Con un certo ritardo, grazie al cinema all’aperto, finalmente possiamo parlare di Roma, il film prodotto da Netflix più premiato del 2019
Questo è sicuramente uno dei più bei film del 2019. Leone d’Oro a Venezia, Oscar per regia, fotografia e miglior film straniero, Golden Globe per migliore regia sono solo i premi più prestigiosi che ha vinto. Nonostante il cineclub Arsenale di Pisa lo abbia immediatamente proiettato e replicato decine di volte, a causa dei soliti fastidiosi impegni è solo grazie alla programmazione del cinema estivo che sono riuscita a vederlo.
Lo so che ne abbiamo già parlato, ma è un film così bello che, come Oscar Wilde, non “resistiamo alla tentazione” di parlarne di nuovo. Se proprio si dovesse inscrivere in un filone cinematografico direi che Roma è un film della Nouvelle Vague: fortemente incentrato sulla realtà con una regia impeccabile e presente.
La storia la ripetiamo, perché è essenziale per comprendere il film. Cleo è una ragazza india che fa la domestica in una casa borghese composta da un medico, Antonio, sua moglie Sofia, la madre di Sofia, Teresa, quattro bambini e un cane che abbaia e sporca dappertutto. Il film inizia proprio mentre Cleo pulisce il pavimento del cortile con grandi secchiate d’acqua e un aereo si specchia nel cortile bagnato. I drammi raccontati nel film sono due: quello di Cleo che viene messa incinta dal suo fidanzato, Fermín che, appena lo sa, si dilegua e quello della famiglia che viene abbandonata dal padre che, oltretutto, non manda una lira, o meglio un peso, a casa. Il punto di vista è sempre quello di Cleo, infatti noi sappiamo del dramma che sta passando Sofia solamente dai frammenti di discorso che sente per caso. Quando Cleo rimane incinta e viene abbandonata teme di essere licenziata, invece Sofia e Teresa le stanno vicino e la aiutano. Questa solidarietà fra donne è uno dei temi principali del film. Gli uomini non fanno, invece, una gran figura. Nessuno. Il dottor Antonio, non solo abbandona moglie e figli ma, quando torna per prendere le sue cose, pretende che se ne vadano per non vederli. Nemmeno ha l’impulso di salutare i figli. Un conoscente di Sofia, durante il capodanno del 1971, le propone di andare a letto con lui, giusto perché sa che è rimasta sola e vuole approfittarne. Il fidanzato di Cleo non solo l’abbandona, ma veniamo a sapere che è uno dei balordi addestrati per malmenare e uccidere impunemente i dimostranti che protestavano contro il governo. È proprio mentre Cleo è accompagnata da Teresa per comprare una culla che vede Fermín uccidere a sangue freddo un dimostrante; in quel momento le si rompono le acque ma, a causa del caos provocato dai pestaggi, non riesce a giungere in tempo all’ospedale e la bambina che avrebbe dovuto dare alla luce, nasce morta. A questo punto Cleo vive un secondo dramma. Lo spettatore è convinto che sia la perdita della bambina a renderla quasi inerte. Durante il viaggio a Veracruz, al mare, per permettere ad Antonio di portar via le sue cose, Cleo segue Sofia e i bambini. Un giorno Sofia deve allontanarsi col figlio maggiore lasciando gli altri tre bambini alle cure di Cleo. Mentre asciuga il più piccolo, gli altri due si allontanano dalla spiaggia e rischiano di annegare. Nonostante non sappia nuotare, Cleo rischia la vita gettandosi nelle onde dell’oceano e riesce a salvarli. Al ritorno di Sofia, finalmente Cleo scoppia in lacrime, confessando che non avrebbe voluto la bambina e riesce così a liberarsi del senso di colpa.
Proviamo a metterci nei suoi panni: ti nasce un figlio da un farabutto che, non solo ti abbandona, ma ti minaccia, se non lo lasci in pace; oltretutto ha assassinato un uomo davanti ai tuoi occhi; chi mai vorrebbe un figlio da un simile individuo? Eppure Cleo si sente in colpa di non aver voluto la bambina.
Durante i titoli di coda, vediamo Clero che sale le scale, la telecamera la segue e vediamo, questa volta direttamente nel cielo, l‘aereo che avevamo visto riflesso nell’acqua all’inizio del film. Su Wikipedia troverete questa nota: “Si può cogliere la metafora, che indica la divisione fra le classi privilegiate che viaggiano in aeroplano e fanno parte di una società internazionale e le classi subalterne, la cui vita si svolge nel compimento di mansioni ordinarie entro un orizzonte limitato“. Sarà. A noi ha dato più l’idea della continuità, della vita che continua, nonostante tutto. Le classi sono nettamente separate, è vero, ma se c’è una cosa che colpisce è la sincera solidarietà fra le donne, pur appartenendo a classi diverse. Oltre a una prova di regia magistrale, alla tensione che non si allenta mai, è da segnalare la stupenda fotografia in bianco e nero, anche questa opera di Cuarón, che accompagna il film.
Vorremmo segnalare un altro piccolo particolare, non è essenziale per capire il film, ma ci è sembrato curioso. Il film è stato proiettato in lingua originale sottotitolato. Durante il capodanno, in una scena i bambini vengono portati a fare un’escursione e viene loro raccomandato di tornare indietro “a las faldas” delle colline. I sottotitoli traducono correttamente “pendici”, ma in castigliano “falda” significa anche “gonna”, quindi i bambini si sbizzarriscono in una serie di battute che iniziano dal fatto che le montagne non portano le gonne, ecc. I sottotitoli si arrampicano sugli specchi per mantenere il divertissement con risultati pietosi. Pensare che sarebbe bastata una traduzione sbagliata della parola “falda” per mantenere il gioco di parole: sarebbe bastato dire di fermarsi “ai piedi delle colline” e allora, le colline non hanno piedi, ecc. Una parola non sempre è traducibile, una frase sì.
un altro piccolo particolare