James Stewart è stato uno degli attori dell’epoca d’oro hollywoodiana più amati di sempre. Un vero e proprio simbolo dei valori americani: un uomo medio, onesto, diverso dagli altri attori. Non era un divo né era considerato bello ma era alla mano, educato, uno in cui tutti gli uomini americani avrebbero voluto immedesimarsi. Nel corso della sua lunga carriera, James Stewart ha dato prova della sua grande versatilità interpretando i ruoli più disparati nei film dei più grandi registi dell’epoca come Frank Capra, Alfred Hitchcock, Anthony Mann, John Ford e Billy Wilder.
L’American Film Institute ha inserito James Stewart al terzo posto della classifica delle più grandi star del cinema, dopo Humphrey Bogart e Cary Grant, e seguito da Marlon Brando, Fred Astaire e Henry Fonda.
James Stewart: l’infanzia
James Maitland Stewart nacque in Indiana il 20 maggio 1908 in una famiglia di ceto borghese. Il padre, Alexander Maitland Stewart, era un ricco imprenditore, gestore di un grande magazzino di famiglia, il J.M. Stewart & Co. Hardware. L’uomo era inoltre stato un volontario nella guerra ispano-americana, sulle orme di suo padre (il nonno di James), fondatore del magazzino, che aveva combattuto come volontario nella guerra di secessione americana. La madre di James Stewart era invece Elizabeth Ruth Jackson, detta Bessie, figlia di Samuel McCartney Jackson, che era stato un generale, imprenditore e politico.
James Stewart era il primogenito e prese il nome dal nonno paterno. Successivamente nacquero anche le sue due sorelle, Mary Wilson Stewart e Virginia Kelly Stewart.
Sin da giovanissimo, James Stewart ha sempre dimostrato una forte propensione per l’arte nelle sue diverse forme, a partire dalla musica, in particolare l’attore era solito dilettarsi con la fisarmonica. E ancora, in giovane età iniziò a manifestare grande interesse per il modellismo, specie di aeroplani. Quest’ultimo hobby lo portò ad avvicinarsi a quella che poi sarà una delle sue passioni più grandi: l’aviazione. Nonostante il desiderio del padre che il primogenito proseguisse l’attività di famiglia, fu ben presto chiaro che James Stewart aveva piani del tutto diversi per il suo futuro.
Nel 1928 James Stewart si iscrisse presso la Princeton University, conseguendo la laurea in architettura al termine del ciclo di studi di quattro anni, nel 1932. Subito dopo iniziò l’iter professionale dei laureati in architettura e, nel mentre, iniziò ad avvicinarsi ad alcune scuole di arte drammatica e circoli musicali, tra i quali spicca il Princeton Triangle Club, per poi diventare membro del Princeton Charter Club.
Proprio durante l’estate del 1932 James Stewart iniziò ad avvicinarsi al mondo della recitazione, dimostrando già in giovane età delle ottime doti attoriali, tanto da essere invitato presso la University Players, un circolo d’arti drammatiche per attori e musicisti iscritti alla Thespian. Dopo alcuni piccoli ruoli in recite teatrali, James Stewart decise definitivamente di dedicarsi alla carriera d’attore e così, nell’inverno dello stesso anno, si trasferì a New York.
Gli inizi: dal teatro al cinema
Trasferitosi a New York e deciso a calcare i palcoscenici di Broadway, James Stewart si ritrovò a condividere l’appartamento con un altro grande attore, Henry Fonda, ed il regista Joshua Logan.
Nel novembre 1932 James Stewart ottenne la sua prima piccola parte in uno spettacolo di Broadway: l’attore interpretò un autista nella commedia Goodbye Again. Nonostante lui avesse solo due battute in totale, si trattò di un vero e proprio traguardo per James Stewart, dato che era la sua prima produzione teatrale importante, che peraltro ottenne un discreto successo. La commedia gli portò nuove occasioni lavorative, tra cui ricordiamo Page Miss Glory (1934), nonché il suo primo ruolo teatrale drammatico in Yellow Jack, di Sidney Howard.
Proprio grazie ai suoi ultimi ruoli, James Stewart riuscì a farsi notare da un talent scout della Metro-Goldwyn-Mayer. L’attore firmò così il suo primo contratto pluriennale con la celebre casa di produzione nell’aprile del 1935.
In occasione del documentario C’era una volta Hollywood del 1974, realizzato per il cinquantesimo anniversario della MGM, James Stewart rispose ad una domanda che da sempre gli veniva posta, ovvero: a cos’era dovuto il suo grande successo? Lui dichiarò:
“Con l’avvento del sonoro molte carriere cessarono dall’oggi al domani. Gli studios, per adeguarsi, dovettero cominciare a cercare degli attori che sapessero parlare. È chiaro che il serbatoio doveva essere il teatro. Ecco, io ero uno dei tanti attori di teatro che arrivarono a Hollywood in cerca di fortuna”.
Insomma, l’uomo giusto al momento giusto! Nonostante ciò, l’attore fece però fatica ad affermarsi nel panorama cinematografico hollywoodiano. Tali difficoltà erano legate in particolar modo al suo aspetto fisico e alla sua presenza: James Stewart era infatti di corporatura molto esile ed aveva un atteggiamento timido e dimesso, per cui, soprattutto all’epoca, difficilmente venivano scritti ruoli maschili che fossero adatti a lui.
