Molti film fin dagli albori del cinema hanno provato a rappresentare un eventuale conflitto tra natura umana e quella animale, di certo The Animal Kingdom (Le Règne Animal) è uno di quelli che certamente meglio è riuscito in questo non semplice compito. Il film di Thomas Cailley da quando è stato presentato al Un Certain Regard section al 76th Cannes Film Festival nel 2023, ha ricevuto tra i tanti riconoscimenti ben 12 candidature ai 49° Premi César qualche mese fa, più di tutti gli altri film in lizza, aggiudicandosene ben cinque.
Ha vinto tra l’altro, un importante premio ai Lumiere Awards, il festival che premia i film francesi più meritevoli dell’anno, vincendo per la miglior regia, insieme alle comunque altrettanto prestigiose candidature come miglior film, miglior fotografia e miglior colonna sonora.
In Italia, verrà distribuito nei cinema dalla I Wonder Pictures a partire dal 13 giugno 2024, ed ha già incassato 8,9 milioni di dollari ai botteghini di tutto il mondo.
Un’avventura che vedrà protagonisti, in un futuro non troppo lontano dal nostro, un padre ed un figlio, François ed Emile, i quali dovranno affrontare un mondo che ha portato diversi umani a mutare in altre specie animali in maniera progressivamente definitiva. Tra demoni interni ed esterni per cercare la loro vera natura, nessuno verrà risparmiato, perché il mondo circostante e dentro di loro li porterà drammaticamente a a dover scegliere da che parte stare.
The Animal Kingdom: La trama
Un padre ed un figlio alla ricerca di un nuovo mondo
La prima scena in The Animal Kingdom, ci porta nel caos metropolitano con un padre François Marindaze (Romain Duris) e suo figlio adolescente Émile (Paul Kircher) in viaggio per andare a trovare la madre, gravemente malata e agli ultimi stadi della sua metamorfosi in lupo.
Un padre che fin dal principio si dimostra idealista, contro la globalizzazione e l’omologazione di massa, con il figlio ha un rapporto d’affetto forte ma anche turbolento, essendo questo costretto a vivere una situazione indubbiamente complessa e difficile per un ragazzo della sua età, obbligato a vedere la madre tramutarsi in un essere molto lontano da quello che era.
Ne nasce una riflessione fin dall’inizio da una parte antropologica, perché François non crede che l’uomo sia di natura sedentario, come la società moderna ci imporrebbe, legato a telefoni e a scelte di prodotti che di fatto omologano in maniera seriale l’uomo l’uno con l’altro, dall’altra abbiamo anche una riflessione sulla medicina occidentale con i suoi limiti le sue contraddizioni, in grado sì di curare malattie gravissime come la pesta e il colera, ma non in grado di sconfiggere definitivamente gli agenti patogeni che provocano per esempio, un semplice raffreddore.
La madre di Émile, Lana, appare fin dal principio come un’ombra, la sua forma umana è pressoché già un ricordo fin dall’inizio del film, testimonianza di ciò che era rimane solo in alcune foto di famiglia sulla bacheca della sua stanza in cui è ricoverata, e proprio con il suo primo piano nell’ombra, incomincia il film vero e proprio.
Abitare insieme è possibile? E’ una possibilità che le moderne politiche in questione si chiedono, che soprattutto François si domanda. Studi che provengono non a caso non da un paese mediterraneo come la Francia, ma da uno dei paesi più avanti e all’avanguardia per quanto riguardo il welfare state, la Norvegia, e che vedrebbero la possibilità, almeno sulla carta, di una convivenza tra umani e mutanti come una cosa quantomeno fattibile.
François, essendo un uomo aperto mentalmente e da sempre contro le costrizioni che la società odierna impone in maniera diretta o indiretta all’individuo, ci crede fermamente a questo principio, anche perché così di fatto salverebbe l’unità della propria famiglia.
Una scelta evidentemente in controtendenza con le politiche del suo paese, la quale scarta decisamente questa eventualità, come se Cailley nel suo film non giudicasse il suo paese in grado mentalmente e umanamente, in quella drammatica eventualità, di fare una scelta di questo tipo.
