due corteggiatori su tre ha già sentenziato Taylor stessa, non mi dilungherò, quindi, sull’argomento. Come sarebbe superfluo far notare che un succedersi di così tante sfighe e tentati colpi di scena uno in fila all’altro, di fatto, vanificano qualsiasi sorpresa, tanto sai già che tutto andrà storto in una data situazione.
(Con l’inevitabile e insopportabile lieto fine, peraltro).
(Eh no, Grande Burattinaio, sono io che mi sono liberamente innamorata di Peyton).
(Non so se trovo più fastidiosi i redattori da quattro soldi o le creature di Netflix…).
Virgin River: tutto ciò che funziona
Se a livello di scrittura, sia di trama che di personaggi, Virgin River lascia molto a desiderare, a livello visivo e sonoro l’impatto è più che buono.
I personaggi, laddove esistenti nella serie TV, sono calcati sul modello degli attori originali, con un sistema automatico di espressioni facciali rudimentale sì, ma valido se considerata la piattaforma mobile.
Le colonne sonore, anch’esse prese a piè mani dalla serie TV, sono tutto sommato piacevoli da ascoltare, permettendo di immergersi nel mondo “country-chic” (cit.) della cittadina californiana.
Spezzando una lancia a favore del già citato e sbertucciato kitsch erotico, vero che spesso tracima in qualcosa di terribilmente fuori luogo, ma c’è da riconoscere un certo ardore in alcune scene quasi da soft porn (sia chiaro, non c’è nulla di sessualmente esplicito in Virgin River).
Nota conclusiva
Ora, se hai minimo di buon gusto, hai sicuramente molto di meglio da fare che espletare tutti i 19 capitoli che compongono Virgin River per Netflix Stories, questo è evidente.
Però, se hai già l’abbonamento, ti consiglio comunque di scaricare l’app Netflix Stories e di farti quattro risate, magari completando solo i due capitoli iniziali. Non andranno via più di 20 minuti, te lo assicuro.
Di certo, avrai qualche chicca da raccontare alle canaglie che frequenti al bar.