Frederik Wiseman presenta a Venezia il suo documentario, Monrovia, Indiana, girato in una piccola città del Midwest dove il 65% delle persone ha votato Trump.
Nel 1961 Hannah Arendt seguì, a Grusalemme, il processo ad Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili dello sterminio degli ebrei nei lager nazisti. Due anni dopo pubblicò La banalità del male, nel quale si dimostrava che Eichmann non era un folle criminale, né un mostro disumano, ma una persona comune, senza alcuna fantasia, che avrebbe potuto essere chiunque, attento solo alla propria esistenza.
Mutatis mutandis il documentario di Wiseman porta a un risultato affine: “A Monrovia il 65% della popolazione ha votato per Trump, ma io non ho mai sentito nessuno fare conversazioni politiche, a parte la presenza di un banchetto dei repubblicani a un festival. Il film, se è politico, lo è in maniera molto indiretta”.
Ri-mutatis mutandis, recentemente, in Italia, anche persone estremamente miti hanno votato un partito aggressivo, insensibile e razzista.
In particolare, nel documentario di Wiseman colpisce il fatto che nella cittadina di poco più di mille abitanti presa a campione non ci sia un’invasione di neri, asiatici o chicanos, anzi i numeri sono ridottissimi, eppure lo slogan “l’America agli Americani” ha ottenuto il successo sperato da Trump. I cittadini di Monrovia, dunque, non sono fanatici; dimostrano di essere solidali l’uno con l’altro, hanno i loro valori tradizionali, anche condivisibili, ma sono autoreferenziali, come Eichmann, non riescono a vedere oltre la loro piccola vita.
“Questo è un mondo che si è auto contenuto, – dice ancora il regista – in cui credono nella famiglia, nella religione, un mondo che sembra interessato solo a sé stesso. Quello che ho notato è la mancanza di curiosità verso l’esterno, non sentivo ad esempio parlare della guerra in Libia o del Medio Oriente, i discorsi vertevano per lo più sui macchinari agricoli, sui ricordi”.
La banalità del male fu criticato ferocemente, anche dagli ebrei: per chiunque era più rassicurante credere che Eichmann fosse una belva assetata di sangue. I fatti, invece, continuano a far credere che Hannah Arendt avesse ragione in pieno.