Marcello Mastroianni è stato forse uno degli attori più grandi e celebri della storia del cinema italiano. Reso famoso a livello internazionale grazie a La dolce vita di Federico Fellini, Mastroianni è stato un attore di grande talento e versatilità, che ha prestato il suo volto a personaggi rimasti nella storia, destreggiandosi abilmente tra ruoli comici e drammatici, preservando una naturalezza e spontaneità tali da rendere credibile ogni suo ruolo ed interpretando personaggi vari, sempre così vicini e familiari, a cui ha donato sempre un’aria sorniona e un velo di malinconia.
L’infanzia
Una testata giornalistica tedesca, Jüdische Rundschau, ha in passato fatto circolare la notizia che la madre di Marcello Mastroianni fosse nata ad Amburgo da genitori russi di origine ebraica, trasferitasi poi in Italia e cambiando nome per celare le proprie origini. La stessa rivista ha inoltre dichiarato che l’attore fosse venuto a conoscenza delle sue radici ebraiche soltanto negli anni ’80, tuttavia la notizia non è mai stata provata e si dubita della sua fondatezza.
All’età di tre anni, Marcello e la sua famiglia si trasferirono a Torino, dove, nel 1929, nacque il fratello Ruggero, divenuto poi uno dei montatori cinematografici italiani di maggiore spicco. A Torino, Marcello iniziò la scuola elementare, conclusa poi a Roma, dove la famiglia si stabilì a partire dal 1933 e dove il padre aprì la propria bottega di falegname ebanista. Proprio alla bottega sono legati i ricordi più veri dell’attore, memorie della sua infanzia e dell’adolescenza trascorse presso la bottega del padre e del nonno, ricordi permeati dall’odore del legno misto al sudore del lavoro, dove un giovane Marcello aiutava i propri cari, quasi imbarazzato di quel lavoro così umile, specie quando, per qualche riparazione, dovevano recarsi presso case in cui magari abitava qualche fanciulla per cui Mastroianni aveva una cotta. Eppure sono proprio questi alcuni dei suoi ricordi più cari, esperienze di vita che gli hanno insegnato a preservare una certa umiltà e modestia che lo hanno sempre contraddistinto, nonostante ormai il grande successo raggiunto negli anni successivi.
Marionette, il primo film con Marcello Mastroianni
Alla giovane età di soli 11 anni, Marcello Mastroianni fa la sua prima comparsa al cinema. Sin da bambino Marcello ha sempre avuto una certa fascinazione per il mondo del cinema, mostrando una precoce passione per la recitazione che lo portò a presentarsi spesso a Cinecittà per dei casting come comparsa. La prima apparizione sul grande schermo di Marcello Mastroianni fu nel 1939, nel film Marionette, di Carmine Gallone. Si trattò di una grande opportunità per il Marcello bambino, che riusciva ad accedere a Cinecittà grazie ad un suo amico d’infanzia, la cui famiglia aveva un ristorante proprio all’interno di Cinecittà e grazie a cui riusciva ad ottenere dei veri e propri buoni per fare la comparsa!
Marionette, realizzato negli anni del fascismo, era un film che esaltava in particolare la vita rurale delle campagne italiane. Mastroianni partecipò come comparsa insieme con sua mamma, nella scena di una festa che celebrava la vendemmia e l’uva. L’attore ha raccontato che in quell’occasione lui e sua madre mangiarono una quantità spropositata di uva, tanto da sentirsi male il giorno successivo. Il tutto per un guadagno di 10 lire giornaliere. Infatti, nonostante la passione per il cinema e la recitazione fossero già esistenti, naturalmente c’era un particolare interesse anche nel guadagno, trattandosi di un periodo di crisi per l’Italia e considerando l’umile estrazione sociale della sua famiglia.
Presso la Banca d’Italia la madre dell’attore ha avuto modo di instaurare un legame d’amicizia con una collega, Maria, che era niente di meno che la sorella di Vittorio De Sica, uno dei più grandi registi italiani dell’epoca. Proprio per questo motivo Marcello Mastroianni pregava spesso sua madre di andare a far visita a Maria, così che lei potesse metterlo in contatto con il regista per prendere parte ad uno dei suoi film. Ai tempi Marcello aveva soltanto 15-16 anni, per cui la risposta di Vittorio De Sica era sempre la stessa, ovvero lo invitava a terminare prima gli studi. Durante l’adolescenza Marcello è riuscito a lavorare come comparsa, oltre che in Marionette, ne La corona di ferro di Alessandro Blasetti, in Una storia d’amore di Mario Camerini, e ne I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, su raccomandazione della sorella Maria.
Nel 1943 conseguì il diploma di perito edile presso l’istituto tecnico industriale e si iscrisse presso l’università di economia e commercio. Nel frattempo, per mantenersi gli studi, Marcello iniziò a lavorare come disegnatore tecnico per il comune di Roma, per poi essere assunto presso l’Istituto Geografico Militare a Firenze. Successivamente l’istituto venne trasferito a Dobbiaco, in provincia di Bolzano, sotto il controllo dei Tedeschi. In vista di un successivo ed imminente trasferimento in Germania, Mastroianni fuggì con un lasciapassare falso a Venezia, dove si rifugiò con il suo amico Remo Brindisi. Marcello aveva solo 19 anni e sopravvisse a Venezia vendendo i dipinti del suo amico.
Nel 1945, terminata la guerra, Marcello Mastroianni fece ritorno a Roma per proseguire i suoi studi universitari, con l’ambizione di diventare un buon architetto. Nel mentre trovò lavoro come contabile alla Eagle Lion Films, casa di distribuzione del gruppo Rank, ed iniziò a studiare teatro presso la compagnia teatrale universitaria.
