La visione di Velvet Buzzsaw ha il potere di trasmettere allo spettatore un caleidoscopio di colori, immagini ed emozioni in un crescendo che…e poi finisce il film
Forse sarò un po’ severa con questo thriller originale Netflix, ma l’ho guardato piena di speranze e ho mutuato lo spirito critico di Jake Ghyllenhaal; dunque, esattamente con l’attenzione e la dovizia di particolari che egli stesso userebbe, è giusto che Velvet Buzzsaw venga “valutato”.
Andiamo con ordine: il film è diretto da Dan Gilroy (già regista di quel capolavoro che è Lo sciacallo – Nightcrawler) in quale torna a dirigere Jake Ghyllenhaal e può fare affidamento sulle sue indiscusse doti interpretative. L’attore, infatti, interpreta il ruolo di Morf Vandewalt, un famosissimo critico d’arte di Miami alle prese con vari vernissage e con la crescente richiesta di recensioni di diverse opere in mostra nelle gallerie e nei musei più noti. La sua amica, Josephina (Zawe Ashton), che lavora per Rhodora Haze (Rene Russo, attrice e moglie del regista del film), proprietaria della Haze Gallery, trova il cadavere di un uomo che vive nel suo stesso condominio. Spinta da una irrazionale curiosità, si infiltra in casa dell’uomo, rinviene e sottrae un consistente numero di dipinti firmati col nome di Vetril Dease. Arrivista senza scrupoli, Josephina mostra il materiale a Rhodora e organizza una mostra che riscuote un successo eccezionale, i dipinti di Dease sono ipnotici, accattivanti ed irresistibili, tutti ne desiderano uno ad ogni costo.
La metafora della mercificazione dell’arte che diventa ossessione è un ottimo punto di partenza, ma i dialoghi del film sono forzati, spesso inconcludenti e insensati. La premessa di una presunta maledizione di cui i dipinti rinvenuti sono pregni è brillante, ma non viene spiegata, non vi si rende giustizia e dà l’impressione che si sia sviluppata una buona idea con evidente superficialità. Che i personaggi affini al mondo dell’arte, in particolare dell’arte moderna, siano eccentrici e talvolta superbi, è noto, ma in Velvet Buzzsaw lo sono tutti, indifferentemente! Sono stucchevoli, acidi e antipatici (quasi troppo per essere credibili) e sono anche estremamente superficiali, un esagerato cliché.
A parte le superlative interpretazioni del camaleontico Gyllenhaal, che costruisce il suo personaggio sull’incarnazione della superficialità, nonché quella dell’intensa Toni Collette, capace di alternare una sorta di servilismo verso il mondo dell’arte ad una totale spocchia alimentata dall’inesauribile sete di successo.
Poco chiari sono, poi, i ruoli del pittore Piers (John Malkovich),mera figura marginale e della timida e sfortunata Coco (Natalia Dyer di Stranger Things), l’assistente che passa da una galleria all’altra. Per entrambi, la pellicola sembra promettere grandi cose e invece risultano irrilevanti rispetto alla trama.
Se questo film potesse valutarsi con un giudizio di tipo scolastico, sarebbe assolutamente appropriato dire che “potrebbe dare di più, ma non s’impegna“. Ritengo sia un’ottima opportunità sprecata, perché ha tutte le carte in regola per essere un horror innovativo e terrificante, ma manca un vero finale e probabilmente sto sovra-interpretando la volontà del regista, ma assume le sembianze di quelle opere d’arte moderna che guardi con interesse e non hanno un senso compiuto. Che fosse questo l’intento di Velvet Buzzsaw? Se così fosse, allora sarebbe geniale! In caso contrario, è decisamente di “cattivo gusto“.