Donne che dirigono donne, in storie che raccontano di donne.
La regista Marta Bergman racconta la storia di la storia di Pamela (Alina Serban), una giovane rom con un carattere molto particolare, insolente e schietta, nel film dal titolo Sola al mio matrimonio, nelle sale dal 5 marzo grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione.
Presentato nella sezione ACID al Festival di Cannes, il film è stato acclamato in numerosi festival internazionali, tra cui il Rome Independent Film Festival, dove ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria e il premio alla protagonista Alina Serban come miglior attrice.
Opera prima della regista , conosciuta per i suoi documentari, soprattutto con e sulla comunità rom, il film vede protagonisti, tra gli altri, Tom Vermeir (Bruno) e Viorica Tudor (la nonna).
Pamela, è appunto una giovane rom che non assomiglia a nessun’altra ragazza della sua comunità. Vive con la nonna e la sua bambina in un piccolo villaggio, ma sogna la libertà; ha voglia di esplorare nuovi mondi e altri orizzonti, ha bisogno di ritrovare se stessa, così decide di partire in Belgio per cambiare totalmente la sua vita e quella di sua figlia.
Si distacca dalle quelle tradizioni che le tarpano le ali e con un vocabolario ristretto di francese, che conta solo tre parole – lapin, pizza, amour – una valigia, e la speranza di conquistare la tanto agognata indipendenza, parte da sola.
Seguendo Pamela nel suo viaggio, la regista Marta Bergman firma un’opera d’esordio sincera e dai toni dolceamari, delineando un ritratto emozionante e pieno di energia di una giovane donna che si allontana per ritrovarsi.
“Pamela sogna, si proietta in qualcosa di più grande, in un altrove. È ciò che la distingue dalle altre ragazze del villaggio. Tracciando il suo percorso, scopre l’amore che nutre per sua figlia e trova in sé stessa le risorse per allevarla da sola.
Volevo un personaggio che lo spettatore amasse per la sua audacia, la sua gioia di vivere e il suo desiderio di imparare. Inoltre ho voluto che il film trovasse la sua coerenza nel legame forte, che prosegue nonostante l’assenza, tra madre e figlia. Così come sua madre, Bébé fa parte di una tradizione di personaggi femminili che in diverse generazioni, fanno sentire con forza le loro voci. Il loro destino è alla base della storia che racconto.”
La scelta di questa storia, nasce dai vari documentari che la regista ha precedentemente realizzato, soprattutto in Romania, dove si è imbattuta in tante storie di donne che pensano di trovare la libertà fra le braccia di un uomo, anche sbagliato, ma scoprono in realtà di riuscire a farcela anche da sole.
Anche Pamela è sola, ma è libera, e quando in Belgio incontra Bruno, solo come lei, le vite di entrambi cambiano, si trasformano, e acquistano forza l’uno dall’altra.
La musica gioca un ruolo importante nella pellicola, e non è affatto casuale la scelta del compositore rumeno Vlaicu Golcea che ha uno stile un po’ electro, ma che è stato anche arrangiatore di una band di zingari; questi componimenti musicali riescono infatti ad esprimere al meglio gli stati d’animo e le emozioni di Pamela.
Personalmente credo che la scelta del titolo sia a dir poco geniale, una contraddizione in essere che lascia spazio a mille domande e incuriosisce.
Quello del matrimonio infatti, nell’immaginario collettivo, è un giorno chiassoso, ricco di schiamazzi e musica, di gente, di parenti vicini e lontani; è un momento di socializzazione, di festa e pensare ad una sposa sola e in fuga da se stessa, è un’immagine alquanto insolita.
Ed ecco che allora ci sentiamo parte integrante di questo evento, invitati a partecipare da un’insolita prospettiva, quella cinematografica, al matrimonio di Pamela, giovane rom in fuga.