Ridley Scott sforna il suo primo film del 2021, The Last Duel, al quale seguirà, tra circa un mese, House of Gucci, con ancora una volta Adam Driver come uno tra i volti primari del cast.
Se vuoi vedere il trailer del prossimo film di Scott, eccolo qui sotto:
Infatti Adam Driver interpreta l’antagonista di questo film, Jacques Le Gris, la cui vicenda storica è quella dell’ultimo duello di dio autorizzato in Francia. Questo duello appunto sarebbe stato approvato dal parlamento di Parigi nel 1386. Il film è tratto dal romanzo storico di Eric Jager L’ultimo duello. The last duel. Una storia di scandali, intrighi e un confronto all’ultimo sangue per la verità (2004). Il libro è disponibile su Amazon al seguente link.
I duelli di dio
Il duello di dio è una pratica giudiziaria, una forma di ordalia, ossia un metodo di provare la verità di un evento criminoso che prevede una prova fisica o comunque dolorosa, in cui l’accusato può rischiare la vita (anche se ciò accadde meno spesso di quanto potresti pensare, considerato il periodo storico). La pratica deriva dal diritto germanico, e ha trovato la sua fine con l’evoluzione del concetto e l’opposizione della Chiesa nel XVI secolo.
Il duello di dio veniva condotto secondo specifici rituali, dunque l’esito non poteva essere altro che l’espressione del volere di dio, ossia la cosa giusta. Il duello raccontato da Ridley Scott in questo film è l’ultimo combattuto in Francia.
I castelli e le città erano normalmente muniti di spazi recintati in cui i duellanti avrebbero combattuto per tutto il tempo necessario e con le armi stabilite dalle autorità.
Recensione di The Last Duel
La corposità del film (152 minuti) non impedirà agli appassionati di Storia di godersi il film, ma non è solo a loro che è rivolto il lungometraggio. Difatti, l’obiettivo non è mettere in scena sfarzosi e dettagliatissimi costumi, o scenografie ricostruite alla perfezione: e ciò non vuol dire che questi non ci siano, anzi. Scenografia e costumi avvalorano la storia che viene raccontata, ma non ne sono il focus. Difatti, l’attenzione ricade soprattutto su quelli che erano i meccanismi della società dell’epoca.
Scott vuole, attraverso gli stessi eventi narrati da tre diversi POV mettere in scena la grande differenza che può esserci tra questi. La verità come non singola, ma molteplice. Almeno fino a un certo punto, almeno finché non si arriva al motore della storia, ossia la violenza subita da Marguerite. A questo punto, nonostante Scott sia bravo a far dubitare di ogni cosa nei racconti dei protagonisti, la verità appare molto meno variabile, come se un oggetto tridimensionale si fosse improvvisamente schiacciato.
Grande risalto hanno quindi i processi di nobilitazione di un uomo all’interno della società, illustrati molto bene attraverso i due personaggi maschili principali dell’opera, i duellanti. Uno, Jean, che avendo un nome abbastanza solido sulle spalle, cerca intanto di arricchirsi di guerra in guerra per scalare la gerarchia sociale. L’altro, partito povero in canna, e pian piano arrivato ad avere una fetta di potere grazie alla propria cultura e al rapporto instaurato con il conte Pierre D’Avencon.
La nobilitazione maschile, blocco di partenza tematico del film, ad un certo è accostato a quello della donna, che traspare – non sempre reso esplicito (com’è giusto che sia) – dalle figure della madre di Jean e soprattutto poi da Marguerite e le sue amiche (il corsivo ha un motivo d’esser qui, ma lo si capirà durante il film). Da circa metà film in poi, da quando si prende in esame la prospettiva degli eventi di Marguerite, ecco che il film mostra una parabola di de-nobilitazione. Se nobilitarsi vuol dire anche adornarsi, abbellirsi, allora quello che succede a Marguerite è l’opposto, viene spogliata, messa a nudo. E la scena culmine è quella dell’interrogatorio, che urterà la sensibilità di noi moderni, ma che all’epoca non doveva essere fuori dal comune.
Questa scena, come tutte quelle girate esclusivamente in interni, si caricano di un’atmosfera assai negativa, come se l’intimo simbolizzato da questi luoghi non fosse una safe zone per la protagonista. E difatti non è così. Però purtroppo non sono amichevoli nemmeno gli ambienti esterni, in cui la luce arriva sempre grigia, spettrale. Ma d’altronde la società, la dimensione pubblica della vita, non è neanch’essa sinonimo di sicurezza.
A empatizzare con la figura di Marguerite, oltre che il regista, rimane solo il direttore della fotografia. Essa è infatti molto cupa lungo tutto il minutaggio, ma diventa decisamente tetra, e minacciosa, nella scena appena menzionata dell’interrogatorio. È da questo momento in poi che il film comincia a caricare emotivamente lo spettatore, in modo sapiente aggiungerei: difficilissimo mantenere alto il livello emotivo per 152 minuti di film, ma farlo solamente nell’ultima parte è molto più facile, e a Scott è riuscito benissimo (d’altronde il regista è abituato ad avere a che fare con film lunghi). Quindi, se si è riusciti ad arrivare a questo punto del film, e superare quella che obiettivamente è una prima parte molto lenta, allora l’ultima parte ha il sapore di una conquista. E a questo punto tutta la bellezza del film si rivela (anche se purtroppo, non è uno spettacolo piacevole).
Scott ha voluto darci un’immagine familiare del Medioevo. E l’ha fatto in un modo chirurgico. La famigerata violenza delle popolazioni vissute in questo periodo qui prende vita, come se le figure sul libro di Storia delle superiori all’improvviso saltassero fuori dalla carta.
Bisogna renderne atto a Scott: tutta la seconda metà del film è davvero ottima, nessuna pecca. Se non forse un finale un po’ veloce, ma forse, questa l’unica indecisione sulla seconda parte, è abbastanza quanto fa vedere.
Recitazione
Matt Damon un po’ sottotono, ma comunque calato nella parte. Certe cose gli riescono davvero bene, e in una scena in particolare mette i brividi. Forse la sceneggiatura non ha premiato il suo personaggio.
Ben Affleck molto affascinante (in senso più negativo che positivo dal punto di vista umano) nel ruolo di antagonista secondario. Dovrebbe essere più spesso ricco e senza scrupoli.
Jodie Comer è la superstar del film, meritatamente. In linea con il suo personaggio è un po’ pallida da principio ma sboccia esplosivamente nella seconda parte, regalando un sacco di sfaccettature al suo personaggio. L’ultima inquadratura dopo il duello, a lei dedicata, è qualcosa che dovrebbe essere preso e studiato nei corsi di recitazione. Davvero complimenti alla Comer.
Adam Driver bravo, ma questo ruolo non gli ha dato forse spazio per esplorare ed esplorarsi ulteriormente. Quasi un Kylo Ren nel Medioevo, anche se in Star Wars il personaggio era anche più approfondito emotivamente di quanto non lo sia Le Gris. Avrà una chance di riscatto con lo stilista italiano?
Dati tecnici
Regia: Ridley Scott. Cast: Jodie Comer, Ben Affleck, Adam Driver, Matt Damon. Sceneggiatura: Matt Damon/Ben Affleck/Nicole Holofcener. Soggetto: tratto dal romanzo di Eric Jager. Musiche: Harry Gregson-Williams. Scenografia: Arthur Max. Costumi: Janty Yates. Durata: 152 minuti. Paese di produzione: Stati Uniti d’America, Francia, Irlanda. Anno: 2021.