Simone Biles Rising è la docuserie dedicata alla campionessa statunitense in diverse discipline della ginnastica artistica, Simone Biles, uscita da qualche giorno su Netflix . Un documentario sportivo che è risultato fin dai primi giorni tra le serie Tv più viste e apprezzate da parte degli utenti della celeberrima piattaforma streaming americana, nonostante siano usciti solamente due degli episodi che comporranno l’intera serie. Le restanti puntate verranno poi completate in autunno ad olimpiadi finite, perché non si tratta solo di un documentario che racconta una storia già avvenuta, ma di una che è attualmente in corso d’opera e che, in questi ultimi giorni di olimpiade, si concluderà.
La serie parla del percorso atletico ed umano di una delle più grandi ginnaste della storia moderna: Simone Biles, atleta non solo dall’estremo talento artistico nelle discipline in cui si cimenta, ma anche coraggiosa ragazza divenuta celebre per motivi extra-sportivi, avendo denunciato da una parte abusi sessuali di un medico della federazione, dall’altro l’aver aperto un dibattitto molto importante riguardante l’annoso problema della salute mentale e della gestione di essa dentro e fuori l’ambito agonistico.
Una depressione di cui è stata vittima la giovanissima campionessa americana negli anni che l’hanno portata alle olimpiadi di Tokio 2020 come superfavorita, ma che invece, con il suo clamoroso ritiro dalle competizioni in corso d’opera, ha difatti aperto il caso che ha portato, anche grazie all’attiva e fondamentale collaborazione della Biles, alla denuncia e alla successiva condanna del medico della nazionale statunitense Larry Nassar a 176 anni di reclusione, il quale dal 1996 fino al 2017, approfittando della sua posizione, abusò sessualmente di almeno 256 atlete.
A rendere ancor più drammatica la vicenda, la tacita complicità della federazione ginnastica statunitense, che difatti coprì, o quantomeno colpevolmente sottovalutò, la gravità di quello che si stava perpetrando sotto i suoi occhi a danni di giovanissime atlete della propria nazionale.
Una cosa purtroppo non nuova nell’ambito sportivo. Crimini di tale entità purtroppo non sono rari nel panorama della ginnastica artistica, da anni infatti si discute il modo per far si che non accadano più episodi del genere, ma anche in altri sport come la pallavolo, lo sci e la scherma, ci sono stati gravi casi similari a quello che ha portato alla denuncia e alla condanna di Nassar.
Un problema ovviamente non solo americano, che spesso colpisce o ha colpito in passato, atleti o atlete minorenni anche del vecchio continente. Casi molto gravi, come per esempio quello denunciato nel recentissimo film Persona non grata, in cui si parla di eventi simili ma nel mondo dello sci, ed ispirati alla vita dell’ex sciatrice della nazionale austriaca Nicola Spieß Werdenigg, la quale ancora minorenne negli anni settanta, fu anch’essa vittima di atroci abusi sessuali da parte di un suo compagno di squadra, anche in quel caso con la silenziosa complicità della federazione, la quale per decenni coprì queste frequenti e a dir poco discutibili condotte, da parte di alcuni suoi tesserati.
Simone Biles Rising: la trama dei primi due episodi
Simone Biles Rising non è quindi (fin da questi due episodi) un semplice documentario in cui si parla di una grande campionessa che retroattivamente parla delle vittorie e dei dolori, delle cadute e delle rinascite che un campione sportivo può avere nel corso della propria, più o meno lunga, carriera sportiva. Anche perché se le vittorie di Simone Biles sono state estremamente e giustamente elogiate, non meno le cadute, non solamente quelle sportive, sono state oggetto di altrettanta e morbosa attenzione da parte di media e pubblico.
Perchè le cadute di una giovane campionessa, che il mondo non è abituato a veder perdere, vedendola infatti l’opinione pubblica come un essere ai limiti del divino e difatti non soggetto alle leggi della fallibilità umana, e quando succede ciò fanno un rumore assordante, e anche se in carriera la Biles è stata poche volte abituata a perdere, a volte persino a lei (o ad altri campioni in condizioni simili) è toccato assaggiare l’amaro calice della sconfitta.
