Smile 2, scritto e diretto da Parker Finn (già cimentatosi con Smile nel 2022, suo film d’esordio), è un prodotto che dimostra le incredibili potenzialità di un regista che gioca con la macchina da presa orchestrando magistralmente profilmico (tutto ciò che viene messo in scena dalla macchina da presa) e filmico (le modalità attraverso le quali vengono rappresentati gli elementi profilmici) proponendo un’opera totalmente al passo con i tempi e tranquillamente in grado di ritagliarsi un posto nel panorama horror contemporaneo. Al cinema dal 17 ottobre, e distribuita da Eagle Pictures, scopriamo insieme come Smile 2 centra saggiamente l’obiettivo.
La sinossi di Smile 2
Sul punto di iniziare un nuovo tour mondiale, la star internazionale del pop Skye Riley (Naomi Scott) inizia a vivere esperienze sempre più terrificanti e incomprensibili. Schiacciata dalle crescenti angosce e dalle pressioni della notorietà, Skye è costretta a confrontarsi con il suo passato oscuro per riprendere in mano la sua vita prima che vada in pezzi.
Il film inizia però in medias res con la scritta “6 giorni dopo“. Il poliziotto Joel (Kyle Gallner), che in conclusione del primo film fu infettato dalla creatura maligna, è in preda al panico e pronto a fare qualsiasi cosa per passare la maledizione che l’ha colto. Con quest’incipit si svolgerà un piano sequenza semplicemente incredibile in cui la macchina da presa resterà attaccata al personaggio. Da lì a breve il sorriso di Rose (Sosie Bacon) sarà l’ultima cosa che vedrà.
Una cupa visione del presente
C’è un film a cui, guardando la saga di Smile, non si può non pensare: Ring (1998) di Hideo Nakata. Ispirato al romanzo di Koji Suzuki, quest’opera nipponica di fondamentale importanza per il j-horror fu una delle prime ad essere incentrata sulle cosiddette “catene di Sant’Antonio“. L’oggetto maledetto e portatore di sventure era, non a caso, una videocassetta. Come molti dei film giapponesi con sottotesto “sociale” o culturale di quell’epoca, infatti, Ring approfittava dell’espediente narrativo della videocassetta per ragionare sulla violenta transizione digitale che, di lì a poco, avrebbe totalmente visto i DVD soppiantare i VHS e dunque drasticamente modificato le modalità di fruizione dei prodotti audiovisivi.
Seguendo un percorso più o meno analogo, il demone di Smile 2 ricorda il bottone di Drag me to hell (che, se regalato a qualcuno entro tre giorni, trasferisce la maledizione), la mano imbalsamata di Talk to me (chi la stringe e pronuncia le parole che ispirano il titolo del film ha l’occasione di comunicare con gli spiriti di persone decedute) o lo specchio di Oculus – Il riflesso del male (2014), tutti oggetti che fanno da tramite tra la dimensione corporea e quella extracorporea.
Il demone di Smile però, a differenza degli oggetti sopra citati, non è tangibile, è invisibile e agisce all’interno della testa del suo ospite. Non una trovata chissà quanto originale quella di Parker Finn ma assolutamente in linea con i tempi e in grado di realizzare un ritratto interessante di una società frammentata, sopratutto psicologicamente. Il demone si prende gioco delle sue vittime come il regista fa con lo spettatore che, grazie alla costruzione di numerosi colpi di scena, si sofferma su come quante difficoltà invisibili all’occhio umano, e più in particolare ai social media, motori dell’incredibile successo della protagonista Skye Riley, siano, in fin dei conti, una vera e propria trappola.
Fusione di arte, tecnica e marketing
Un plauso va fatto a tutta la produzione che si adopera nei confronti di un pubblico giovane, e sicuramente mainstream, senza il timore di sfornare un prodotto visivamente unico e dunque meno appetibile proprio per il target a cui si riferisce. Se dopo aver concluso la visione del primo Smile l’impressione generale era quella di aver assistito al classico horror americano, dimenticabile e senza troppe pretese, con questo sequel le cose cambiano.
A discolpa del film d’esordio di Parker Finn è necessario puntualizzare che Smile, evidente metafora della malattia mentale, era stato originariamente pianificato nel 2022 come un progetto diretto in streaming per Paramount Plus. Il pubblico di prova però rispose così fortemente che la Paramount optò per un’ampia distribuzione e, da quel momento, prese vita la saga.
Fatte queste premesse è innegabile come Smile 2 bruci sul posto il suo predecessore non solo grazie ad una regia di gran lunga più curata grazie a scene in piano sequenza molto complesse da realizzare ed evidente caratteristica di un modo di fare cinema più attento e ricercato, ma anche per la sceneggiatura che, come accennato, si prende i tempi giusti per svilupparsi e inquietare lo spettatore con jumpscare congegnati al millisecondo. La tensione sale e scende di continuo e nonostante alcune fasi del film risultino più telefonate non mancheranno spiazzanti plot twist.
Tra le note positive da menzionare di questo prodotto oltre all’eccellente commistione di arte e tecnica c’è quella della campagna di marketing che, dopo il trailer finale, ha portato alcune comparse a spuntare in luoghi pubblici per sfoggiare il minaccioso sorriso divenuto simbolo del film. Paramount Pictures aveva inoltre pubblicato i brani della star protagonista prima dell’uscita del film, creando anche un account apposito sui social media per la cantante.
Come ciliegina sulla torta furono poi avvistati anche attori sorridenti e inquietanti con il sorriso di Smile nascosti tra la folla in eventi di grande richiamo come delle partite di baseball, ripetendo le tattiche pubblicitarie spettrali utilizzate per il film originale del 2022. Impossibile non pensare a quei geniali escamotage mediatici entrati nella storia già a partire dai primi anni ‘2000 con The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair (1999) o Cloverfield (2008), solo per citarne alcuni. Smile 2 fa centro anche su questo versante dimostrandoci come nel 2024 sia effettivamente possibile creare hype ingegnosamente attraverso i social.
Qualche ultima riflessione
In ultima istanza mi sembra doveroso esprimere un giudizio più che positivo sull’incredibile performance di Naomi Scott che, di pari passo con il terrore vissuto, racchiude nel suo sguardo e il suo volto tutta la follia a cui andrà incontro. Anche la colonna sonora da se stessa interpretata si inserisce perfettamente tra gli ingranaggi del film rimarcando il tema della salute mentale che non passa inosservato. Proprio in un passo del brano New Brain la protagonista reciterà la battuta “Doctor i need a new brain“.
Una nota un po’ meno positiva va al mefistofelico “pupazzone” portatore della maledizione. Se siano stati utilizzati soltanto elementi pratici come nel primo film, in questo momento, non ci è dato saperlo ma è certo che la resa finale del mostro nella scena conclusiva lasci un po’ a desiderare spezzando la tensione creata fino a quel momento. Insomma, assolutamente da rivedere in vista di un terzo film della saga da cui mi aspetterei notevoli passi in avanti su questo versante e una degna conclusione del franchise.
In fin dei conti Smile 2 è consigliato sia agli amanti degli horror più ricercati sia a coloro che hanno intenzione di lasciarsi andare ad un paio d’ore spensierate e colme di adrenalina. Al passo con i tempi e fiore all’occhiello di una saga che potrebbe avere ancora qualcosa da dire, vi lascio con la speranza che, come per gli ospiti del demone, il suo sorriso non sarà l’ultima cosa che vedrete.