Apprendo della tragica scomparsa di Stan Lee proprio in queste ore, mentre da casa mia stavo per scrivere questa recensione per il nostro consueto appuntamento: la rubrica sul marvel cinematic universe.
Mi sembra doveroso spendere alcune parole per il creatore di questo fantastico universo, non solo una casa editrice, non solo fumetti, ma una vera filosofia. Il concetto di percepire il fumetto in maniera diversa rispetto a quello che si era abituati a vedere nel periodo della Golden Age, il periodo di nascita dei primi supereroi come Batman, Superman, Capitan America e simili di quell’epoca, dove le tavole erano sempre cosi piene di colori e questi personaggi ci sembravano cosi surreali e privi di difetti.
Stan ha introdotto, come un pioniere, in questa arte, fino ad ora semplicemente rilegata ad un target d’età adolescenziale, una dose di verosimiglianza con la vita comune, inserendo concetti come la depressione, il razzismo, la tossicodipendenza e altre problematiche che non erano mai state affrontate nelle avventure di un supereroe fino ad allora.
Stan ha preso in mano la Timely Comics (divenuta con il tempo Atlas Comics) per tramutarla nella Marvel Comics, erano gli anni 60 e i personaggi mascherati ed impavidi erano passati di moda, lui ne invento (credo manchi l’accento) dei nuovi e fece rinascere quelli del passato mescolandoli assieme con gusto e raffinatezza. A lui si devono creature di enorme fama come Spiderman, I fantastici quattro, gli X-men, Daredevil, Hulk e molti altri ancora.
Stan lee è, per tutti i fan del fumetto e della fantascienza, un’icona leggendaria, le sue idee resteranno sempre impresse con il passare del tempo, le sue storie incise, non solo in quegli albi così tanto riletti da noi appassionati ma vivide nei nostri cuori. In effetti per noi Stan non se n’è mai andato, immortale sarà presente in quel mondo in cui noi tutti, sognatori senza età, abbiamo sempre più disperato bisogno di vivere ogni volta che sentiamo il bisogno di leggere un fumetto
Grazie di tutto Stan.
Captain America: The first Avengers
Il film che oggi andremo a presentare significa molto per me, motivo per il quale mi sembrava opportuno omaggiare il creatore della casa Marvel per introdurvi a questo episodio molto emozionale della nostra rubrica. Parleremo di Captain America The first Avenger, film del 2011 diretto da Joe Johnston (Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta) con Chris Evans nella parte del protagonista.
Film che reputo importante, sia a livello affettivo per via della mia palese preferenza tra tutti i personaggi marvel, ma anche per quell’ultimo tassello che rappresenta questo episodio per la costruzione della fase 1, che andrà a concludersi con il film Avengers.
Capitan America (Captain America), il cui vero nome è Steven Grant “Steve” Rogers, è un personaggio immaginario dei fumetti creato da Joe Simon e Jack Kirby nel 1941 pubblicato negli Stati Uniti dalla Timely Comics e in seguito dalla Marvel Comics.
Le Origini
Il personaggio, nato come elemento di propaganda durante la seconda guerra mondiale, dove rappresentava un’America libera e democratica che si opponeva a una Germania nazista, antidemocratica, imperialista e bellicosa, riscosse da subito un grande successo di pubblico tanto che già il primo numero della serie vendette quasi un milione di copie e le vendite dei successivi numeri si mantennero su questi livelli, superando riviste come Time. Il personaggio divenne rapidamente il più popolare dell’editore e venne creato anche un fan club denominato “Sentinel of Liberty“. Con la fine del conflitto Cap perse la sua popolarità nonostante il tentativo di rilanciarlo come cacciatore di comunisti durante i primi anni della guerra fredda. Nel 1964 Stan Lee decise di riproporlo come comprimario nella serie Avengers privandolo però degli elementi nazionalistici e dotandolo di una sensibilità e un’umanità tutta nuova, rendendolo protagonista di storie di denuncia sociale rendendolo l’incarnazione della coscienza dell’America.
La trama
E’ il 1941 il mondo è lacerato dalla Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver ripetutamente cercato di arruolarsi nell’esercito per combattere al fianco dei suoi fratelli e delle sue sorelle nelle Forze Alleate, il giovane e gracile Steve Rogers (Chris Evans) entra a far parte di un programma sperimentale che lo trasformerà nel Super-Soldato conosciuto come Captain America.
L’esperimento riesce perfettamente ma, nei primi tempi, Steve viene sfruttato sostanzialmente come fenomeno da baraccone e deve trovare uno stratagemma per riuscire ad arrivare in Europa, dove si combatte sul serio. Una volta nel Vecchio Continente, Captain America scoprirà che il suo grado è solo teorico e che gli tocca guadagnarlo sul campo…
Nel cast troviamo Chris Evans nella parte di Steve Rogers / Capitan America (lo hai già detto 4 righe fa, lo eviterei), Hugo Weaving in quella di Johann Schmidt / Teschio Rosso, Tommy Lee Jones è il Col. Chester Phillips, Hayley Atwell l’agguerrita Peggy Carter (che rivedremo successivamente protagonista nello spin off Agent Carter), Sebastian Stan è l’iconico aiutante James “Bucky” Barnes, Dominic Cooper copre il ruolo Howard Stark ( andando così a incidere maggiormente con la continuity dei precedenti film marvel) e Stanley Tucci che dà vita al dottor Abraham Erskine.
