Il 19 maggio abbiamo partecipato alla conferenza stampa del nuovo film di Lech Majewski, Valley of the Gods, che arriverà in tutte le sale a partire dal 3 giugno. In attesa di leggere la nostra recensione, leggi l’intervista al regista e al resto del cast.
Un ringraziamento special a CG Entertainment, che ci ha permesso di godere dell’anteprima di Valley of the Gods e ci ha fornito tutto il materiale per fare questo approfondimento.
Parla Lech Majewski, regista di Valley of the Gods
Cosa l’ha spinta a raccontare la storia dell’uomo più ricco del mondo?
LM: “Mi sono chiesto come sarebbe un “Citizen Kane” di oggi. La domanda è nata quando stavo scrivendo e producendo il film “Basquiat”. Per preparare il lavoro ho intervistato alcuni dei collezionisti d’arte più importanti degli Stati Uniti, che sono tra gli uomini più ricchi del mondo. Non rimasi colpito dal modo in cui parlavano di Basquiat – per loro era più che altro una merce di scambio, quasi oggetto di speculazione finanziaria – ma dal fatto che la maggior parte di loro era infelice, nonostante le infinite possibilità che avevano. Nulla a che vedere con quella forza e quel calore che senti quando entri in contatto con i Navajo. Ironia della sorte, sembra quasi che le persone povere siano più felici. In “Valley of the Gods” ho voluto mostrare che l’uomo più ricco della terra che vive in cima a una montagna, in un mondo completamente protetto, una volta che si confronta con la realtà comune può diventare completamente vulnerabile”.
La figura dell’artista, qui uno scrittore (Josh Hartnett nei panni di John Ecas), si pone al centro tra due mondi opposti – quello dei Navajo e quello del magnate – quale è il suo ruolo?
LM: “John è uno scrittore, ma non ha mai avuto la possibilità di spiccare il volo. Tutto ciò che accade nel film lo vediamo attraverso i suoi occhi e le sue descrizioni. Non sappiamo se ha rappresentato la pura realtà o se l’ha piegata alla sua scrittura. Siamo nella mente dello scrittore, dell’artista, e questa è l’idea alla base del film”.
Amore e arte sono temi ricorrenti e sempre intrecciati nelle sue opere: ricordiamo ad esempio la travolgente passione tra Claudia e Chris, amanti in Il giardino delle delizie (2004), film ispirato al capolavoro di Bosch, o ancora Adam e Basia, contemporanei Dante e Beatrice in Onirica (2013), opera ispirata alla Divina Commedia. Quanto l’arte è centrale nella sua vita e in particolare quanto lo è l’arte italiana, più volte citata in questo film (dalla Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti alla Fontana di Trevi)?
LM: “Io mi sento quasi italiano perché il mio lato artistico è nato a Venezia. Mio zio insegnava al conservatorio di Venezia e io lo andavo a visitare spesso. Così conobbi il Giorgione, Bellini, l’arte veneziana e poi gli artisti fiorentini. Fu amore a prima vista, l’Italia è sempre nei miei pensieri. Quando studiavo per diventare pittore, il momento rivelatorio per me fu alla Galleria dell’Accademia di Venezia davanti alla “Tempesta” del Giorgione, il mio dipinto preferito. In quel momento topico della mia giovinezza dovevo decidere chi sarei diventato; guardando quel dipinto mi ci sono perso dentro e ho avuto la stessa sensazione anche al cinema, durante la scena del parco nel film “Blow Up”.
In quel momento ho pensato che se Giorgione fosse stato ancora vivo sarebbe stato Michelangelo Antonioni. Questa fu la scintilla che mi fece lasciare l’accademia d’arte e iscrivere alla scuola di cinema. Quando ero al secondo anno Michelangelo Antonioni visitò la mia scuola. Gli chiesi se quando arrivava sul set si ricordava tutto ciò che doveva fare, oppure se andava a sentimento: lui mi disse che cercava di dimenticare tutto quello che si sarebbe dovuto fare sul set, perché voleva osservare la realtà che gli si presentava in quel preciso istante. E questa fu la più grande lezione di cinema che abbia mai avuto in tutta la mia vita: scoprire ogni cosa e vederla come se fosse per la prima volta”.
Definirebbe Valley of the Gods un film sull’amore?
LM: “Assolutamente. “Valley of the Gods” è un film sull’amore, perché tutte le storie raccontano dell’amore o della sua mancanza.”
Un altro tema ricorrente è quello della perdita, che la nostra società ha sempre tentato di censurare e nascondere. In questi mesi di pandemia siamo stati costretti ad affrontarla e guardarla in faccia ogni giorno. Qual è il suo pensiero a riguardo, alla luce di ciò che stiamo ancora affrontando?
LM: “La nostra civiltà ha allontanato la morte da noi. Ma la morte può essere la nostra migliore amica e consigliera: quando abbiamo dei dubbi su quello che dobbiamo fare nella vita, dovremmo chiedere consiglio alla nostra morte, lì si troverebbe la risposta migliore.”
Nei suoi film ha sempre fatto un uso attento degli effetti speciali con un tocco unico e non convenzionale. Come ha scelto di utilizzarli per “Valley of The Gods”?
LM: “Poiché la storia si focalizza sulla creatività scaturita dalla mente di uno scrittore ho cercato di impiegare gli effetti visivi per descrivere il suo mondo. Ho fatto altrettanto per “costruire” il castello in cima alla montagna dove vive Wes Tauros. Detesto i film che sfruttano gli effetti speciali solo per il gusto di farne sfoggio: dal mio punto di vista nel cinema di oggi c’è una tale abbondanza di effetti speciali, una vera e propria pornografia, che rischia di anestetizzare gli spettatori. Io amo un uso più poetico degli effetti speciali. Io sono un pittore e anche un poeta, queste sono le mie origini.”