Non dimentichiamo che la Francia è da sempre tra i paesi più in difficolta nella gestione della convivenza tra immigrati di lingua francese e quelli francesi di nascita, quindi è un film che lo si può leggere anche sotto questo punto di vista come una riflessione dovuta sulla convivenza tra diversi popoli ed etnie in un medesimo luogo.
Dopo un certo periodo di tempo, François ed Émile decideranno di vivere al sud della Francia per due mesi, lì passeranno l’estate, il padre come cuoco, lui come studente di quelle che da noi sarebbero le scuole superiori.
Anche in questo caso in The Animal Kingdom, viene fuori una riflessione tra l’antropologico e il sociologico: a far da contraltare alla città dei civili, non lontano c’è una specie di ghetto in cui alcuni mutanti tristemente gestiscono la loro mutazione, lenta o veloce che sia, prima di diventare animali e abbandonare definitivamente la propria natura umana.
Un’esistenza mesta e triste la loro, votata all’alcool, alla solitudine e al vagabondaggio, similitudine delle grandi metropoli a livello mondiale che conoscono un’area per ricchi, una per i ceti medi e un’altra per i poverissimi e i dimenticati della società.
Una critica certamente non celata alla società umana da parte del regista, verso la non inclusione di persone diverse, e la differenza tra la “società civile” in cui si esclude o si vorrebbe escludere chi è diverso, e quella naturale in cui tutti convivono dello stesso habitat ed in pace nel medesimo ecosistema, con ovvio le proprie differenze, ma senza prevaricare sull’altro in modo tale da cacciarlo dal suo ambiente.
Emile: Un ragazzo diviso tra natura umana e natura animale
Émile si può dire che sia il’esempio più calzante che vive tra le due specie: da una parte ha le proprie abitudini umane, ha l’aspetto e le ambizioni di un normale ragazzo della sua età, ma dall’altra conosce sia all’esterno, che al suo interno, un cambiamento che lo porta sempre di più a tramutarsi in un canide come la madre, e di fatto ne acquisisce sia alcuni tratti degni di nota come una forza sovraumana, sia magari alcune abitudini più discutibili, come leccare la mano di una ragazza che gli piace per prendere il cibo, Nina (Billie Blain), e che per lui prova un altrettanto sfacciato interesse.
Infatti essendo un ragazzo con le proprie pulsioni e una volontà di conseguenza che lo porterebbe a voler esplorare anche la propria natura sessuale, e con questa particolare ragazza intreccerà un rapporto di amicizia/amore, uno snodo fondamentale tra il suo essere umano e il suo divenire presto una bestia, in cui comunque certi tipi di pulsazioni ed istinti rimangono sostanzialmente gli stessi, seppur spesso mediati da una più umana razionalità.
Emblematici sono i rapporti di differente percezione tra umano e bestiale e la percezione sentimentale di un medesimo evento: un esempio calzante da questo punto di vista sul modo diverso di intendere l’altro, lo possiamo trovare quando Émile e Nina, facendo una prova sui propri ululati a distanza, percepirà una sostanziale differenza tra di loro, e si porrà lui stesso una domanda non banale: un uomo e un animale sentano la natura dell’altro in ugual maniera?
Di fatto un uomo può percepire l’ululato di un lupo a breve distanza, ma da lontano non ne avvertirà minimamente alcunché, il lupo al contrario sentirà l’urlo di un uomo anche a distanza siderale da essa, segno di come l’animale abbia comunque con la natura un contatto più diretto, e che sotto molti punti di vista l’uomo nell’evolversi abbia perso questo esclusivo e più diretto contatto con il mondo circostante, rimanendo di fatto legato solo al proprio mondo e alla propria drammatica solitudine.