In occasione di uno spettacolo teatrale a cui prese parte Giulietta Masina, futura moglie di Federico Fellini e all’epoca attrice già nota, Marcello Mastroianni venne notato da un amministratore della compagnia teatrale di Luchino Visconti, che cercava un ragazzo per il cast di Rosalinda o Come vi piace di Shakespeare. Mastroianni entrò così ufficialmente nella compagnia di Visconti, dove c’erano anche attori quali Rina Morelli, Paolo Stoppa e Vittorio Gassman. L’ingresso nella compagnia segnò la carriera di Marcello, che strinse un legame particolare con il regista Visconti.
Tra le diverse opere teatrali messe in scena ricordiamo Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams; Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller; La locandiera di Goldoni; Zio Vanja e Le tre sorelle di Cechov. Marcello fece parte della compagnia per ben dieci anni, fino al 1956, non senza interruzioni, portando le loro rappresentazioni teatrali all’estero. Quegli anni furono davvero importanti per la formazione dell’attore, grazie alla rigida disciplina imposta da Luchino Visconti, un vero e proprio perfezionista di cui ricordiamo, con Mastroianni, il sofisticato film Le notti bianche. Sempre in teatro è stata inoltre fondamentale la conoscenza con Vittorio Gassman, attore già affermato e a cui Marcello deve moltissimo.
Il debutto al cinema
Il vero e proprio debutto al cinema avvenne con I miserabili, film del 1948 di Riccardo Freda e tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo. Questo titolo può considerarsi ufficialmente il primo film con Marcello Mastroianni non più nel ruolo di mera comparsa, nonostante comunque non fosse protagonista del titolo ed anzi, compare sullo schermo per breve tempo.
Nel 1950 Marcello Mastroianni sposò la giovane collega Flora Carabella, da cui nacque la primogenita Barbara. Nel frattempo proseguiva la sua carriera tra il teatro ed il cinema, nonostante ormai il tempo iniziasse a scarseggiare sempre di più ed il mondo del cinema stava prendendo il sopravvento rispetto alla sua attività teatrale. Infatti, in contemporanea agli impegni presso la compagnia di Visconti, Mastroianni prese parte a numerose pellicole, per i ruoli più disparati, minori e da protagonista, in film di ogni genere.
Ricordiamo che agli albori del cinema e con l’introduzione del sonoro e l’invenzione del doppiaggio, molti attori italiani venivano ridoppiati da altri, per curare eventuali difetti di pronuncia, accenti, scegliendo delle voci più pulite e che fossero più piacevoli all’orecchio. Per cui anche Marcello Mastroianni, in alcuni dei primi film, era doppiato da altri, tra i cui nomi spiccano quelli di Alberto Sordi e Nino Manfredi. Lo stesso Mastroianni conta una singola esperienza di doppiatore: prestò la voce a Jean-Pierre Aumont nel film Ultimo incontro di Gianni Franciolini, uscito nel 1951. Quando però Marcello iniziò a parlare con la propria voce riuscì ufficialmente ad affermarsi come attore, distinguendosi per la sua voce calda e dolce, donando la propria ironia e malinconia ai suoi personaggi.
Cambiano inoltre i canoni estetici: se fino ad allora i modelli di bellezza erano attori come Paul Newman, Marcello Mastroianni riuscì a collocarsi tra gli uomini più attraenti dell’epoca, complice anche l’evoluzione cinematografica. Gli anni ’50 sono stati un periodo di ascesa per il cinema italiano, grazie all’affermarsi della corrente neorealista, ampliando così il novero dei personaggi delle pellicole e rappresentando persone di ogni estrazione sociale, sino ad arrivare alle persone più comuni. Tant’è che la bellezza di Mastroianni non era così irraggiungibile, era il volto ed il corpo di un uomo comune dotato però di grande charme.
In quegli anni tra i film più importanti spiccano le collaborazioni con Luciano Emmer, in commedie quali Domenica d’agosto, Parigi è sempre Parigi, Le ragazze di piazza di Spagna, nonché in ruoli drammatici tra cui Passaporto per l’oriente di registi vari, Lulù di Fernando Cerchio, Febbre di vivere di Claudio Gora, Cronache di poveri amanti di Carlo Lizzani e Le notti bianche di Luchino Visconti.
Sul set di Peccato che sia una canaglia (1954) di Alessandro Blasetti, incontrò per la prima volta Sophia Loren. In realtà l’attore aveva già notato la Loren per la sua bellezza, rimanendone colpito sul set di Africa sotto i mari, di Giovanni Raccordi, dell’anno precedente. Invece Peccato che sia una canaglia rappresenta ufficialmente il primo film con la coppia Mastroianni-Loren, coppia amatissima dal grande pubblico e che verrà più volte proposta in pellicole successive, complice il grande affiatamento tra i due attori, tra cui c’è sempre stato un profondo rapporto d’amicizia. Le loro collaborazioni erano così frequenti che, quando i genitori di Mastroianni vedevano l’uscita di un film con la Loren, si chiedevano perché non ci fosse anche il figlio. I genitori dell’attore sono sempre stati molto presenti, andando al cinema a vedere ogni film del loro figlio. Mastroianni li descriveva come una coppia comica, il padre era ormai diventato cieco a causa del diabete e la madre aveva problemi d’udito, per cui in sala disturbavano gli altri spettatori: uno chiedeva cosa stesse succedendo e l’altra cosa avessero detto!
Proprio con Peccato che sia una canaglia, Marcello Mastroianni conseguì il suo primo riconoscimento, una Grolla d’oro. Vinse poi anche un Nastro d’argento per Giorni d’amore. Ormai ampiamente affermato, Marcello abbandonò il teatro per dedicarsi completamente al cinema, interpretando personaggi sempre diversi tra loro. Tra i ruoli più importanti ricordiamo il personaggio dell’operaio disilluso perché senza figli, in Padri e figli (1957) di Mario Monicelli; il piccolo borghese intimidito e spaesato descritto da Dostoevskij in Le notti bianche, la cui trasposizione cinematografica fu realizzata da Visconti. Monicelli, Visconti ed Emmer sono stati i registi più importanti per l’inizio della sua carriera.