Com’è stato lavorare con questo cast, così eterogeneo e straordinario?
LM: “Ho sempre voluto lavorare con Josh Hartnett fin dall’inizio del progetto, perché nel suo aspetto c’è qualcosa che richiama i tratti somatici dei nativi americani. Così ho pensato che sarebbe stato il protagonista giusto per il film. Inoltre Josh ha iniziato la sua carriera nel cinema dopo aver visto il mio film “Basquiat”. Ero contento di sapere che proprio “Basquiat” – film da me molto amato – fosse stato di ispirazione per Josh.
John Malkovich è una leggenda. Ero impaurito, perché secondo alcune voci è molto intransigente ed è difficile lavorare con lui. Invece si è rivelato la persona più gentile del pianeta: ogni volta che gli chiedevo qualcosa mi rispondeva “Certamente Signore”, “Grazie”. E poi lo faceva! Generalmente con le star di Hollywood è difficile fare correzioni, ma con John è stato l’opposto. Lui è in grado di fare qualunque cosa tu gli chieda. Probabilmente il fatto che sia anche regista lo rende consapevole di quanto sia importante per un attore ascoltare chi lo dirige.
Bérénice Marlohe è dolcissima, bellissima e ha molto talento. Lei è come un’artista del Rinascimento: suona il pianoforte, è un’attrice brillante e un’anima molto sensibile. È una donna piena di poesia.
Keir Dullea è per me un’altra leggenda e un vero gentleman. Amo molto “2001 Odissea nello spazio” e ho sempre desiderato incontrare l’attore che ha interpretato il capitano sbarcato su Giove nel capolavoro di Kubrik. Tra l’altro Jan Harlan, produttore degli ultimi 5 film di Kubrick, ha prodotto “Valley of the Gods”.
John Rhys-Davies per giorni sul set ripeteva a me e al cast tecnico “non sapete quanto siete fortunati!”. Così gli risposi dicendogli che sapevamo che la sua presenza ci rendeva molto fortunati. Ma lui specificò che non si riferiva alla sua presenza, ma al fatto che vedeva nella troupe un sacco di ragazzi giovani che stavano vivendo un momento molto felice della loro vita, perché non conoscevano la fame, la povertà e la guerra. Quando abbiamo finito di girare e di montare il film, è scoppiata la pandemia. Adesso sappiamo cosa significa non avere più la libertà, essere circondati dal pericolo e temere ad ogni passo di poter incontrare un virus invisibile e imprevedibile, come un proiettile ai tempi della guerra.
Da dove nasce il suo interesse per la cultura Navajo?
LM: “Nel 1988 stavo preparando il film con Viggo Mortensen “Gospel according to Harry”, prodotto dalla Propaganda Films di David Lynch, ed ero alla ricerca di un paesaggio desertico. Quella fu la prima volta che mi recai alla Monument Valley e fu un’esperienza che mi tolse il respiro. Ciò che mi affascinò dei Navajo è che la loro vita è ancora intrisa di aspetti ancestrali, in netto contrasto con la civilizzazione molto spinta dei luoghi che li circondano; basti pensare che a poca distanza ci sono Las Vegas, la Silicon Valley, Los Angeles e Hollywood, Plam Springs.
La mia immaginazione è stata accesa dalla bellezza di queste terre, ma ancora di più dal contrasto tra l’apice della civiltà occidentale, incarnato dagli Stati Uniti, e la popolazione nativa americana, che vive in condizioni di disagio. Nonostante ciò, la loro vita interiore è molto ricca. Spostarsi nel deserto con un Navajo è come spostarsi per le affollate strade di New York: si muove facendosi strada tra gli spiriti dei suoi antenati e parla con alcuni di loro durante il percorso. I nativi hanno degli strumenti diversi dai nostri per leggere i segni della terra: loro non guardano solo le tracce, leggono anche il cielo, le nuvole, le rocce… ogni cosa rappresenta una storia e ha un suo specifico significato. Infatti, uno degli aspetti che più mi ha colpito della cultura Navajo è la loro mitologia.
Durante il lavoro di scrittura di questo film ho scoperto che anche nell’antica popolazione degli Ittiti, nella parte centrale dell’Asia Minore, esiste un immaginario simile a quello dei Navajo: si narra di una roccia nata dall’unione tra un uomo e una montagna; questa roccia, Ullikummi, prende vita e ha il compito di vendicare tutta la violenza subita dalle popolazioni“.
Come ha lavorato con i Navajo e come hanno risposto suo film?
LM: “Un capo mi disse che avevo un’energia positiva e che quindi potevo essere accettato e si poteva girare. I Navajo hanno visto il film completato e ne sono molto orgogliosi, quindi possiamo dire che “Valley of the Gods” ha avuto anche il beneplacito della Nazione Navajo; nei titoli di coda è riportato il loro simbolo.”
Parlano gli attori di Valley of the Gods
John Malkovich (Wes Tauros):
Josh Hartnett (John Ecas):
“L’ho sentito come uno dei film più sperimentali a cui abbia lavorato, mi è piaciuto tantissimo.
Bérénice Marlohe:
“È stato affascinante lavorare in questo film e condividere la stessa visione della vita e di ciò che è importante. Per me è una soddisfazione scoprire che alcune persone (nda: si riferisce al regista) nutrono ancora interesse per l’arte, per la creatività, che sfidano le convenzioni, che portano nei film il loro punto di vista sulla vita e sui temi importanti”.