L’industria cinematografica, con gran fatica, sembra cercare di tornare alla normalità dopo il lockdown e per il 2 settembre, nelle sale, è prevista l’uscita del film Il primo anno di Thomas Lilti distribuito dalla Movies Inspired.
La pellicola è stata designata Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI con questa motivazione:
“Attraverso l’emozione e il rispetto per i suoi personaggi il film riesce nell’impresa – mai facile – di raccontare il sacrificio di moltissimi giovani che si avvicinano all’istruzione superiore. Una commedia intelligente e vivacissima, sfaccettata e divertente che omaggia la centralità della scuola nella società contemporanea con sguardo che evita banalità e luoghi comuni. Un piccolo grande film. Serio e necessario”.
È la storia di due ragazzi alle prese con il primo anno di medicina all’Università di Parigi che è a numero chiuso e accoglie solo 300 nuovi studenti l’anno.
Benjamin (William Lebghil) è figlio di un chirurgo che spinge il figlio a proseguire sulla sua strada, mettendogli alle costole anche il fratello maggiore, già medico.
Antoine (Vincent Lacoste) invece, è spinto solo da una fortissima e salda vocazione, nonostante sia già la terza volta che cerca di superare l’esame di ammissione.
I due ragazzi stringono amicizia e capiscono che studiare insieme è forse l’unica soluzione per memorizzare la quantità di nozioni richieste all’esame.
Chi conosce il contesto universitario, sa che è un ambiente competitivo e spietato, dove quasi sempre regna la regola “mors tua, vita mea” ma alle volte accade che, proprio le amicizie più belle, sincere e durature, nascano qui, come agnelli in mezzo ai lupi.
Il primo anno ci mette davanti innanzitutto due modi di essere e di pensare.
Da un lato Benjamin che ha appena terminato il Liceo, ma si rende subito conto che questo primo anno di Università non sarà una passeggiata.
Il suo unico scopo, in realtà sembra essere quello di compiacere il padre che sembra non essere mai soddisfatto delle piccole e grandi vittorie di un figlio che, in realtà, la sua strada non l’ha ancora trovata.
Un padre che fa di tutto per metterlo in difficoltà, forse per spronarlo a fare sempre meglio, ma comunque a tratti insopportabile
“tuo padre non è molto tenero con te “
“ci sono abituato”
La sua espressione è spesso difficile da decifrare, il suo sguardo è impenetrabile, le sue parole alle volte fuori luogo, come quando chiede ad Antoine, arrivato molto più in basso di lui alle prove per l’esame di ammissione
“festeggiamo?
“festeggiamo cosa”
Gli risponde Antoine, e lui sembra davvero non capire.
Dall’altro lato della barricata c’è Antoine per il quale la medicina è tutto, non solo un traguardo professionale, ma personale e umano.
Davanti ad una stanza dell’obitorio, dove gli studenti del terzo anno si allenano su un cadavere, è totalmente rapito da ciò che vede, mentre Benjamin sembra quasi infastidito.
Benjamin e Antoine sono molto diversi quindi, e questo divario Lilti lo evidenzia anche dal punto di vista delle diseguaglianze sociali. Benjamin può permettersi un appartamento a Parigi, mentre Antoine vive in periferia con i genitori.
Attenzione, non è una questione di soldi. La ferocia sociale è di origine culturale. Quando si vive in un contesto che ha dei “codici”, questi ti vengono necessariamente trasmessi. Il padre di Benjamin è un medico e sua madre è una docente universitaria.
Questo vuol dire che, inconsciamente, Benjamin ha già gli strumenti per avere successo in questo sistema.
Proviene da quel tipo di famiglia che viene definita “intellettuale”, in cui l’idea di passare ore alla scrivania a leggere e prendere appunti è normale mentre per Antoine è tutto nuovo, e in quell’ambiente deve imparare a viverci.
L’opposizione tra Benjamin e Antoine nasce pertanto da un retaggio culturale, qualcosa di ancora più profondo, più ingiusto quasi.
Anche se è meno appassionato di Antoine, Benjamin sarà sempre più valorizzato di lui dal sistema di istruzione superiore perché gli è stato insegnato a “imparare”.
Questo è assurdo, certo, soprattutto in medicina.
“Non c’è niente di più concreto dell’essere un medico.”
Ma per riuscire nell’intento, bisogna
“imparare a dimparare”
E chi è più favorito in questo? Benjamin, annoiato, che sa imparare i libri a memoria o Antoine, appassionato e altrettanto intelligente, ma che non rientra nelle caselle di un test d’ingresso?