I soliti ignoti
In particolare è stato fondamentale il ruolo ne I soliti ignoti, film di Monicelli del 1958 e in cui Marcello interpreta la parte di un fotografo che partecipa ad un colpo organizzato da un gruppo di ladruncoli abbastanza sprovveduti, accanto a grandi attori quali Totò e Vittorio Gassman.
I soliti ignoti rappresenta un film importantissimo per la cinematografia italiana, la pellicola segna infatti la nascita di un nuovo genere: la Commedia all’italiana che, insieme con il neorealismo, consacrano la rinascita del cinema italiano del dopoguerra. La commedia all’italiana infatti segna l’abbandono della comicità propria del varietà, rappresentando piuttosto scene di vita reale e persone comuni, in cui ognuno può rivedersi, senza trascurare le componenti drammatiche ed un’eccezionale caratterizzazione dei personaggi. Il film è inoltre pioniere del genere del caper movie (ovvero quel genere di film in cui un gruppo di criminali organizza un grande furto). I soliti ignoti si è aggiudicato due Nastri d’argento e una candidatura al premio Oscar come miglior film straniero.
“Fellini, il mio magico amico”
L’apice della sua carriera arrivò negli anni ’60 e ’70, quando nel 1960 Marcello Mastroianni interpretò il ruolo che lo consacrò definitivamente come attore di fama internazionale, additato come latin lover dalle principali testate giornalistiche statunitensi: La dolce vita, di Federico Fellini.
Il rapporto con Fellini è stato fondamentale per l’ascesa della carriera di Mastroianni, presente in numerose pellicole, definite fantarealiste, di uno dei registi italiani più grandi. Tra i due si instaurò immediatamente un rapporto d’amicizia profondo, ben oltre il semplice rapporto professionale.
Dino De Laurentiis, produttore de La dolce vita, desiderava come protagonista un volto importante, pensando ad esempio a Paul Newman, modello di bellezza di quegli anni e che certamente avrebbe rappresentato una mossa saggia per favorire il mercato internazionale. Federico Fellini aveva però un’idea diversa e molto distante, desiderava che il protagonista fosse un uomo qualunque, per cui l’emergente Marcello Mastroianni sembrò la scelta più giusta. L’ostinazione di Fellini determinò la rottura con De Laurentiis, dovendo così trovare un nuovo produttore per la pellicola.
Da allora Marcello rinunciò definitivamente a porre delle domande, comprese che a Fellini non bisognava chiedere nulla. I film del regista andavano soltanto vissuti, in un clima di spensieratezza, flessibilità ed improvvisazione che solo un grande regista come Fellini avrebbe potuto ricreare sul set. Mastroianni abbandona così quella rigidità e disciplina acquisite in teatro, vivendo pienamente le atmosfere del set, una grande giostra orchestrata magistralmente da Fellini, regista in grado di dirigere un numero enorme di persone ed avendo cura anche della comparsa più insignificante. I suoi film erano pura improvvisazione e lo stesso Mastroianni ne viveva il fascino, non solo come attore ma proprio come spettatore dinanzi al processo creativo del grande cineasta, riponendo piena fiducia in lui: proprio questo rapporto di fiducia reciproca ha nutrito l’esperienza di entrambi, giovando alla loro carriera e rendendo grandi i film di Fellini e gli interpreti.
“Però io l’ho vissuta La dolce vita, l’ho vissuta durante la lavorazione del film questo sì, perché non credevo di stare a lavorare, io ho vissuto proprio circa sei mesi di totale abbandono, di felicità completa… […] era piena di cose La dolce vita, io c’ho sguazzato dentro come se fossi realmente stato uno di quegli eroi immaginati da Fellini o osservati da Fellini e quindi riportati sullo schermo”.
La dolce vita
La dolce vita segue le vicende di Marcello Rubini, giornalista disilluso, testimone e allo stesso tempo complice di un mondo volgare, caotico, spietato, in balia del quale l’uomo perde ogni ambizione, annoiato dalla vita stessa. Il film è particolarmente sfaccettato e si presta a molteplici piani di lettura, rappresentando temi ricorrenti nella cinematografia felliniana. Viene mossa una grande critica verso la classe aristocratica, frivola e viziata, infantile, dedita solo all’alcool e al sesso, al divertimento esasperato. Una società vuota in cui Marcello si perde, abbandonando ogni sua ambizione e lasciandosi trascinare dalla mondanità, dalla dolce vita. Ciò si riflette nel suo rapporto con le donne, non riuscendo a legarsi a nessuna di queste e venendo costantemente abbandonato. Importanti sono le componenti religiose, di cui il film è pregno, a partire dalla sequenza d’apertura dove degli uomini trasportano nei cieli di Roma la scultura di un Cristo Redentore, e nella stessa iconica scena della fontana di Trevi vediamo l’attrice Anita Ekberg versare dell’acqua sulla testa di Marcello, simbolo che allude alla ritualità religiosa per cui Fellini ha sempre nutrito profonda ammirazione e rispetto, affascinato dall’eloquenza di semplici gesti in grado di rievocare un’intera cultura.
Da notare inoltre la ciclicità della pellicola, la ridondanza del tema dell‘incomunicabilità umana: nella scena iniziale il rumore dell’elicottero è troppo forte e gli uomini non riescono a parlare con le donne; così nella scena finale, dove le onde del mare ed il vento sono troppo forti e, ancora una volta, la donna non riesce a comunicare con l’uomo. Sussiste questa costante incomprensione tra i due sessi, che emerge naturalmente in ogni dialogo, in ogni rapporto che Marcello ha con le donne incontrate durante il film.