Una bellissima canzone di Gianni Morandi a metà degli anni ’80, accostandosi anche alla metafora sportiva della campanella della boxe, metteva su una bilancia il valore importantissimo di un traguardo da raggiungere e la vita al di fuori di esso, che viene inevitabilmente influenzato dal successo o no, e che può condizionare l’andamento di un’esistenza intera che continuerà anche dopo di essa:
Uno su mille ce la fa
Ma come è dura la salita
In gioco c’è la vita”
Perchè è la vita personale e privata di Simone Biles ad un certo punto ad entrare in gioco, perché quando cade una dea dello sport difficilmente è il silenzio ad accompagnare la sua inaspettata “rovina” sportiva.
Infatti a Tokio 2020, la sua ascesa sportiva si ferma e prende una piega inaspettata, per tutti e per lei stessa. In piena emergenza COVID ed in solitudine completa durante gli allenamenti in quei mesi vicini al grande evento da non fallire, e per di più privata dagli affetti più cari al suo fianco, la Biles ha, come tantissime altre sue colleghe e colleghi olimpionici, sofferto psicologicamente moltissimo questo distaccamento forzato dal mondo circostante.
Lei specialmente evidentemente ha subito questa pressione e, durante una sua esibizione del volteggio, crolla a livello nervoso e clamorosamente si ritira. A quel tempo ricordiamolo è un’atleta giovanissima, ma che ha vinto già tutti i titoli possibili nella disciplina artistica in cui partecipa: nella precedente olimpiade a Rio 2016, a soli 19 anni la Biles aveva collezionato 4 medaglie d’oro e un bronzo, tra esercizi a corpo libero, volteggio e trave.
E se volessimo sottolineare l’importanza di questa atleta a livello mondiale (anche per chi non la conoscesse), potremmo ricordare che ci sono ben cinque esercizi a suo nome, quattro dei quali non sono stati più replicati da nessun’altra ginnasta visto la difficoltà immane, nel dettaglio due esercizi al corpo libero, uno alla trave e due al volteggio.
Questo inarrivabile livello raggiunto dall’atleta americana, ha fatto si di rendere praticamente nulla la concorrenza nel corso degli anni per la ginnasta statunitense; in tutte le competizioni, si gareggiava praticamente dal secondo posto in giù, tanto dominante da addirittura far cambiare le regole della ginnastica di quegli anni, perché c’erano appunto esercizi che sapeva di fatto compiere solo lei.
Con queste aspettative arriva la Biles a Tokio 2020 e, clamorosamente sotto il peso delle altissime aspettative che porta con sé, crolla sotto ogni punto di vista mentale e fisico.
Una crisi che avrebbe potuto spezzare chiunque, persino l’apparente e sicurissima campionessa americana, la quale però coraggiosamente scelse di ritirarsi dalla squadra USA e denunciò l’importanza della sanità mentale, facendo si che questo problema, di cui soffrono milioni di persone in tutto il mondo non solo a livello sportivo, venisse messo in risalto, divenendo sostenitrice d’eccezione per quanto riguarda le cure mentali.
Una denuncia non per diventare un’eroina o per avere un riconoscimento, ma per far si di diventare, in una questione tanto importante, una promotrice eccezionale di un problema che affligge ogni anno milioni di persone, aiutandoli con la sua testimonianza a non farli più sentire completamente soli.
Il ritiro a Tokio 2020, tornando a parlare dal punto di vista sportivo, avrebbe potuto facilmente dire la parola fine sulla carriera della Biles, comunque di suo già estremamente prestigiosa (di titoli americani, mondiali ed olimpici). Tenendo conto poi che le carriere delle ginnaste sono già di loro molto brevi (non solitamente destinate ad arrivare alla trentina), la Biles dovette decidere se lasciar perdere una carriera già comunque densa di successi, oppure coraggiosamente ricostruire con pazienza e con il giusto aiuto i cocci di una carriera in cui poteva dire ancora la sua.
Simone Biles Rising: Una rinascita fisica e mentale
Simone Biles Rising infatti parla di una rinascita, a cui hanno collaborato diversi fattori dopo il crollo in terra nipponica, tanti sono stati difatti gli elementi attorno che l’hanno aiutata soprattutto dal punto di vista extra-sportivo: un nuovo fidanzato, Jonathan Owens, conosciuto online, che gioca nella Nfl e il cui apporto è stato fondamentale per la difficile risalita che la Biles, negli anni successivi al crollo, ha dovuto affrontare. Il matrimonio con lui, la nuova casa, una famiglia amorevole sempre al suo fianco e le sue colleghe ginnaste estremamente solidali con lei hanno completato infine un quadro che ha permesso alla pluridecorata atleta americana di credere ancora nel sogno chiamato Parigi 2024 .