Se non sei dalla parte giusta, se non hai queste “facilitazioni” innate o acquisite per poter affrontare con naturalezza la sfida “teorica” degli esami, allora dovrai lottare con il doppio della fatica rispetto agli altri. Gli studi non servono più a formare, ma valorizzano le competenze che già possiedi.
Le motivazioni dietro ai loro sforzi sono diametralmente opposte quindi: Benjamin studia per compiacere il suo incontentabile padre ed è più interessato a trovare un metodo efficace per sfangarla; Antoine, per cui diventare medico è una necessità vitale, tende a farsi sopraffare dalla mole di lavoro, e dal momento che la batteria di argomenti da imparare a memoria, le conoscenze da acquisire, le competenze da dimostrare sono una infinite, i due ragazzi decidono di aiutarsi, di studiare assieme, di unire le forze e le diverse strategie di metodo per riuscire nell’impresa.
Inizia così il periodo di studio matto e disperato, che porterà Antoine a perdere ogni contatto con la realtà e lo costringerà a mollare un po’ il tiro.
“se ha già fallito due volte vuol dire che non è fatto per questo”
Dice il padre di Antoine.
“ gli esami servono a questo, a eliminare i più fragili”
Lilti poi allarga spesso l’inquadratura dai due protagonisti alle aule sovraffollate che li circondano o alle resse per vedere la propria posizione in classifica sui tabelloni, per palesare quanto sia crudele e iniquo il processo di selezione dei candidati.
È un sistema in cui non sono ammesse debolezze né ripensamenti, dove è lo spirito di competizione a regolare tutto e dinanzi a questo, non c’è amicizia che tenga.
Dalla coda per accaparrarsi un posto nelle prime file alle simulazioni a crocette piene di domande trabocchetto ai pisolini di dieci minuti con cui gli studenti cercano di arginare la stanchezza da studio matto e disperatissimo, il regista ci rende partecipi dei meccanismi che le generazioni precedenti non hanno dovuto affrontare, e che tendono a stritolare anche il più volonteroso degli studenti, senza preoccuparsi di distinguere chi è davvero “fatto per fare il medico” da chi è semplicemente bravo a “digerire informazioni inutili”.
Il ritmo della storia è dato proprio dall’alternanza fra pubblico e privato, fra particolare e universale.
La recitazione sommessa di William Lebghil, visto di recente in Yves, nei panni di Benjamin àncora è perfettamente in contrasto con questo mondo caotico e frenetico, dove tutto sembra scorrere velocemente sotto gli occhi rallentati di questo ragazzo.
Il primo anno ci informa sulla situazione degli universitari di oggi e fotografa bene una società abituata ad esercitare grandi pressioni per “eliminare i più fragili”, ribadendo il messaggio del sociologo Pierre Bourdieu:
“Dobbiamo mettere la società al servizio della scuola, e non la scuola al servizio della società”.
Lilti ha pensato a questo primo anno dei due ragazzi come a una preparazione per una maratona; è riuscito a dare alla narrazione un impianto molto “fisico”, pur trattandosi di argomenti di studio come chimica, biologia, fisica.
Ad un certo punto sembrano quasi rendere un omaggio paradossale a Rocky, quando pianificano il tempo da dedicare allo studio e letteralmente si allenano ripetendo e correndo, interrogandosi e simulando esercizi, e così la trama, da lenta e riflessiva, acquista un imprevedibile ritmo.
Un ritmo che segue quello della vita dei due studenti, un climax di tensione che accompagna lo spettatore verso il finale, verso l’esame conclusivo, verso l’esito che determinerà le loro vite, verso la sorpresa, grazie a lunghi piani sequenza coadiuvati dalla luminosa fotografia di Nicolas Gaurin.
Alla fine quel pianto, racchiude tutto, la fatica dello studio, il dispiacere per Antoine, la rabbia verso un padre che non è mai contento e che Benjamin farebbe di tutto per compiacere.
È un pianto liberatorio, un pianto che racchiude la competizione, l’amicizia, la stanchezza, l’orgoglio di avercela fatta, gli sforzi, l’inizio di un avvenire diverso.
Bravi e credibili i due attori protagonisti, due giovani con lo sguardo pulito, la gestualità moderna, l’inquietudine di un’età delicatissima di passaggio e determinante.
Alla fine, l’amicizia che si è instaurata fra i due trionferà su tutto: sulla stanchezza, sulle aspettative, sulle delusioni, sulle gioie. Un gesto finale sarà capace di dimostrare chi possiede i veri valori.
Non vi svelerò il finale della storia, perché merita di essere visto, posso solo dirvi che, se da un lato potrebbe essere scontato, dall’altro vi sorprenderà.