Il distributore temeva che il film non avrebbe incassato nulla, dato il caos e la complessità dello stesso. Fu invece un grande successo a livello mondiale, grazie ad un’intensa campagna pubblicitaria e alle critiche contrastanti, che resero il film uno dei più iconici e citati nella storia del cinema. La critica fu particolarmente contrastante: se da un lato vi furono ampi apprezzamenti, dall’altro il film fu accolto molto negativamente, specie dall’ambiente religioso ed aristocratico, addirittura presso la prima cinematografica romana una persona sputò contro Fellini, accusandolo di aver realizzato un ritratto del tutto infedele della città di Roma, di essere ateo, o comunista. E ancora, alla sua uscita il film fu vietato ai minori di 16 anni. A causare tale restrizione furono soprattutto la breve scena di nudo femminile, il riferimento al suicidio e alcune parolacce per l’epoca ancora inconsuete al cinema.
Marcello Mastroianni, la condanna del latin lover
Il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni in La dolce vita ha definitivamente segnato la sua condanna alla definizione di latin lover, complice il fascino dell’uomo, l’aria sorniona e malinconica di ogni suo personaggio, il fatto che in ogni film venisse affiancato da meravigliose attrici. Iniziarono così a circolare numerosi pettegolezzi e l’attore venne additato come latin lover a partire da una testata giornalistica statunitense, che fece sì che Mastroianni fosse conosciuto come tale a livello planetario. Ciò rappresentò una vera e propria condanna per l’attore, costretto a ricevere domande estremamente ripetitive: non c’è un’intervista in cui non gli sia stato chiesto “E le donne?”, domanda che iniziò ad infastidire sempre di più l’attore, che ha sempre combattuto contro questo spiacevole appellativo. Marcello riteneva infatti che ciò lo involgarisse molto, egli stesso ha dichiarato:
“Ero pagato per abbracciarle (le donne), facevamo finta di amarci”
Effettivamente la critica ed il pubblico hanno sempre faticato a distinguere i personaggi di finzione dagli attori reali, promuovendo così un’identificazione del tutto fuorviante. Proprio per questo motivo, dopo La dolce vita, Marcello Mastroianni tentò di distaccarsi il più possibile da quella definizione di latin lover, scegliendo di interpretare personaggi sempre più diversi ed in contrasto con quell’appellativo, quasi tentando di azzerare il proprio sex appeal e per sfatare il falso mito del sex symbol. Fu così la volta del Bell’Antonio, film del 1961 diretto da Mauro Bolognini e la cui sceneggiatura fu scritta da Pier Paolo Pasolini, in cui Marcello interpreta un uomo desiderato da tutte le donne che però cela un’amara verità: è impotente.
Sempre nel tentativo di sfatare la fama di latin lover, Marcello interpretò il protagonista maschile de La Notte (1961) di Michelangelo Antonioni, capolavoro del regista sull’incomunicabilità.
Divorzio all’italiana
Ancora nel 1961 e sempre per scrollarsi di dosso quell’odiata etichetta di sex symbol, Marcello fu protagonista del film Divorzio all’italiana, di Pietro Germi. La commedia riscosse un enorme successo, facendo guadagnare la prima nomination di Marcello Mastroianni per l’Oscar come miglior attore protagonista. Delle tre candidature, il film vinse per la migliore sceneggiatura originale. Ambientato in Sicilia, Divorzio all’italiana racconta la storia di Ferdinando, detto Fefè, barone innamorato della propria cugina e che ormai ha perso ogni interesse per sua moglie. All’epoca tuttavia non era concesso il divorzio, e l’unico modo per sciogliere il vincolo matrimoniale era il delitto d’onore. Tutto il film è quindi incentrato sul malefico piano di Fefè, che trova un amante per sua moglie così da poterla uccidere.
8 ½
Da maggio a ottobre del 1962 Marcello Mastroianni fu impegnato sul set di 8 ½, massimo capolavoro di Federico Fellini che peraltro segna definitivamente il rapporto tra l’attore ed il regista. Lo stesso Fellini ha affermato che Mastroianni in quel film rappresenta appieno il suo alter-ego. Nel film infatti Marcello interpreta un regista in crisi e che trova rifugio nei propri ricordi e nella propria interiorità, raffigurando appieno la situazione in cui versava lo stesso Fellini. Il regista sapeva di voler realizzare una pellicola che seguisse i pensieri di un uomo, la sua immaginazione ed i suoi sogni, ma si trattava di un’idea dai confini estremamente sfumati, fino a quando arrivò al punto da non ricordarsi più del film che aveva in mente. Da qui il colpo di genio: fare un film su un regista che vuol fare un film, ma che non ricorda più quale!
Ancora una volta si trattava di un film dalla sceneggiatura scarna, indefinita, caotica, per cui Marcello Mastroianni fu la scelta più azzeccata, in quanto conosceva il modo di lavorare di Fellini e riponeva piena fiducia nel suo operato, si lasciava guidare completamente dal regista senza sapere nulla della scena.
“Sul set io aspetto, con lui io aspetto con più gioia, perché quando vado a lavorare è come andare a teatro, io divento non attore ma spettatore di Fellini”.
Marcello Mastroianni iniziò così a frequentare assiduamente il regista, mimandone i caratteri e studiandolo, trasformandosi appieno nell’alter-ego di Fellini. Il regista ha dichiarato:
“Sono proprio contento di essergli diventato amico, ho acquistato un amico nuovo. E mi riconosco così profondamente in lui, in questa specie di operazione magica, che certe volte, guardandomi allo specchio, ho la sensazione di vedere la sua faccia”.
Parlare di 8 ½ richiederebbe uno spazio a parte e se ne potrebbe ricavare una tesi di laurea, tanto è complessa e sfaccettata questa pellicola, considerata uno dei maggiori capolavori cinematografici della storia e che valse la vittoria per Fellini dell’Oscar per il miglior film straniero. La visione di 8 ½ non può lasciare indifferenti.
Iconica è la scena dell’harem, dove nell’immaginario di Guido Anselmi, tutte le donne della sua vita convivono pacificamente, venerando il loro uomo, viziandolo ed accudendolo, realizzando fantasie erotiche ed al contempo legate alla sfera infantile e giocosa. Nonostante ciò, la scena ben presto diventa un incubo, la pacifica convivenza subisce una rottura, riportando Guido alla consapevolezza che non sarà mai in grado di vedere felici le donne della sua vita, incapace di soddisfarle e di legarsi a queste, nell’impossibilità di compiere una scelta, come riflesso nella sua carriera. La pellicola è quasi claustrofobica, Anselmi non trova via di fuga, risucchiato da questa spirale solipsistica dove la crisi lavorativa si dipana in una crisi esistenziale, perdendo se stesso ed ogni prospettiva di realizzazione dell’ambito film. Cruciale è il dialogo finale con Claudia, rivelatore dell’incapacità di legarsi a qualcuno, tanto meno di restare ancorato ad un’idea priva di confini.
“Nell’impossibilità di mettere ordine nel delirio senza senso e senza scopo della propria vita, l’unica possibilità è di partecipare a questo fantastico balletto cercando soltanto di intuirne il ritmo”, ha affermato Fellini.
8 ½ è un’opera pregna di malinconia ed angoscia, lo spettatore è trascinato nella psiche del regista disilluso e travolto dal caos della vita, che altro non è che un circo in cui noi acrobati possiamo solo tentare di destreggiarci, abbandonando ogni tentativo di comprensione. Recenti restauri hanno portato a galla del materiale d’archivio che mostra il finale originale del film, dove i protagonisti sono in viaggio in treno verso una meta oscura, allusione dell’aldilà, sottolineando quel senso di malinconia e vuotezza che traspare dall’intera pellicola.
Marcello Mastroianni in 8 ½ è una vera e propria icona, con indosso quel borsalino inclinato e l’asciugamano attorno al collo, offuscato dall’atmosfera fumosa delle sue sigarette (Mastroianni era un accanito fumatore anche nella vita reale). Il comparto trucco e parrucco si diede un gran da fare per rendere iconico il personaggio di Guido Anselmi. Fellini desiderava che il personaggio avesse un’aria elegante e addirittura fu chiesto ai truccatori di fare in modo che le sue dita sembrassero più lunghe e affusolate. In particolare per la scena dell’harem l’attore dovette fare la ceretta al petto!
Il rapporto con Fellini era davvero speciale, consolidato con 8 ½ e proseguito ulteriormente all’infuori dell’industria cinematografica. Numerosi sono gli aneddoti sulla loro amicizia, ad esempio tra i due correva una strana e costosissima sfida, facendo a gara per anni a chi avesse l’automobile più lussuosa ed alimentando le rispettive collezioni. Fellini ha così descritto il suo rapporto con Marcello Mastroianni:
“Io e Marcello, ci si vede pochissimo. A parte naturalmente quando giriamo un film insieme. Forse anche questo è uno dei motivi della nostra amicizia: un’amicizia che non pretende, che non obbliga, che non condiziona, che non stabilisce regole, confini. Una vera, bella amicizia basata su una totale, reciproca sfiducia”.
Una vita tra parentesi
La filmografia di Marcello Mastroianni è costellata da film di ogni genere. Nel 1963 recitò in un altro film di Monicelli, I compagni, in cui interpretò il ruolo di un agitatore socialista di fine Ottocento, raccontando la storia del primo tentativo di sciopero in Piemonte. Il film in Italia non riscosse particolare successo, fu invece molto apprezzato in America, dove prendeva il titolo di The Organizer.
Segue poi il sodalizio con Vittorio De Sica, uno dei regista più ammirati dall’attore sin dalla sua prima infanzia e che ha avuto un ruolo molto importante per la sua iniziazione nel cinema. Per lui interpretò Ieri, oggi e domani (1963), Matrimonio all’italiana (1964), Amanti (1968) e I girasoli (1969), sempre accanto a Sophia Loren, consacrando la coppia cinematografica. Tra i due però non ci sarà mai un rapporto sentimentale.
In particolare Ieri, oggi e domani fu un film molto apprezzato, tanto da aggiudicarsi la statuetta d’oro come miglior film straniero. L’ultimo episodio del film, Mara, è reso celebre soprattutto dalla scena cult dello spogliarello di Sophia Loren, sulle note di Abat-jour (Salomé), davanti ad un esuberante Marcello Mastroianni nei panni di un cliente bolognese. La scena è stata poi ripresa in Prêt-à-Porter di Robert Altman trent’anni dopo, dove tornano gli stessi attori: mentre Sophia Loren conserva il suo fascino, Marcello finisce per addormentarsi durante lo spogliarello!
Tra i film di quegli anni ricordiamo La decima vittima (Elio Petri, 1965), L’uomo dei cinque palloni (Marco Ferreri, 1965), Spara forte, più forte… non capisco! (E. De Filippo, 1966), Lo straniero (Visconti, 1967). Se quest’ultimo film segnò il distacco tra Mastroianni e Visconti, dall’altro lato vediamo l’inizio di un nuovo interessante sodalizio con il regista Ferreri.
Nel 1965 Marcello Mastroianni fu scritturato per interpretare il musical teatrale Ciao, Rudy, sulla vita del giardiniere pugliese Rodolfo Valentino, scritto per lui da Garinei e Giovannini con L. Magni e corredato delle musiche di A. Trovajoli. Se fino ad allora ogni pellicola era stata scelta con l’intenzione di scrollarsi di dosso l’etichetta di latin lover, certamente Ciao, Rudy non giovò al suo obiettivo, anzi confermando la sua fama.
Il viaggio di G. Mastorna, detto il Fernet
Sempre nel 1965 nacque l’idea per un nuovo film di Fellini: Il viaggio di G. Mastorna, detto il Fernet, forse il film irrealizzato più famoso di tutti i tempi. Si trattava di un progetto di Federico Fellini, che avrebbe dovuto raccontare la storia di un clown e del suo viaggio a seguito di un incidente aereo. Fellini non riuscì mai a portare a termine la stesura della sceneggiatura, né riuscì a realizzare le riprese. Per il ruolo del Mastorna era stato inizialmente pensato Totò, ma si escluse quasi subito questa opzione date le condizioni di salute dell’attore. Così la scelta cadde su Mastroianni, che da sempre ha rappresentato un porto sicuro per il regista. Eppure, da alcuni filmati d’archivio che rivedono in particolare il backstage dei provini con Marcello, emergono appieno il disagio ed il tormento di Fellini, che non riesce a riconoscere il suo personaggio, mentre Mastroianni è soffocato da truccatori, da continui cambi ed istruzioni sempre diverse dal regista.
“Se ti convinci che io sono Mastorna non avresti più dubbi, io divento Mastorna”.
Solo in un secondo momento Fellini decise che forse per quel ruolo sarebbe stato più adatto Paolo Villaggio, tuttavia il film non fu mai realizzato. Marcello Mastroianni, per lavorare al fantomatico film, dovette pagare un’enorme penale di 100 milioni di lire per interrompere repentinamente le repliche di Ciao, Rudy. Probabilmente un caso singolare, l’unico attore nella storia a dover pagare una penale per la rinuncia ad un contratto!
Per racimolare soldi, interpretò Il papavero è anche un fiore (1966) di Terence Young. Il primo film girato in lingua inglese fu Diamanti a colazione di Morahan (1968), nonostante Marcello Mastroianni non conoscesse affatto la lingua. Nello stesso anno interpretò un ruolo in Amanti, film di Vittorio De Sica sempre del 1968, sul cui set conobbe Faye Dunaway. Tra i due vi fu una relazione, rendendo sempre più labili i confini tra la vita privata e quanto mostrato sul grande schermo. In tutto ciò l’attore però non volle mai divorziare dalla Carabella, in quanto profondamente religioso.
Degli anni ’70 ricordiamo: Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca, commedia italiana del 1970, diretta da Ettore Scola, per il quale Marcello Mastroianni vinse il premio per la migliore interpretazione maschile presso il Festival di Cannes, alla sua prima collaborazione con il regista. Si tratta di un film forse non dei più brillanti, sulla scia della commedia all’italiana neorealista e melodrammatica, che risulta però molto caricaturizzata e grottesca. Il film si lascia apprezzare lo stesso, anche se certamente non spicca nella filmografia di Ettore Scola. Peraltro è probabile che la Palma d’Oro vinta da Marcello fosse piuttosto un riconoscimento tardivo per interpretazioni nettamente migliori degli anni precedenti.
“Va a sapere quando siamo stati davvero dei bravi bugiardi”.
Seguono Permette? Rocco Papaleo (1971) di Ettore Scola, La moglie del prete (1970) e Mordi e fuggi (1973) di Dino Risi, Leone l’ultimo (Leo the Last) di J. Boorman (1970), …Correva l’anno di grazia 1870, un film per la TV di A. Giannetti (1971).
Nel 1971 Marcello Mastroianni si trasferì a Parigi, che divenne la sua seconda casa, girando numerosi film in Francia, aiutato da un discreto accento che gli consentì di destreggiarsi tra le pellicole in lingua francese. Qui interpretò Tempo d’amore (Ça n’arrive qu’aux autres) di Nadine Marquand Trintignant (1972), accanto all’attrice Catherine Deneuve, con la quale ebbe una relazione. I due recitarono insieme anche ne La cagna, di Marco Ferreri (1972). Dalla coppia nacque la seconda figlia, Chiara.
Proprio in questi anni venne consolidato il sodalizio con Marco Ferreri, anche lui trasferitosi in Francia e con il quale si instaurò immediatamente una profonda sintonia anche oltre il mero rapporto professionale. Dalla loro collaborazione nacque La grande abbuffata, film estremamente disturbante e grottesco del 1973, e Non toccate la donna bianca (1974). Negli stessi anni Marcello recitò poi in Allonsanfan di P. e V. Taviani (1974), La divina creatura di G. Patroni Griffi (1975), Todo modo di Petri (1976), Una giornata particolare (1977) e La terrazza (1980) di Scola, Ciao maschio ancora di Ferreri (1978).
Todo modo
Todo modo di Elio Petri è un film grottesco liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Sciacia, critica verso gli uomini di potere della Democrazia Cristiana. Uno dei personaggi del film ricalcava Aldo Moro, nonostante il suo nome non sia stato menzionato durante il film ma riprendendone la fisicità ed i comportamenti, quasi per caricaturizzarlo. Il fatto singolare ed inquietante è che in qualche modo il film ha anticipato l’uccisione di quest’ultimo, tant’è che Todo modo venne fatto sparire per anni, la pellicola originale fu sequestrata a meno di un mese dall’uscita e ritrovata bruciata presso gli archivi di Cinecittà. A rifletterci oggi, Todo modo ha inoltre anticipato l’avvento di un’epidemia ed è incredibile notare come questo film continui ad essere assolutamente attuale. Nella pellicola Marcello interpreta il ruolo di un prete assetato anch’egli di potere. Il montaggio di Todo modo è stato eseguito direttamente dal fratello di Marcello, Ruggero Mastroianni, mentre le musiche sono dell’immenso Ennio Morricone. Ricordiamo che inoltre Elio Petri esordì con il film Assassino, con protagonista proprio Marcello Mastroianni.
Una giornata particolare
Tra i film più importanti interpretati da Marcello spicca però Una giornata particolare. Titolo del 1977 di Ettore Scola, Una giornata particolare è un piccolo capolavoro che rivede insieme sul grande schermo Marcello Mastroianni e Sophia Loren. Il film racconta del giorno in cui Adolf Hitler fu in visita a Roma, il 6 maggio 1938, in occasione del quale venne organizzata una parata. Due persone della stessa palazzina tuttavia decidono di non prendere parte alla parata: Antonietta e Gabriele. Antonietta, interpretata da Sophia Loren, è una casalinga troppo presa dalle faccende di casa e la cui vita coniugale non sembra darle soddisfazioni; Gabriele (Marcello Mastroianni) è un antifascista, omosessuale, che proprio in quella giornata tenta il suicidio. Il fortuito incontro con Antonietta cambia però le sue sorti e tra i due si instaura un rapporto particolare: da un lato Gabriele non è più solo, dall’altro Antonietta apre gli occhi e si riprende da quel fanatismo per Mussolini che aveva fino ad allora offuscato le sue convinzioni. Una giornata particolare è un film delicato e crudele allo stesso tempo, che pone dei temi di riflessione importanti al centro della pellicola.
Il titolo ha inizialmente faticato a trovare una distribuzione, temendo che si sarebbe trattato di un fallimento perché fondamentalmente è un film che poggia la sua forza sui dialoghi, non c’è azione ed il tutto si svolge in pochi luoghi della stessa palazzina. E soprattutto nessuno avrebbe mai creduto all’omosessualità di Mastroianni, specie se a fianco di Sophia Loren. Si trattava di un film dal budget ristretto e con soli due personaggi per la maggior parte della sua durata. Eppure Una giornata particolare è un film che tutt’oggi funziona benissimo, come anche all’epoca riscosse grande successo a livello internazionale. La performance di Marcello fu assolutamente credibile. L’attore aveva numerosi amici omosessuali per i quali aveva sempre nutrito profondo rispetto, per cui approfittò delle sue conoscenze per studiarne le sfumature comportamentali, regalandoci un’interpretazione che non fosse affatto denigratoria, anzi pienamente credibile, delicatissima. La pellicola ha ricevuto numerosi riconoscimenti, in particolare due candidature agli Oscar per il miglior film straniero e per il miglior attore protagonista. L’interpretazione della Loren invece fu premiata con il David di Donatello, il Nastro d’argento e il Globo d’oro.
Nel 1980 Mastroianni torna a lavorare con Fellini in La città delle donne, film accolto abbastanza negativamente dalla critica, in particolare da parte del movimento femminista. La città delle donne esprime appieno un tema che, sempre più o meno velatamente, si è insinuato nelle pellicole del cineasta, rappresentando un rapporto conflittuale con le donne e l’inconciliabilità dei due sessi. Il film in sé è una commedia a tratti davvero esilarante, surrealista e disseminata di quegli elementi ricorrenti della filmografia di Fellini, quali il raffronto tra le giostre e la vita, i ricordi legati alla figura femminile materna, un uomo che si copre di ridicolo nell’esigenza di essere accudito e coccolato, assumendo uno sguardo di finto rispetto dietro il quale però si cela un pensiero prettamente patriarcale. Il mondo femminile è per lui irraggiungibile, incomprensibile, sottolineando il profondo divario tra i sessi.
Sempre con Fellini, Marcello Mastroianni recitò in Ginger e Fred (1985) al fianco di Giulietta Masina, compagna di vita di Fellini, e Intervista (1987). Questo fu l’ultimo film che i due realizzarono insieme, per un totale di cinque film.
Nel 1987 Marcello interpretò Oci Ciornie, ispirato ad alcuni racconti di Anton Čechov, per il quale ricevette la terza e ultima candidatura agli Oscar. Nel 1988 è protagonista insieme a Massimo Troisi in Splendor e Che ora è, entrambi diretti da Ettore Scola. Negli anni Novanta l’attore è in particolare preso da produzioni straniere. Se nei primi anni lavorativi, infatti, Marcello Mastroianni ha prevalentemente lavorato a Cinecittà, soprannominata da lui come “la fabbrica” e che da sempre rappresentava un porto sicuro, negli ultimi anni iniziò a spostarsi di più. Era un modo per viaggiare, scoprire il mondo come se l’attore fosse un vero e proprio turista di lusso.
Nel 1990 Marcello Mastroianni vinse il Leone d’Oro alla carriera, durante il Festival del cinema a Venezia. Il premio gli fu personalmente consegnato da Federico Fellini, ormai amico di lunga data.
Fellini si ammalò nel 1993, sconvolgendo l’intera industria cinematografica italiana. Marcello fu intervistato al riguardo da La Repubblica, dopo giorni passati a respingere infastidito i cronisti, mossi da una curiosità professionale in certi casi davvero inopportuna e pressante.
“Che posso dire? Che non ci voglio credere, che sono addolorato, che mi fa male? Sono tutte frasi di circostanza, che non hanno senso, che non dicono niente, che suonano false. Mettermi a rilasciare dichiarazioni su Federico significherebbe ammettere che Federico sta male, che potrebbe anche morire. E io non ci voglio stare”.
L’intervista ebbe luogo in occasione delle riprese per la miniserie di Nanni Loy, A che punto è la notte, presso castello Odescalchi a Roma, dove si erano svolte le riprese per La dolce vita, prima collaborazione di Mastroianni e Fellini. L’attore non era più passato per quella villa e tornarci destò molti ricordi nostalgici di uno dei periodi più belli della sua vita lavorativa, affascinato dalla magia che Fellini era in grado di creare sul set.
“Non mi era mai più capitato di passare da quelle parti. Il castello è rimasto uguale ad allora, tutto mi è sembrato come allora e, di colpo, ho recuperato lo stato d’ animo vissuto durante le riprese di La dolce vita: l’allegria del set, l’esaltazione di lavorare, il mio abbandono totale a Federico. Le riprese durarono cinque, sei mesi e io stavo bene, così bene che ero arrivato a sperare che il film non finisse mai“.
“Ma c’è una verità che mi sta molto più a cuore e che vale molto di più per me, ed è che l’incontro con lui mi ha regalato la vera amicizia, quella rara e preziosa di un fratello maggiore ideale, più intelligente, più profondo, più sensibile di me. Un fratello che mi vuole bene, con il quale posso dire tutto, che è capace di capire tutto senza giudicare. Su di lui so di poter contare sempre”.
Le ultime lune
Nel 1995 gli fu diagnosticato un tumore al pancreas ma, nonostante la malattia ed un successivo intervento, l’attore continuò a recitare fino all’ultimo. Supportato da Anna Mario Tatò, regista e compagna di Marcello negli ultimi vent’anni, Mastroianni fece ritorno al teatro con Le ultime lune, ultimo spettacolo teatrale con la regia di Giulio Bosetti e scritto da Furio Bordon. Il testo parla di un uomo ormai giunto alla terza età e che affronta riflessioni sulla vita ed il termine di questa, suscitando forte commozione nel pubblico, conscio della malattia dell’uomo.
“Io vorrei morire a Natale… con il grande albero illuminato in mezzo alla piazza… mentre la neve cade lenta su tutta Paperopoli… e io la guardo volteggiare nell’aria in compagnia di Qui e Quo, i miei due fratellini… e mi sento a casa, al caldo e al sicuro… con le zampe infilate nei miei scarponcini gialli e il copri-orecchie a batuffolo che mi stringe delicatamente le tempie come la carezza di un figlio bambino…”
Questi gli ultimi passi del testo, estremamente toccanti. Marcello Mastroianni ha sempre considerato la recitazione come il più bel mestiere del mondo, in cui ti pagano per giocare, e infatti per lui era tutto un gioco. Quasi criticava il lavoro di immedesimazione di altri suoi colleghi, per lui non dovevano esserci tormento e sofferenza, era necessario piuttosto un completo distacco tra l’attore ed il personaggio, tant’è che Marcello sosteneva che un attore non si dovrebbe mai commuovere, al contrario deve far commuovere gli altri.
“Credo che sempre debba esserci un distacco tra l’attore e il personaggio che interpreta. Anzi, bisogna che ci sia sempre un occhio che ammicchi ironico, come a dire: ‘Oh, non la menare tanto, ricorda che stai facendo una recita, non è che stai vivendo questo personaggio’. Anche se alle volte accade di commuoversi – cosa che all’attore non dovrebbe mai accadere: l’attore deve far piangere il pubblico, ma lui non dovrebbe, mai. Eppure può accadere, perché forse in quella certa commedia c’è qualcosa che ti tocca più da vicino, più personalmente”.
Eppure il ruolo in Le ultime lune era così vicino alla situazione di Mastroianni, permettendo quasi una completa identificazione con il personaggio interpretato, forse scelto perché più semplice, dato ormai il peso dell’età e della malattia, o forse per esorcizzare le paure sempre più presenti al calare dei propri giorni. Lo spettacolo teatrale aveva luogo ogni sera e lo stesso attore ha ammesso che in qualche occasione ha recitato con occhi lucidi, rimproverandosi di aver perso la capacità di distaccarsi dai suoi ruoli. Ma in fondo, com’era possibile in quell’occasione distaccarsi, quando si sta interpretando un anziano che va incontro alla morte? L’esperienza si è però rivelata catartica per l’attore, quasi come se il teatro fosse un bisogno fisiologico a cui periodicamente faceva ritorno. Anche dopo aver dovuto sospendere gli spettacoli per un intervento, nel 1996, vi fece poi ritorno, recitando fino alla fine dei suoi giorni e dedicando ogni sua ultima energia al suo lavoro.
L’ultimo film con protagonista Marcello Mastroianni fu Viaggio all’inizio del mondo (1997), diretto dall’anziano regista portoghese Manoel de Olivieira. Le riprese si svolsero in Portogallo e fu proprio lì che contemporaneamente venne girato il documentario autobiografico dell’attore, Mi ricordo, sì, io mi ricordo: flusso di coscienza di Marcello Mastroianni che con la memoria tenta di ripercorrere le tappe principali della sua carriera, raccontando aneddoti e ricordi di ogni sorta. Si tratta di un film davvero intimo, da molti considerato il testamento spirituale dell’attore, diretto dalla sua compagna di vita, Anna Maria Tatò. Entrambi i film uscirono postumi.
Marcello Mastroianni si spense all’età di 73 anni, il 19 dicembre 1996 presso il suo appartamento di Parigi.
Marcello Mastroianni è stato un uomo incredibile, uno dei più grandi attori italiani, inarrestabile e che ha lavorato fino agli ultimi giorni della sua vita, senza mai fermarsi. L’attore ha all’attivo più di 160 film e numerose sono state le volte in cui, durante le interviste, gli veniva chiesto quando riuscisse a trovare del tempo per la propria vita privata. Egli stesso si poneva lo stesso interrogativo: chi è davvero l’attore? Forse la recitazione era un modo per sfuggire dalla vita reale, forse la vita reale non c’è mai stata. Proprio per il gran numero di pellicole da lui recitate, spesso contemporaneamente, la sua vita venne definita tra parentesi: perché in fondo la sua vita non era altro che quei momenti di silenzio nel passaggio da un film a un altro.