Una telecamera segue di fatto Simone Biles nei vari aspetti della sua vita: colleghe, allenatori, psicologi, fidanzato e famiglia, oltre ad immagini di repertorio che si frappongono tra un racconto e un altro, perché non è soltanto un documentario sportivo, si racconta di temi come la fragilità davanti al crudele mondo dei media, dei social e del pubblico, che da sua paladina che eri, se non rispetti le loro altissime aspettative, ti accusa superficialmente di essere codarda, debole e poco propensa al gioco di squadra.
Simone Biles Rising: Una nuova era per la ginnastica artistica moderna
In questo documentario racconta in maniera interessante, anche dell’evoluzione della ginnastica artistica in questi anni: dalla pochissima attenzione ai sentimenti degli atleti da parte di allenatori del passato provenienti dalla severa vecchia scuola europea, i quali preparavano freddamente i loro atleti solo fisicamente come automi vincenti, e se questi non rispettavano le aspettative venivano messi in un angolo e considerati a dir poco inutili.
La nuova scuola di pensiero degli ultimi anni, per fortuna, sembra aver cambiato questo pericoloso metodo, utile forse per vincere, ma non di certo sano per la salute mentale degli atleti sul lungo periodo.
Altro aspetto interessante sono anche le testimonianze di atlete del recente passato che di fatto hanno aperto la strada alla BIles: Betty Okino, Dominique Dawes e Gabbie Douglas, quest’ultima prima atleta di colore a vincere il volteggio a Londra 2012, la quale venne però criticata per motivazioni extra-sportive, essendo lei nera e per i suoi capelli ricci, perché si può dire che, soltanto negli ultimi 15 anni si sia andati oltre all’aspetto delle atlete bianche, con capelli lisci, con bellissime divise e decisamente bionde, le quali avevano dominato la disciplina della ginnastica artistica per decenni.
Le prime atlete di colore arrivate venivano severamente giudicate dalle giurie più per questi “presunti difetti estetici”, di cui senza colpa erano naturali portatrici, criticandole più per questo invece che lodarle per il loro indiscusso talento che le aveva condotte alla vittoria.
Perché Simon Biles e il suo mito nasce esattamente da questa lunga lotta, in questo campo come in tanti altri, di coraggiose atlete di colore che hanno sfidato pregiudizi superficiali per arrivare alle vette più alte dei loro rispettivi sport, ispirando la giovanissima Simone ad andare oltre i suoi limiti, a suon di record con ben 37 medaglie all’attivo prima di Parigi 2024, e riprendendo forma fisica e mentale arrivare pronta e più serena all’ultimo grande appuntamento della sua carriera sportiva.
Simone Biles Rising: Conclusioni sui primi due episodi
Simone Biles Rising è indubbiamente un documentario ben realizzato fin da questi primi due episodi, infatti riesce a ricostruire una carriera di una grande campionessa, partendo da elementi di repertorio, ma mettendo in scena un dialogo continuo tra Simone Biles stessa, la sua famiglia, il suo allenatore, colleghe ginnaste americane di ieri e di oggi, commentatori sportivi ed un’esperta psicologa che fa si da una parte di raccontare una’avvicentestoria sportiva ancora in itinere, mentre dall’altra mettere in risalto una vicenda umana complessa e controversa da cui poter tutti imparare qualcosa.
Partendo dagli abusi di Nassar, arrivando alla depressione che l’ha colpita giovanissima, anche per via di questo episodio, di cui la Biles è stata vittima (da minorenne), e che certamente le lascerà per sempre l’amaro in bocca dal punto di vista sportivo per qualche medaglia persa durante il percorso, ma che di certo la renderà a fine carriera una persona mentalmente più serena, e soprattutto consapevole che le proprie debolezze di ieri, possano essere utili per gli atleti di domani, andando ben al di là dei confini dello sport, perché dietro di esso c’è una vita intera da vivere con altrettanta fiducia e serenità..
Per seguire invece gli ultimi scampoli di carriera olimpica della Biles, e scoprire anche il suo dietro le quinte della sua personale olimpiade. Non resta che seguire gli ultimi giorni di questa discussissima olimpiade parigina e aspettare la fine del documentario quest’autunno, chissà cos’altro ci rivelerà la nuova Simone Biles post Parigi 2024…