François: Un grande amore non legabile ad una catena
François di fatto è un uomo determinato a non perdere la speranza di recuperare il grande amore per la moglie, per la quale oramai divenuta bestia, prova ambivalenti rapporti: da una parte vorrebbe disperatamente rivederla e a mo’ di come Cocciante fece per Margherita in una delle sue più struggenti canzoni; tappezza infatti tutta la foresta circostante di vestiti suoi e del figlio per spingerla a tornare, richiamandola ad un istinto umano, che sebbene definitivamente mutato dalla forma ferina ormai acquisita da Lana, spera che di fatto sia in una qualche maniera rimasto qualcosa di umano in lei, e che l’amore la faccia tornare dove un tempo viveva felice con loro.
Dall’altra però si scontra con la dura realtà, come reagirebbe a vederla nelle sue nuove sembianze? Un sentimento che proverà anche per il figlio in viaggio verso la medesima condizione, per il quale nutre un normale e smisurato affetto composto da una parte di protezione di esso ad ogni costo, dall’altra però con la comprensione che non è legandolo ad una catena che potrà salvarlo dalla natura animale che piano piano in quei mesi lo stanno allontando da lui, dovrà quindi di fatto lottare con se stesso per scegliere quale sia la strada migliore per il futuro del figlio.
Perchè, e su questo non si sfugge, è un film drammaticamente improntato sull’amore, sia coniugale, che filiale, ben rappresentato da una bellissima canzone francese romantica composta dal compositore torinese Andrea Lazlo De Simone per il film, il quale su diversi livelli riprenderà poi la medesima traccia musicale, e in base al momento della trama magistralmente l’adatterà, musicalmente parlando, per far si che anche la variazione emozionale cambi in riferimento alla scena che sullo schermo si sta effettivamente sviluppando sotto i nostri occhi.
Un grande amore filiale che nel corso della narrazione cambierà diversi registri, anche musicali per l’appunto, prima di trovare la sua risposta definitiva nell’emozionante finale del film.
Perché si può smettere di amare una persona solo per il cambiamento esterno che avviene in lei? Non c’è qualcosa di più? Una visione quindi non superficiale dell’amore, il quale non può rimanere legato alla pura forma esteriore, ma che trascendendo essa, diventa qualcosa che la sovrasta, per divenire qualcosa di decisamente superiore e alto rispetto ai canonici livelli a cui di solito si relega ciò che Dante affermasse movesse il sole e le altre stelle.
L’arte, la musica in questo caso, trascende queste distanze spazio-temporali e trasforma l’amore in qualcosa di ancora più forte e potente, un sentimento struggente che può passare dall’amore perduto di François per la moglie Lana, al suo disperato tentativo di trovare per il figlio la giusta soluzione affinché questo abbia un’esistenza il più felice possibile.
Fix: Il dramma e la paura di essere diversi
Émile nel suo viaggio verso la scoperta di se stesso, scoprirà sia nel mondo animale, che nel mondo umano le diverse sfumature riguardanti il sentimento dell’amicizia, e su quanto anche nella stessa sorte e nella medesima diversità, si incontrino differenti livelli di sofferenza.
Fix (Tom Mercier) è un ragazzo dell’età di Émile, ma ha subito prima di lui questa metamorfosi in bestia, in un’aquila per la precisione, il problema è che se il giovane Marindaze può gestire quella mutazione con gli umani con una relativa calma facendoli passare alcuni suoi comportamenti strani per un umano come semplicemente bizzarri. II povero Fix invece, la mutazione l’ha avuta in pieno viso, avendo un becco al posto del naso impossibile da nascondere, e quindi presto ha dovuto scappare dal mondo umano, per la vergogna del suo aspetto e per ciò che comportava a livello sociale la sua nuova condizione animale.
Nel discorso con Fix, possiamo trovare anche parecchie e pesanti allusioni e critiche di Cailly verso la chirurgia estetica moderna, la quale credendosi onnipotente a volte non solo non migliora le condizioni di chi ha dovuto sottoporsi a quell’operazione correttiva, ma addirittura peggiora le condizioni del paziente, come capitato proprio a Fix, il quale completamente impreparato alla sua natura animale ha dovuto fin da subito accettare quella scomoda posizione di essere umano in un corpo animale.
