Quante volte, facendo ricerche su un film che ti è piaciuto particolarmente, ti è capitato di scoprire che fosse ispirato ad una storia vera? Non è una novità che il cinema si rifaccia alla realtà, che prenda ispirazione da eventi realmente accaduti o personaggi realmente esistiti nella storia. Del resto l’arte è un’imitazione della realtà come la realtà lo è dell’arte. Non parliamo esclusivamente di film storici o biografici, in cui ciò è evidente, ma esistono numerose altre pellicole che strizzano l’occhio a fatti reali, senza che ciò risulti esplicitamente.
Oggi voglio parlarti di Scarpette Rosse, a cui abbiamo già dedicato una recensione, con la speranza di farti conoscere (se non lo avessi ancora visto) quello che a mio modesto parere può considerarsi un capolavoro cinematografico.
Scarpette Rosse: la fiaba originale
Scarpette Rosse, opera visionaria e surreale di Michael Powell e Emeric Pressburger, trae ispirazione dall’omonima fiaba di Hans Christian Andersen del 1845. Come ogni fiaba che si rispetti, anche quella di Scarpette Rosse è estremamente macabra e ai limiti dell’horror, a differenza del film che, seppur fortemente drammatico, risulta frutto di un’edulcorazione della tetra storia originale. Andersen narra di Karen, una povera orfanella attratta da un paio di scarpette rosse che indossa in chiesa, gesto che però viene colto come mancanza di rispetto, specie perché anziché dedicarsi alle preghiere e al sentimento religioso, la ragazza è distratta al pensiero delle sue bellissime scarpe. Dopo alcuni passi di danza, Karen realizza che i suoi piedi erano divenuti ormai incontrollabili: erano le scarpette a muoversi, dotate di una propria anima, forgiate dal demonio. La ragazza ripone le scarpe nell’armadio, spaventata. Tuttavia, in occasione del gran ballo del paese, cede alla tentazione e indossa nuovamente le scarpe maledette, dalle quali però questa volta non potrà più liberarsi. È costretta così a ballare giorno e notte, per mari e monti, instancabilmente e senza sosta, fino ad essere totalmente consumata e sfinita. Portata all’esasperazione, Karen chiede ad un boia di mozzarle i piedi, per porre fine alle sue sofferenze. Eppure i piedini rimasti nelle scarpe continuano a ballare e a perseguitare la ragazza.
Una storia figlia del suo tempo, dove risulta prevalente il sentimento religioso e la punizione che deriva dal peccato commesso. Non è un caso che la protagonista sia una ragazza: le scarpette rosse sono simbolo della sessualità femminile, associate alla danza quale espressione di libertà, in questo caso però punita, forse allusione del pensiero patriarcale volto a reprimere l’espressività delle donne di cui viene dipinta un’immagine meramente servile e dedita alla preghiera. Si tratta pur sempre di una fiaba dell’Ottocento.
Tuttavia il film del ’48 non dovrebbe essere letto sotto questa luce, seppur potrebbe risultare evidente laddove Vicky sembra posta dinanzi ad un bivio di alternative inconciliabili: l’amore e la carriera, problema che non si pone per gli altri personaggi maschili. Eppure si tratterebbe di una lettura estremamente superficiale in quanto il tema portante del film è piuttosto il rapporto tra arte e vita e la forza erosiva della passione e della costante dedizione. Del resto un tema non nuovo nella storia del cinema e che viene riproposto anche in pellicole più recenti, quali Il cigno nero di Darren Aronofsky e Whiplash di Damien Chazelle. La danza non è simbolo di libertà, bensì mezzo attraverso cui viene espressa la forza distruttrice della passione. Si tratta dunque di un melodramma dalle tinte più psicologiche che per un certo verso risulta anche più tragico della spaventosa fiaba originale.
Qui però non voglio limitarmi a riportare un confronto tra la fiaba ed il film. Come suddetto, anche in Scarpette Rosse del 1948 è possibile rinvenire dei riferimenti storici, che possono sfuggire agli occhi dei più, ammaliati dal surrealismo, dalle musiche e dalle splendide scenografie, e che in effetti sono ben celati.
Scarpette Rosse: la rivoluzione della danza classica e i Balletti Russi
In Scarpette Rosse uno dei personaggi principali è Boris Lermontov (interpretato da Anton Walbrook), celebre impresario dispotico a capo di un’importante compagnia di ballo. Il suo personaggio è evidentemente ispirato a Sergej Djagilev.
Sergej Djagilev (1872-1929) è stato un impresario teatrale russo di grande successo, fondatore dei Ballets Russes, ovvero la compagnia teatrale dei Balletti Russi istituita a Parigi nel 1909, che rivoluzionò per sempre il mondo della danza classica. Il suo progetto ebbe una portata storica notevole: l’obiettivo era quello di realizzare degli spettacoli che fossero un vero e proprio tripudio artistico, con ballerini professionisti, scenografie splendide realizzate dai pittori più noti e bravi, musiche composte dai più celebri musicisti del momento. Djagilev era solito organizzare degli spettacoli meravigliosamente curati in ogni dettaglio, prestando attenzione soprattutto alla componente estetica. Protagonisti dei suoi balletti erano ballerini russi di fama internazionale, tra cui ricordiamo Anna Pavlova e Vaclav Nižinskij. Dopo la Rivoluzione Russa del 1917 la compagnia si trasferisce a Parigi. Durante gli anni ’20 venivano inscenati numerosi balletti ispirati a fiabe e al folclore russo. Tra i compositori più celebri che lavorarono per la compagnia ricordiamo Claude Debussy, Maurice Ravel, Richard Strauss, Erik Satie, e molti altri. Riguardo alle scenografie e le importanti collaborazioni artistiche ricordiamo in particolare i fondali realizzati da Picasso, maggior esponente del movimento cubista, Giacomo Balla, futurista, Giorgio de Chirico e Henri Matisse.
