Avendo visto l’anteprima del nuovo film Fino all’Inferno non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione e dare una sbirciata anche al titolo precedente del regista
The Wicked Gift è il primo film diretto interamente da Roberto d’Antona, un horror thriller girato lo scorso anno e distribuito nei cinema a partire dal 5 aprile 2018, in collaborazione con Movie Planet Group e L/D Production.
La Trama
Le opinioni dei redattori
Ma veniamo al dunque! Ognuno di noi ha pensato di dire la propria riguardo a questo interessante titolo, sono usciti pareri positivi ma anche negativi. I nostri gusti sono molto diversi e le opinioni possono cambiare radicalmente, ma una cosa ci ha accomunato: nessuno ha preso una posizione ben precisa, abbiamo pensato di dire cosa ci è piaciuto e cosa ci è piaciuto un po’ meno. Andiamo a scoprirlo insieme!
Valentina
Ho seguito a ritroso il percorso di Roberto d’Antona, poiché il mio primo approccio con le sue produzioni è stato Fino all’Inferno, in uscita nelle sale in questi giorni, e solo successivamente la curiosità mi ha portato alla sua opera prima, The Wicked Gift.
E’ impossibile esimersi dal paragone, The Wicked Gift è l’esordio abbozzato di un regista che ha già le idee chiare su quale impronta dare alle sue produzioni. I riferimenti cinematografici abbondano, come non pensare a Samara, ad esempio, quando vediamo la ragazza indemoniata che striscia sul pavimento? Così come abbondano le scene comiche nei momenti teoricamente meno indicati, caratteristica che, se in questa pellicola può sembrare poco indicata, è uno dei punti di forza del suo lavoro successivo.
“Qual è il sogno, e qual è la realtà?”, ecco la domanda che rimane quando tutto è finito, eppure di onirico non c’è nulla, lo spettatore non è in grado di tracciare una linea netta tra le due dimensioni così come non può farlo il protagonista. Ci si immedesima con Ethan, perché come lui vorremmo risposte che non avremo.
In conclusione… dovete vederlo, apprezzandone la buona volontà. Nonostante tutti i difetti, non si può comprendere la carriera di un regista, o di un attore, senza un occhio a tutte le sue opere, da quelle d’esordio alle più recenti, da quelle meno riuscite fino ai capolavori. E se la curva di progresso è questa, non possiamo che aspettarci grandi cose dalla terza pellicola in arrivo.
Giorgio
Premettendo che non sono un grande amante del genere horror a causa dei temi troppo spesso ricorrenti, ho saputo apprezzare alcune qualità di questo film che risultano uniche nel suo genere.
The Wicked Gift è un misto tra comico, horror e thriller. Le grosse risate non mancano, specialmente quelle collegate al personaggio di Andrea, interpretato brillantemente da Francesco Emulo. Parlando di recitazione, forse la performance non è stata sufficientemente credibile da poter risultare paurosa, i brividi sono un po’ mancati anche se presenti in alcune parti. Nonostante questo le scene comiche sono riuscite molto bene, a partire da quella della capra fino ad arrivare alla lotta per il panino.
Avendo avuto la fortuna di vedere Fino all’Inferno posso dire che quest’ultimo è un gradino sopra, sia per la recitazione che per il livello di intrattenimento, riuscito alla grande. Una cosa che accomuna questi due film sono sicuramente gli hamburger, onnipresenti sul set come se fossero il cibo più buono di questo mondo (in parte è vero).
L’idea dell’entità che fa premunizioni riguardanti azioni che capiteranno nella realtà l’ho trovata geniale, la maggior parte della tensione infatti l’ho accumulata nelle scene in cui si verificavano gli eventi sognati da Ethan. Anche il finale aperto con tanto di esclamazione di Roberto è stato un gran momento, che mi ha lasciato abbastanza soddisfatto a fine pellicola.
Guardando il miglioramento che c’è stato tra il primo e il secondo film e avendo visto in prima persona l’entusiasmo della troupe nel proprio lavoro, non posso che essere ottimista sul nuovo film in cantiere.
Irene
The Wicked Gift non è certo un film che guarderei una seconda volta, ma questo potrei dirlo di altri cento. Per quanto riguarda gli horror poi, è incredibilmente difficile trovarne uno ben fatto e che, soprattutto, faccia venir voglia di fare un bel rewatch. Trame sempre uguali, stesse dinamiche, stesse conclusioni prevedibili. Anche in questo film di somiglianze con altre pellicole del genere se ne trovano, giusto per citarne alcuni The Ring o The Conjuring, ma, in fondo, inserire qualche citazione non è il male peggiore.
