Arancia Meccanica (A Clockwork Orange)
Regia: Stanley Kubrick; soggetto: dal romanzo omonimo di Anthony Burgess; sceneggiatura: Stanley Kubrick; fotografia (Technicolor): John Alcott; scenografia: John Barry; arredamento: Russell Hagg, Peter Shields; costumi: Milena Canonero; trucco e acconciatura: Fred Williamson, George Partleton, Barbara Daly; effetti speciali: Sandy Della Marie, Mark Freund; colonna sonora: Walter Carlos e AA. VV.; montaggio: Bill Butler (e Stanley Kubrick); interpreti: Malcolm McDowell (Alexander ‘Alex’ DeLarge), Patrick Magee (Frank Alexander, lo scrittore), Michael Bates (Capo delle guardie), Warren Clark (Dim), John Clive (attore teatrale), Adrienne Corri (sig.ra Alexander), Carl Duering (dr. Brodsky), Michael Gover (governatore della prigione), Miriam Karlin (Miss Weathers, la signora dei gatti), James Marcus (Georgie Boy), Aubrey Morris (P.R. Deltoid); produzione: Warner Bros/Hawk Films/Polaris Productions; origine: USA/Regno Unito; durata: 137′.
Trama
Inghilterra, futuro prossimo. Una gang di giovinastri terrorizza la gente. Il capo è Alex (tuta bianca, bombetta e eyeliner) si muove guidato dalla musica classica, Beethoven e Rossini, bastona e sfascia, stupra senza pietà e sfoga ogni tipo di fantasia violenta. Entra in una casa in un quartiere benestante, violenta una donna sotto gli occhi del marito che è un noto scrittore. I compagni lo abbandonano. Arrestato, trascorre due anni in carcere, poi accetta di sottoporsi al trattamento ‘Ludovico’, che dovrebbe disintossicarlo dalle sue fantasie perverse. Quest’ultimo consiste nella visione coatta, con gli occhi tenuti aperti a forza, di scene di inaudita violenza.
L’effetto è dirompente, Alex si trasforma in un agnellino spaurito, incapace di far del male, ma proprio per questa sua nuova indole diventa preda dei soprusi altrui, vittima dei suoi antichi compagni diventati poliziotti. Capita senza volerlo in casa dello scrittore che suscita in lui profondi sensi di colpa, inducendolo a suicidarsi. Si salva e ritrova dentro di sè la violenza perduta. L’unico modo per incanalarla è essere ammesso all’uso istituzionale della brutalità entrando a far parte delle forze dell’ordine, al servizio del governo autoritario che opprime il paese.
L’ultraviolenza di Kubrick
Stanley Kubrick torna, dopo tre anni da 2001: Odissea nello spazio (1968) a occuparsi di fantascienza, nel senso distopico del termine, adattando il romanzo Arancia a orologeria di Anthony Burgess. La storia di Alex (un convincente Malcolm McDowell),di giorno bravo ragazzo borghese e di notte criminale sociopatico e stupratore, in un mondo dominato dalla violenza e dalle frustrazioni sessuali è una anti-utopia sul nostro futuro prossimo. Al centro del film l’interrogativo sulla libertà di scelta, raccontato senza falsi moralismi.
Per il pubblico dell’epoca si tratta di un vero e proprio pugno nello stomaco e il film viene vietato ai minori. Le scene di violenza sono di una ferocia al limite della sopportabilità, eppure provocatoriamente commentate dalla musica classica di Beethoven, il ‘Ludovico Van’, idolo di Alex. Kubrick gioca abilmente al confine tra oscenità e libertà d’espressione, contaminando la cultura ‘alta’, rappresentata dall’arte moderna del bar dove la banda si riunisce, dalla casa dello scrittore, dalle arie di Rossini e Beethoven elaborate elettronicamente da Walter Carlos, alla cosiddetta cultura ‘bassa’, al linguaggio gergale e alla sistematica distruzione dell’illusione di realtà mediante l’uso di ralenti, accelerazioni e grandangoli che deformano le immagini sullo schermo.
Time e Newsweek dedicano la copertina ad Arancia meccanica facendo scalpore, ma al critico del New York Times Judith Christ, che osa definire la pellicola un capolavoro, vengono recapitate lettere di indignazione e perfino minacce. Agli Oscar il film di Kubrick riesce ad entrare nella cinquina dei candidati per l’opera migliore e il mercuriale regista in quella dei migliori registi, mentre altre due nomination vanno alla sceneggiatura e al montaggio.
Il racconto del redattore
La sera del 10 aprile 1972, al Dorothy Chandler Pavilion le quattro candidature evaporano. Arancia meccanica è mandato al macello e completamente ignorata è persino la colonna sonora di Carlos che scala le classifiche dei dischi più venduti in mezzo mondo. Il trionfatore dell’edizione è Il braccio violento della legge di William Friedkin che ottiene cinque premi per il film, la regia, la sceneggiatura, il montaggio e l’attore protagonista Gene Hackman. Poco importa che Friedkin – il cui film è notevole, c’è da dirlo – sul palco si schermisca: “Personalmente sono convinto che Stanley Kubrick sia il miglior regista dell’anno. A dire il vero non solo dell’anno, ma il migliore, punto”. La vendetta dell’Academy contro l’iconoclasta del perbenismo è completa.
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