Com’era verde la mia valle (How Green Was My Valley)
Regia: John Ford; soggetto: dal romanzo omonimo (1939) di Richard Llewellyn; sceneggiatura: Philip Dunne; fotografia (B/N): Arthur C. Miller; scenografia: Richard Day, Nathan Juran e Thomas Little; costumi: Gwen Wakeling; colonna sonora: Alfred Newman; montaggio: James B. Clark; interpreti: Walter Pidgeon (Gruffydd), Maureen O’Hara (Angharad Morgan), Donald Crisp (signor Morgan), Anna Lee (Bronwyn Morgan), John Loder (Ianto Morgan), Sara Allgood (Beth Morgan), Barry Fitzgerald (Cyfartha), Patric Knowles (Ivor Morgan), Morton Lowry (signor Jonas), Arthur Shields (signor Parry), Frederick Worlock (dott. Richards), Mae Marsh (la moglie del minatore), Richard Fraser (Davy Morgan), Roddy McDowall (Huw Morgan); produzione: Darryl F. Zanuck per 20th Century Fox; origine: USA – 1941; durata: 118′.
Trama
Galles, primi del ‘900. Lasciando la casa dove è nato, il sessantenne Huw Morgan racconta la storia della sua famiglia, composta dal severo padre (Crisp, premiato con l’Oscar), dalla madre Beth, dalla sorella Angharad (O’Hara) e dai quattro fratelli. Una vita vissuta all’interno di una verdissima valle e di una miniera di carbone intorno alla quale hanno ruotato i destini dei vecchi e dei giovani.
L’arrivo in paese del pastore Gruffydd (Pidgeon), che celebra il matrimonio di Ivor Morgan con la giovane Bronwen, provoca scompiglio perchè Angharad si innamora di lui. Intanto i minatori entrano in sciopero (resisteranno ventidue settimane); partecipano alla serrata anche i giovani Morgan, nonostante l’opposizione del padre. Di ritorno da una riunione notturna del sindacato, organizzata per discutere dello sciopero, la madre e il piccolo Huw cadono in un crepaccio e il bambino si ferisce in modo grave, perdendo l’uso delle gambe.
Il padre costringe Angharad, dopo che il pastore ha respinto il suo amore perchè è troppo povero, a sposare un altro corteggiatore, figlio del proprietario della miniera. Un matrimonio senza futuro. Angharad resta presto sola e in paese iniziano a serpeggiare voci e calunnie sui rapporti della ragazza con il pastore. Un crollo all’interno di una galleria della miniera seppellisce alcuni lavoratori, fra i quali si trova il vecchio Morgan. Huw, tornato a camminare come per miracolo, riesce a raggiungerlo per assisterlo mentre muore. Ora potrà lasciare la verde valle della sua giovinezza.
Un regista di western
John Ford amava definirsi in questo modo. Vuoi per l’affetto che provava per il genere, vuoi per i risultati al botteghino, spesso clamorosi ma quest’affermazione non è del tutto vera. Stiamo parlando di un gigante del cinema mondiale, attivo nel mondo della celluloide dai tempi del muto e capace di vincere per quattro volte (record tuttora imbattuto) il premio Oscar per la migliore regia tra il 1936 e il 1953. Non si è mai definito un autore, anche se certamente lo era. Su di lui sono stati spesi elogi da critici (e cineasti) del calibro di François Truffaut, Jean-Luc Godard e lo stesso Orson Welles lo considerava “il più grande regista di tutti i tempi”.
Nessuno dei film per i quali è stato premiato è un western: Il traditore (1936), Furore (1940), Com’era verde la mia valle (1941) sono capolavori drammatici mentre Un uomo tranquillo (1953) è una divertente commedia ambientata nella natìa Irlanda, con tanto di omeriche scazzottate (memorabile lo scontro fra John Wayne e Victor McLaglen).
Dal punto di vista tecnico il suo stile resta inimitabile: i primi piani degli attori, ripresi in due inquadrature successive da angolazioni diverse conferiscono un’intensità drammatica inconfondibile ai personaggi dei suoi film, così come i totali maestosi della Monument Valley, paesaggio simbolico e ideale di molti suoi lavori. Altro tratto caratteristico del cinema di Ford è l’attenzione ai dettagli, che diventano veri e propri stilemi; egli stesso dichiarava tra il serio e il faceto :“Se inquadro un chiodo su una parete, prima o poi devo appenderci un cappello.”
I suoi protagonisti, sono uomini rudi, scontrosi ma leali, spesso solitari oppure immersi in un contesto familiare patriarcale nel quale i contrasti sono inevitabili: è l’identikit di Donald Crisp/Mr. Morgan, capo-famiglia alla cui autorità i figli si ribellano per far valere i propri diritti sindacali, ma anche quello dell’ Henry Fonda/Tom Joad di Furore.
In questi due film Ford si pone accanto agli ultimi, ai diseredati Joad costretti a fuggire in cerca di fortuna e ai minatori gallesi, anch’essi sfruttati dai proprietari della miniera e obbligati a rischiare la vita per una misera paga. Da grande sostenitore del New Deal del presidente Roosevelt, Ford crede in idee progressiste e durante il maccartismo è tra i difensori di Joseph L Mankiewicz, presidente del sindacato dei registi sospettato di comunismo, senza tuttavia guastarsi con i falchi repubblicani di Hollywood come il suo buon amico John Wayne.
Com’era verde la mia valle, seppure meno riuscito del film precedente potrebbe rappresentare la sua definitiva consacrazione, ma c’è da fare i conti con la concorrenza e soprattutto con Quarto Potere.
Il racconto del redattore
Già, Quarto potere. Se c’è un bersaglio di critiche e boicottaggi in quel 1942 è proprio l’opera prima del ventisettenne Orson Welles: la storia di un magnate dell’editoria, che tiene in pugno uomini politici e produttori cinematografici è troppo simile a quella di William Randolph Hearst. Nonostante abbiano fatto di tutto perchè il film non uscisse, arrivando a proporre di comprarlo ad un prezzo altissimo per poi distruggerlo (l’offerta dell’amico personale di Hearst Louis B. Mayer viene rispedita al mittente) Quarto Potere vede la luce e conquista nove candidature, delle quali quattro sono per il suo giovane demiurgo, da solo o in coppia. La corsa finirà con l’Oscar al copione, scritto da Welles e Herman Mankiewicz (per conoscere i retroscena di questo premio diviso a metà consigliamo la visione di Mank di David Fincher, uscito pochi mesi fa su Netflix).
Tra i delusi dell’annata Welles è in buona compagnia: l’esordiente John Huston ottiene tre nomination, un grande successo di pubblico e nessun Oscar per il capolavoro noir Il mistero del falco, mentre il veterano Alfred Hitchcock mastica amaro col suo terzo film americano: Il sospetto regala solo la statuetta di miglior attrice a Joan Fontaine, mortificata al cospetto della sorella Olivia de Havilland, sconfitta con La Porta d’oro. Nove nomination e nessun Oscar anche per Piccole Volpi di un futuro beniamino dell’Academy, William Wyler, che pure nel cast può vantare una perfida Bette Davis da manuale. Migliore la sorte di un altro grande maestro del cinema americano, spesso trascurato dall’Academy, Howard Hawks, regista de Il sergente York che vince per il migliore attore protagonista Gary Cooper e per il montaggio. Sgombrato il campo dai validi altri concorrenti, la scena è tutta per il miglior film dell’anno Com’era verde la mia valle, premiato anche per la regia di John Ford, l’attore non protagonista Donald Crisp, la scenografia e la fotografia.
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