Ne nascerà tra i due ragazzi, dopo un difficile e complicato inizio, una tenera e solidale amicizia fraterna, dando dimostrazione da entrambe le parti di una grande intelligenza emotiva. Infatti entrambi si aiuteranno nei rispettivi ambiti, dimostrando come l’aiuto e la richiesta di esso possa essere una virtù e un ausilio fondamentale dove si hanno delle mancanze, e nient’affatto risulti invece un limite o una debolezza di cui vergognarsi.
La paura è un altro argomento molto importante del film; addirittura in uno snodo del film viene soprannominato il male di quest’epoca, perché di fatto ormai si ha sempre meno fiducia negli altri. e in epoca COVID verrebbe da dire, tutto si è drammaticamente amplificato in una collettiva solitudine e l’amicizia tra questi due ragazzi, seppur in condizioni eccezionali, ci dà quindi un enorme esempio su come dovrebbe sempre essere, ed invece spesso per mancanza di fiducia e di empatia verso l’altro, in realtà non è.
Julia: L’empatia verso chi soffre
Non ultimo personaggio indubbiamente importante è il ruolo di Julia,In un clima di ostilità verso il prossimo se diverso dalla specie umana, ci sarà questa sensibile poliziotta, l’unica dotata della sensibilità necessaria per poter far si di rispettare gli umani, ma non per questo denigrare quelle creature che umane lo erano un tempo e che ora appartengono al mondo animale.
Un’eccezione rispetto al mondo circostante, infatti solo lei nel mondo delle forze dell’ordine sembra comprendere la necessità di un dialogo tra le parti, cercando dove possibile una soluzione pacifica tra i due mondi e non uno scontro a tutti i costi verso chi, non per colpa propria, è divenuto estraneo e diverso alla razza umana.
Perché viene da chiedersi, se queste creature siano in realtà dei mostri in tutto e per tutto, o se forse anche loro sono vittime come gli umani di un folle mondo che non rispetta nessuno, animale o umano che sia.
The Animal Kingdom: La regia e le conclusioni
Nel suo complesso The Animal Kingdom, è un film davvero ben realizzato, in cui tutti gli elementi collaborano tra di loro per creare un film che in poco più di due ore riesce a tenere incollato lo spettatore alla poltrona, tra effetti speciali di grande impatto visivo, una colonna sonora estremamente emozionante e dialoghi intrisi di profondità e amore verso il prossimo.
Senza dimenticare un cast ben amalgamato, tra attori più esperti e molto bravi come Romain Duris e Adele Exchapoupolos, e giovanissimi attori a partire dal protagonista Paul Kircher, estremamente efficace e bravo nel rappresentare l’umanità e il mutamento di un ragazzo sia verso la sua forma adulta, che verso la forma animale a cui suo malgrado è destinato presto a tramutarsi.
Un film che si nutre di estremi: silenzi e rumori assordanti, dialoghi profondi e altri decisamente più immediati, natura selvaggia e natura umana, umani e mutanti, tutti inseriti all’interno di un film in cui funziona tutto su diversi livelli.
Primi piani molto efficaci, giochi di ombre e luci ben alternati tra loro e una splendida fotografia, tutti elementi che messi insieme rivelano senza preclusioni tutta la bestialità e l’umanità che c’è nell’essere umano, senza risparmiare riflessioni sul pesante fardello dell’evoluzione.
Perché certamente la prgressione sotto molti punti di vista, ha permesso all’uomo di distinguersi sotto molti punti di vista da altre specie animali, ma che forse sull’altra faccia della medaglia ha fatto perdere alla creatura umana la spontaneità e la bellezza di vivere con l’altro diverso da noi in pace, condannandoci sempre di più invece alla solitudine e all’astio verso colui che non appartiene al nostro clan, e forse da questo punto di vista The Animal Kingdom ci insegna a rivedere le cose in un’altra maniera, più animalesca e primativa forse, ma non per questo più sbagliata e lontana da ciò che in realtà dovrebbe sempre essere.