Da quanto appreso possiamo certamente individuare dei forti parallelismi col personaggio di Lermontov e la sua compagnia, basti appunto pensare alla cura nei dettagli e allo stampo artistico dello spettacolo, l’attenzione per le scenografie, che è chiaramente evidente nel film grazie al meraviglioso lavoro realizzato da Hein Heckroth e Arthur Lawson, valso il premio Oscar. Sergej Djagilev è stato un uomo dotato di una forte sensibilità artistica ed è stato in grado di scovare talenti poi portati a conoscenza di tutto il mondo. La compagnia ebbe sede a Parigi e poi a Montecarlo, locations che effettivamente rivediamo nel film.
Elemento di connessione interessante e che dà conferme al riferimento storico suddetto è la partecipazione al film di Léonide Massine, nei panni del coreografo Grischa Ljubov, e non in senso fittizio ai fini della storia, ma realmente si occupò delle meravigliose coreografie viste nel film. Léonide Massine fu un importante ballerino di origini russe di fama internazionale, che fece parte della compagnia dei Balletti Russi, sostituendosi a Vaclav Nižinskij come primo ballerino e coreografo, a seguito della rottura tra Nižinskij e l’impresario.
Djagilev era omosessuale, un aspetto che non viene ripreso però nel film Scarpette Rosse, nonostante notiamo come Lermontov, affezionatissimo a Vicky e particolarmente possessivo nei suoi confronti, non proverà mai effettivamente desiderio ed amore per lei. Anche l’impresario russo non era solito intrattenere rapporti con i ballerini della propria compagnia, preservando la propria professionalità, seppur possiamo ricordare alcune vicende le quali confermano il carattere dispotico di Lermontov ed il suo astio verso l’amore altrui tale da cacciare i ballerini dalla compagnia. In particolare molto importante è stata la relazione amorosa tra Djagilev e Nižinskij, durata circa quattro anni (dal 1909 al 1913) ed interrotta bruscamente alla notizia che il ballerino avrebbe sposato una ricca ammiratrice. L’impresario reagì cacciando il ballerino dalla compagnia, esattamente come nel film accade con la prima ballerina Irena Boronskaja e poi anche con la stessa Vicky Page, cacciate perché si sarebbero dovute sposare con i rispettivi compagni, il cui amore sembra essere inconciliabile con la carriera agli occhi di Lermontov. Peraltro, nella vita reale, medesima sorte toccò proprio a Léonide Massine che sostituì Nižinskij non solo come ballerino ma anche in amore, per poi sposarsi con un’altra donna e venendo così anch’egli allontanato da Djagilev.
In Scarpette Rosse però possiamo trovare anche altri personaggi ispirati a persone realmente esistite nell’ambito degli stessi Balletti Russi. Infatti, oltre Massine che era parte della compagnia, ricordiamo il personaggio di Irena Boronskaja, ispirata ad Anna Pavlova, una delle ballerine più importanti della compagnia e del XX secolo, di fama internazionale. Vicky Page sembra invece omaggiare la ballerina Ruth Page, presentata a Djagilev dalla stessa Pavlova ed esibendosi anch’ella per la compagnia. Seppur il rimando è evidenziato dal cognome della ragazza, osservando la storia è molto più evidente il nesso con Nižinskij, probabilmente proprio rappresentato dalla ragazza. Lermontov non ha una storia amorosa con Vicky eppure è profondamente legato a lei e al suo talento, e la sua reazione al matrimonio è analoga a quanto accaduto nella realtà.
Il parallelismo che però trovo più interessante risiede nel finale, dove vediamo la scena estremamente toccante in cui Vicky Page non può prendere parte all’esibizione di Scarpette Rosse, ma nessun’altra ballerina avrebbe potuto danzare al suo posto. Così il balletto procede senza di lei, il faro punta nel vuoto, dove al suo posto avrebbe dovuto esservi la ragazza. Una scena estremamente poetica che si è realmente verificata riguardo alla ballerina Pavlova. La donna era su un treno diretto all’Aia per l’inizio di una nuova tournée, ma il mezzo si bloccò a causa di un incidente. Irritata, la donna scese dal treno per vedere cosa fosse successo, indossando solo un leggero cappotto su un vestito di seta, non sufficiente per proteggerla dal freddo della neve: questo le fu fatale. Anna Pavlova morì di pleurite poco prima del suo cinquantesimo compleanno. Il giorno dello spettacolo nessuno prese il posto della ballerina, inscenando dunque il balletto con un unico faro segui-persona che si muoveva, illuminando il palco vuoto, dove avrebbe dovuto essere la ballerina, esattamente come nel film.
Credo sia estremamente interessante scoprire i riferimenti storici che forse, specie nei nostri giorni, non emergono in modo immediato. Si tratta ormai di una realtà distante da noi ed inoltre è semplice distrarsi alla visione di un’opera d’arte quale è Scarpette Rosse, lasciandoci travolgere dal turbinio di immagini e musica e dimenticandoci che un fondo di realtà esiste anche nell’opera più visionaria.
Qui ti lascio un breve video dove poter ammirare Anna Pavlova nel celebre balletto La morte del cigno: