Dovrebbero partire entro il 2018 le riprese di “J’accuse” sul caso Dreyfuss
Ha scatenato le polemiche sui social media la notizia che presto l’ottantacinquenne Roman Polansky tornerà presto sul set per il nuovo film “J’accuse”, il quale racconterà il famoso caso di Alfred Dreyfuss, ufficiale francese con origine tedesche ingiustamente accusato di tradimento e scagionato dopo anni di processi durante il periodo tra il 1894 e il 1906, ma che portò a sconvolgimenti politici tra dimissioni di ministri e tentativi di colpi di stato. Nel cast, Jean Dujardin sarà George Picquart l’agente del controspionaggio che scagionerà Dreyfuss interpretato da Louis Carrel, mentre ancora non si sa in quale ruolo, sarà presente anche la moglie di Polansky Emmanuelle Seigner. Le riprese dovrebbero iniziare entro l’anno a Parigi.
Com’è noto, la vita di Roman Polansky è costellata di tragedie personali. Nato in Francia nel 1933, pochi anni dopo i genitori decidono di tornare nel paese natale del padre Cracovia ma, con l’invasione della Polonia da parte dei nazisti, fu rinchiuso nel ghetto da cui riuscì miracolosamente a fuggire, mentre i genitori vengono deportati nei campi di concentramento dal quale solo il padre sopravvive. Nel 1969 mentre Polansky è a Londra, dei balordi ipnotizzati dalle parole malate di Charles Manson, fanno irruzione nella casa del regista dove trovano la moglie Sharon Tate, in attesa di un bambino, in compagnia di alcuni amici e vengono tutti brutalmente assassinati. Pochi anni dopo, mentre si trova a Los Angeles nel 1977, Polansky viene accusato di violenza sessuale su di una ragazzina di tredici anni e, secondo le cronache dell’epoca, l’avvocato della vittima patteggiò per non far comparire in tribunale la giovane vittima, così che il giudice accordò a Polansky la riduzione dell’accusa, nonostante si fosse approfittato comunque di lei sotto effetto di droghe, da stupro a “atto sessuale non lecito” condannandolo inizialmente alla carcerazione per perizia psichiatrica. Quando Polansky ne uscì su cauzione, fuggì in Europa e non rimise mai più piede negli Stati Uniti. Nel 2009 fu arrestato in Svizzera dopo il mandato di cattura emanato dagli USA ma, alla loro richiesta di estradizione, il paese elvetico rispose giorni dopo rilasciando Polansky; Samantha Geiner, la vittima, ha dichiarato di non avere risentimenti nei confronti del regista e vorrebbe che le accuse nei suoi confronti cadessero.
Sulla scia delle polemiche del movimento #MeToo, definito da Polansky “isteria collettiva”, è esplosa l’indignazione dei social alla notizia del suo ritorno dietro la macchina da presa, dopo essere stato escluso dagli Oscar insieme a Bill Cosby per gesti “che non si conformano ai nuovi standard in materia di rispetto della dignità umana” come dichiarato dall’Academy Awards, a cui Polansky aveva annunciato causa.
Vorrei anche ricordare che Roman Polansky sarà interpretato da Rafal Zawierucha in “Once upon a time in Hollywood” di Quentin Tarantino.
Ognuno di noi avrà la sua opinione su questa storia, ma personalmente credo che, alla fine, anche lui debba pagare cinematograficamente per i suoi gesti anche se compiuti decenni fa, perché se no poi alla fine dovremmo riabilitare Kevin Spacey per la sua carriera distrutta, come quella di Cosby e molti altri che come loro sono caduti dopo le accuse le quali ultimamente stanno coinvolgendo sempre più volti noti. O vorremmo perdonarlo perché ci ha regalato film da oscar come “Il pianista” o il thriller colmo di tensione “Frantic”?. Ditemelo nei commenti.