Il film non è eccezionale e, a mio avviso, non è tra i migliori film marvel realizzati finora, ma ho apprezzato molto il gusto registico di Johnston, è particolare e si notano subito delle somiglianze scenografiche con quelle del film The Rocketeer (sempre tratto da un fumetto). A tratti il film sembra avere delle dinamiche lente e macchinose, ma con uno sviluppo proiettato verso una serie di sequenze d’azione crescente, sopratutto nel finale il che, tutto sommato, rende il film godibile e per nulla scontato, soprattutto per chi non conosce le origini del personaggio e le sue evoluzioni nel corso degli anni.
Un uomo fuori del tempo
Chris Evans non dà l’idea di trovarsi molto a suo agio nei panni dell’iconico soldato a stelle e strisce, lo si può capire dalla differenza con le ultime pellicole marvel, dove sembra, in film come Age of Ultron o Winter Soldier, di aver formato una sorta di legame emozionale con il personaggio, certo è che fra tutti i personaggi Marvel questo era tra i più difficili da trasporre. Non esistono solo effetti speciali o sceneggiature avvincenti, Capitan America è l’emblema stesso di una nazione, ne rappresenta i suoi valori ma al contempo anche una sorta di polemica nei confronti del governo e delle sue scelte. Di fatti, come accennavo prima, Stan Lee recupera Cap trasportandolo nel presente (dell’epoca) donandogli un’umanità e una capacità di pensiero più complessa e profonda.
Lo stesso personaggio appare più scanzonato, colorato e patriottico rispetto a tutti gli altri presentati fino a quel momento e, una calzamaglia con i colori di una bandiera può non sembrare poi cosi accattivante (soprattutto se confrontata ai pettorali in latex di Thor o alla scintillante armatura di Iron Man) ma il personaggio è questo e i produttori marvel hanno donato al capitano un graduale cambio estetico, lo si vedrà infatti esordire con, appunto, una calzamaglia fatiscente, passando per una divisa da soldato semplice riadattata, per poi avere un look più consono ad una rappresentazione moderna del super soldato che conosciamo nei fumetti.
Nel film non vengono tralasciati tutti gli elementi che hanno reso celebre il supereroe più antico e prestigioso di casa Marvel, dai valori incarnati nel gracile Steve Rogers, che soprattutto prima di divenire il super uomo perfetto dimostra di avere una sensibilità e un rispetto per il prossimo che lo contraddistingue da tutti gli altri tipici soldati americani partiti per il fronte europeo.
Un grande carisma
“Un uomo fuori dal tempo”, cosi comunemente denominato in diversi archi storici, Capitan America ha sempre rappresentato per diverse generazioni il prototipo dell’uomo perfetto, non munito di superpoteri o gadget speciali (a parte il suo incredibile scudo) ha sempre dimostrato il suo valore sul campo di battaglia. Il siero di Erskine infatti non ha dato a Steve capacità extra rispetto al limite massimo di sviluppo di un uomo atletico e nel pieno delle sue forze, per questo quello che contraddistingue Capitan America da molti altri fumetti del genere e l’alto dosaggio di scene d’azione inserite in contesti di cospirazioni e complotti governativi , e per gli amanti del genere spy e thriller questo è un elemento non da poco per un supereroe marvel.
Alla fine del film Steve Rogers si sacrifica, schiantandosi contro il suolo ghiacciato dell’Antartide con un’astronave, concepita da teschio rosso, carica di testate nucleari, insieme al cubo cosmico (artefatto che appare alla fine del film Thor).
Il cubo infatti, viene qui presentato come un oggetto mistico che ha origini Asgardiane, viene quindi citato l’albero di Hedrasil, simbolo dei nove regni già conosciuto nelle avventure del dio del tuono. L’ossessione da parte del Teschio rosso nel cercare oggetti legati alle divinità per acquisire poteri in grado di dominare il mondo, da qui le origini della sezione speciale del terzo reich: L’hydra, che rivedremo anche nei prossimi film marvel.
Un epilogo fondamentale
Capitan America si addormenta nel mare sprofondando in una sorta di letargo e ibernandosi per più di ottant’anni, al suo risveglio si ritroverà nei giorni nostri con un Nick Fury che lo assolda subito nel suo team di persone straordinarie: Gli Avengers.
Giunge al termine anche questo appuntamento con il nostro countdown ad Avengers 4, grazie a questo ultimo tassello siamo giunti alla prima, autentica, presentazione della formazione degli avengers, sebbene così non è proprio andata nei fumetti, il perché ve lo spiegherò con il prossimo articolo.
Quello di oggi è per me un articolo importante, non solo per aver scritto di un personaggio che mi sta molto a cuore come Capitan America, ma per il mio ultimo saluto a Stan Lee, ideatore di questo universo immenso, motivo per cui siamo qui a parlare di avventure epiche, mondi popolati di creature di vario tipo, ma soprattutto di tanti supereroi con i loro super problemi, che li rendono più simili a noi di quanto possiamo pensare. Perché in queste storie, in primo piano, c’è sempre il coraggio e tutti i valori che sono stati generati da persone comuni, come me e come voi. Sono questi dettagli che ci rendono speciali, non i super poteri, e questo, Stan, lo sapeva e lo ha condiviso con noi.