Di pregi questo film sicuramente ne ha. La trama in sé non è male, il regista ha scelto, in modo intelligente, di unire l’horror al thriller psicologico. Già dalle prime scene, che vedono Ethan raccontare i propri sogni a uno psicanalista, si intuisce il legame tra la psiche e l’inconscio del protagonista e gli orrori che si troverà a dover affrontare. Sicuramente un buon punto di partenza. Andando avanti con la visione le cose tendono a peggiorare, tra il demone contorsionista alla The Ring e altri elementi paranormali che fanno un po’ sorridere o storcere il naso.
Vero è che gli ultimi venti minuti, a partire dall’ipnosi di Ethan, riescono a risollevare gli animi di noi spettatori e a farci tornare la voglia di finire il film. Anche le riprese, in quest’ultima parte, sono lodevoli. I primi piani del protagonista sono incredibilmente inquietanti e riescono a farci rabbrividire. Quando poi, in sottofondo, si aggiungono le risate malefiche, un po’ di strizza viene; sarà che sono le cose che più mi mettono paura negli horror.
Con la scena finale, il film riacquista punti e anche i classici, triti e ritriti cliché, vengono in parte perdonati. Il finale aperto riconferma la presenza del thriller all’interno dell’horror e rende la chiusura meno scontata e prevedibile.
Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. La cosa che salta all’occhio e che, purtroppo, rovina il film, è la recitazione degli attori, che lascia molto a desiderare. Per non parlare della dizione, poco accurata, che spesso rende incomprensibili i dialoghi. Bisogna dar credito all’attore protagonista, Roberto D’Antona, una spanna sopra gli altri. Curioso, però, come nei momenti ricchi di pathos o dove viene richiesto uno sforzo attoriale maggiore, le performance salgano di livello. Sembra quasi che recitare la parte di un indemoniato o di un uomo in preda a una crisi isterica sia molto più facile. Sicuramente viene lasciata da parte quella finzione da telenovela.
Altra pecca sono i dialoghi, spesso banali e inutili, talvolta troppo semplicistici, tanto da sembrare più materiale per fanfiction.
Ultimo aspetto che non so se considerare positivo o meno è la presenza di scene comiche. Fine immediato è sicuramente quello di smorzare la tensione. Simpatica la capra, simpatici, anche se a volte troppo lunghi, i momenti condivisi dai due amici, Ethan e Andrea. Ci sarebbe, però, da discutere su quanto scene di questo tipo siano efficaci e funzionali in un horror. Coloro che non sono fan sfegatati degli horror classici, ricchi di pura tensione e colmi di jumpscare, probabilmente apprezzeranno il fatto di poter ogni tanto tirare un sospiro di sollievo e farsi qualche risata.
In conclusione, se riusciamo ad abbandonare lo scetticismo iniziale e se impariamo a ignorare la scarsa, per usare un eufemismo, recitazione, il film può anche risultare godibile. Motivi per cui congratularsi ce ne sono, considerata soprattutto la giovane età del regista.
Lara
Fin dall’inizio sono ben chiari la passione e la voglia del giovane regista Roberto D’Antona, anche il protagonista principale del film Ethan, e di tutta la sua crew nel costruire una storia che riesca ad appassionare fin dalle prime immagini, aprendo con un incubo sanguinoso e allo stesso tempo intrigante. Un’interessante opera prima da vedere, per poter apprezzare il lavoro di un gruppo di ragazzi molto preparati, con una profonda passione per il cinema.
D’Antona ha usato ambienti scuri e claustrofobici, adatti ad un film del genere, con boschi tetri e spaventosi e location molto indicate, anche se “casalinghe”. Purtroppo, la trama è molto confusa, con chiari riferimenti a molti stereotipi comuni ai film horror, e i dialoghi sono noiosi, privi di espressività e, alle volte, risultano quasi comici.
Matt
La caratterizzazione della medium è abbastanza ben fatta e i suoi toni serafici e rilassanti contribuiscono a disegnare un personaggio ben calato nel suo ruolo. Annamaria Lorusso interpreta il suo alter ego con sentimento e il risultato è una Ada Bloise perfettamente credibile nel suo contesto, seppure qualche volta vittima di lungaggini didascaliche e nozionistiche. Apprezzabili i riferimenti alla cultura mistico-pagana e la definizione del demone che sembra omaggiare e riprendere in qualche misura, secondo il mio personale punto di vista, Long Time Dead (2002).
Come aspetto negativo invece posso dire che il film scorre veloce, all’inizio risulta difficile riuscire a spiegare, o se non altro comprendere, il ruolo del demone, nei panni di una rivisitazione di Samara di The Ring (2002). Non ho particolarmente apprezzato alcuni dialoghi, poco naturali e spesso artificiosi, che hanno tolto naturalezza alla narrazione.