Speer goes to Hollywood, questo il titolo di un documentario, presentato il mese scorso alla Berlinale, diretto dalla documentarista israeliana di origine belga Vanessa Lapa. Per quattro anni e mezzo la regista ha selezionato 40 ore di intervista di Andrew Birkin, allora un giovane sceneggiatore, fratello, anche se non c’entra nulla, di Jean Birkin, con Albert Speer. Albert Speer non era un SS, ma nemmeno era uno qualsiasi; era l’architetto ufficiale del nazismo, organizzava le scenografie per le occasioni ufficiali di Hitler, costruì la cancelleria secondo i gusti del dittatore e progettò una nuova Berlino rutilante di edifici nazisti, che poi non si fece perché la Germania perse la guerra. Dal 1941 alla fine della guerra, diresse il Ministero degli Armamenti e Munizioni, che contava sul lavoro di 14 milioni di veri e propri schiavi, provenienti dai campi di concentramento. A Norimberga con Speer furono indulgenti: solo 20 anni di detenzione, che trascorse leggendo e scrivendo le proprie memorie nelle quali assicurava di non sapere nulla dei campi di sterminio, di ignorare la soluzione finale, ecc. ecc. insomma, il classico “nazista buono”.
Siccome all’inizio degli anni ’70 le memorie di Speer avevano già venduto più di un milione di copie, la Paramount pensò bene di investire e dette incarico a un giovane sceneggiatore di preparare un film tratto dalle memorie dell’architetto di Hitler. Birkin andò a Hidelberg, nella villa di Speer, e registrò 40 ore di intervista. Poi non se ne fece di nulla, ma Birkin, che in seguito è diventato noto per aver scritto il copione de Il nome della rosa, prima che si degradassero completamente, scaricò in digitale le immagini della vecchia intervista. Su questa ha lavorato Vanessa Lapa.
Speer parla senza inibizioni, racconta di quando, nel 1931 conobbe Hitler “in un momento senza speranze per la Germania”, l’anno dopo si affiliò al partito, poi la rapida ascesa ai vertici del partito nazista. “Ho cominciato a disegnare le scenografie dei meeting e due anni dopo ero amico di Hitler” dice Speer nell’intervista. “Era un gran falsificatore” dice di lui Lapa in Speer goes to Hollywood “Durante il processo di Norimberga si difese asserendo di non sapere nulla dei campi di concentramento e che, addirittura, cercò di attentare alla vita di Hitler”. Incredibilmente i giudici gli credettero, anche se esistono testimonianze della sua visita ad Auschwitz nel 1943 e fu dimostrato che l’attentato era solo frutto della sua fantasia. “Dette la colpa dei morti sui treni a Fritz Sauckel, direttore del programma del lavoro dei deportati, negò di essere stato presente al discorso di Himmler alla Conferenza di Posen, nell’ottobre 1943, quando fu spiegato dettagliatamente lo sterminio sistematico degli ebrei” continua Lapa.
Se il film non si fece fu grazie a Carol Reed,
che fu scelto come regista e che rifiutò: “Reed è l’unico che si comportò da adulto e vide chiaramente che quello era un modo per ripulire l’immagine di Speer” dice ancora la regista. “In realtà Speer non era un granché nemmeno come architetto. E non esistono i nazisti buoni, questo è una cosa che oggi, col ritorno dell’estrema destra, dovremmo tenere ben presente”. La Paramount aveva già contattato Mark Burns per interpretare Speer e Donald Pleasance avrebbe dovuto essere Hitler. “Birkin mi disse di ricordare che avevano fatto alcune prove con Pleasance. È diventata la mia ossessione; le ho cercate per un anno e mezzo e le ho trovate nell’archivio del British Film Institute”. E anche questo è nel documentario.
Sarei curiosa di sapere come avrebbero rappresentato Hitler in un film del genere. Al cinema non è raro che venga messo in ridicolo. Effettivamente si prestava, con quei baffi buffi, il riporto di capelli che parte dall’estrema destra del capo, la figura piccola e sgraziata. Mettere in ridicolo chi fa paura è alla base di ogni buona satira; peccato che l’unico a ridere di Hitler quando faceva paura al mondo intero sia stato Charlie Chaplin, tutte le altre risate sono state postume.
https://www.youtube.com/watch?v=CBxXo7qnBYc
La cosa più incredibile di questa storia, che bene viene raccontata in Speer goes to Hollywood,
non è che la Paramount abbia avuto un’idea simile, per i soldi si fa questo e altro, ma la porosità della memoria. A parte l’ossimoro del nazista buono cui accennava Vanessa Lapa, mi è sempre sembrato incredibile che possano esistere i negazionisti, quando ci sono chilometri di fotogrammi, girati proprio dai nazisti, sui campi di sterminio, documentati con una precisione maniacale. Le leggi razziali italiane sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 5 settembre 1938, mentre quelle tedesche sono state promulgate ufficialmente il 15 settembre 1935. Poi, cosa li rastrellavano a fare gli ebrei? Per portarli al cinema?
The producers è del 1967. Siamo sicuri che Mel Brooks scherzasse?