In questi giorni i talebani hanno riconquistato il paese, approfittando del disimpegno sul territorio dell’esercito statunitense. L’opposizione delle truppe governative si è presto dissolta e centinaia di migliaia di profughi stanno abbandonando il paese, in ogni modo possibile. Cogliamo l’occasione per riproporti la recensione di The Outpost, che analizza la situazione dell’Afghanistan degli ultimi anni.
The Outpost (Id.)
Regia: Rod Lurie; soggetto: dal libro The Outpost: An Untold Story of American Valor di Jake Tapper; sceneggiatura: Eric Johnson, Paul Tamasy; fotografia: Lorenzo Senatore; scenografia: P. Erik Carlson; costumi: Anna Gelinova; trucco: Sofi Hvarleva; effetti speciali: Ivo Jivkov, Stanislav Dragiev; musiche: Larry Groupé; montaggio: Michael J. Duthie; interpreti: Scott Eastwood (Clint Romesha),Caleb Landry Jones (Ty Carter), Orlando Bloom (Benjamin Keating), Jack Kesy (Josh Kirk), Cory Hardrict (Vernon Martin), Milo Gibson (Robert Yllescas), Jacob Scipio (Justin T. Gallegos), Taylor John Smith (Andrew Bundermann), James Jagger (Chris Jones), Jonathan Yunger (Jonathan Hill); produzione: Paul Michael Merryman, Paul Tamasy, Marc Frydman, Jeffrey Greenstein, Jonathan Yunger, Les Weldon per Millennium Media, Perfection Hunter, distribuito da Eagle Pictures; origine: Stati Uniti/Bulgaria – 2020; durata: 123′.
Trama
Afghanistan, ottobre 2009. L’esercito degli Stati Uniti costituisce un piccolo avamposto all’interno di una stretta gola tra le montagne della regione, la Combat Outpost Keating, nella provincia di Nuristan, a soli quattordici miglia dal confine pakistano. Nella vicina cittadina di Kamdesh, i soldati fanno fronte agli attacchi talebani con armi, dollari e diplomazia e riescono a progredire nei rapporti con la popolazione locale, cercando di separare i civili dai ribelli. Il tentativo del capitano Keating (Bloom) di dialogare coi locali finisce con la sua morte in fondo a un dirupo. A precipitare con l’ufficiale è pure la situazione. Il 3 ottobre 2009 cinquantatré soldati stretti all’interno della gola, da molti ritenuta inespugnabile vengono attaccati da oltre trecento talebani. L’intervento aereo e il coraggio di un manipolo di uomini eviteranno la sconfitta a costo di perdite che si sarebbero potute evitare. Il bilancio sarà comunque pesante: otto morti, numerosi feriti, ricompensati con nient’altro che medaglie per riparare l’incapacità dei loro superiori a valutare la minaccia.
Il Giudizio del Redattore
Come regista di film d’azione Rud Lurie sa come costruire la tensione e non annoiare lo spettatore. In questo caso lo fa con una storia che appassiona, grazie anche alla solida prova di attori come Scott Eastwood e soprattutto Orlando Bloom. Lo scopo è di raccontare un episodio eroico della guerra in Afghanistan, la resistenza di un manipolo di uomini assediati da centinaia di nemici decisi a sterminarli. Per una volta la critica più aspra è rivolta ai vertici militari che sottovalutano la situazione, riuscendo ad intervenire soltanto quando ormai la battaglia si è fatta disperata. Le scene di battaglia valgono la visione così come la descrizione dell’esistenza dei soldati, sottoposti a una pressione costante e costretti a rischiare la propria vita. Per non spiacere troppo allo spettatore più patriottico alla fine del film vengono proiettate interviste ai sopravvissuti, ma la sceneggiatura – a parte qualche esagerazione retorica comprensibile – ne fa qualcosa di più del solito film di guerra con gli americani visti come i buoni e i terroristi cattivi. Questi ultimi sono dipinti tuttavia secondo gli stereotipi del genere, senza una caratterizzazione particolarmente attenta, riservata invece ai civili abitanti del villaggio di Kamdesh, guardati con occhio più che benevolo.
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