James Stewart esordì sul grande schermo con Ultime notizie (The Murder Man), film del 1935 scritto e diretto da Tim Whelan, con protagonista Spencer Tracy. Il film tuttavia fu un vero e proprio flop. Nello stesso anno James Stewart ebbe una parte anche in Rose Marie, di W. S. Van Dyke. Film musicale uscito nel 1936, Rose Marie vedeva come suoi protagonisti Jeanette MacDonald e Nelson Eddy, ed era l’adattamento cinematografico dell’omonima operetta popolare. Al contrario del primo film, il secondo fu un successo. James Stewart venne poi scelto per interpretare Next Time We Love, affiancato da Margaret Sullavan, attrice con la quale l’uomo aveva in precedenza avuto una relazione sentimentale.
Nata per danzare può considerarsi l’unico film in cui si può sentire James Stewart cantare una canzone completa. L’attore venne scelto nonostante non fosse un ballerino professionista né era particolarmente intonato, tant’è che quando venne scritturato per il ruolo gli fu comunicato che, nella parte in cui avrebbe dovuto cantare, la sua voce sarebbe stata sostituita da quella di un vero cantante. In fase di montaggio però gli autori decisero di tenere l’originale performance canora dell’attore, che in fondo non se l’era cavata così male!
Ancora nel 1936, James Stewart recitò in un altro ruolo importante nel film Dopo l’uomo ombra (After the Thin Man), diretto da W. S. Van Dyke, che era il sequel de L’uomo ombra (The Thin Man) del 1934, a sua volta tratto dall’omonimo romanzo di Dashiell Hammett. Dopo l’uomo ombra fu il primo film in cui James Stewart venne chiamato ad interpretare un ruolo diverso da quelli che fino ad allora gli erano stati assegnati: se dapprima era solito prestare il volto al ragazzo gentile della porta accanto, nel film di Van Dyke, James Stewart ottenne il ruolo di un killer psicopatico, dando prova della sua incredibile versatilità.
Il successo
Dopo una serie di ulteriori film e ruoli di scarso rilievo, arrivò finalmente il successo grazie alla parte da protagonista ne L’eterna illusione (You Can’t Take It with You), film del 1938 diretto da Frank Capra. La pellicola segna la prima collaborazione di James Stewart con il regista che, qualche anno dopo, lo renderà celebre a livello internazionale.
Riguardo a L’eterna illusione, si trattava di una produzione Universal Pictures. Se fino ad allora James Stewart aveva lavorato sotto contratto per la MGM, quest’ultima accordò all’attore di partecipare alla produzione dell’altra casa concorrente. Il film era tratto dall’omonima commedia, vincitrice del premio Pulitzer, scritta da George S. Kaufman e Moss Hart. Si trattò del primo ruolo davvero importante interpretato da James Stewart, come lui stesso ha dichiarato:
“Dopo quel film la gente cominciò a riconoscermi per strada”
L’eterna illusione fu un grande successo, di fatto il film venne candidato agli Oscar in ben sette categorie: miglior film, miglior regia, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale, migliori fotografia, montaggio e sonoro, aggiudicandosi la statuetta d’oro sia per la regia che per miglior film.
Da allora seguirono ruoli decisamente più importanti. Tra questi ricordiamo Ritorna l’amore (Made for Each Other), film del 1938 con Carole Lombard, diretto da John Cromwell. Nel 1939 fu poi la volta di Questo mondo è meraviglioso (It’s a Wonderful World), diretto nuovamente da W. S. Van Dyke e girato in soli dodici giorni.
Mr. Smith va a Washington, la prima candidatura agli Oscar
James Stewart tornò poi a collaborare nel 1939 con Frank Capra in Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith Goes to Washington), con Jean Arthur. Il lungometraggio è l’adattamento del racconto inedito The Gentleman from Montana, scritto da Lewis R. Foster e ispirato al senatore degli Stati Uniti Burton K. Wheeler.
Il film segue la storia di Jefferson Smith (James Stewart), un giovane uomo a capo dei boy scout scelto, senza apparente motivo, per ricoprire la carica di senatore. Ben presto sarà però chiaro che le ragioni di questa scelta risiedono nella corruzione del Parlamento americano, di cui alcuni esponenti sono manovrati da un dispotico imprenditore. Smith, scelto come marionetta per la sua ignoranza in materia, si rivela più scaltro del previsto, dando del filo da torcere a tutti coloro che volevano approfittare di lui.
Mr. Smith va a Washington fu un grande successo di pubblico e critica, tanto da essere candidato a ben undici Oscar, aggiudicandosi quello per miglior soggetto originale. Il film segna un traguardo importantissimo per James Stewart, che grazie alla sua splendida ed intensa interpretazione riuscì ad ottenere la sua prima candidatura agli Oscar come miglior attore protagonista.
Dopo alcune problematiche legate alla produzione del film, Mr. Smith va a Washington venne affidato a Frank Capra ed inizialmente l’idea era quella di realizzare un film che fosse il sequel di È arrivata la felicità, mentre il titolo previsto era Mr. Deeds Goes to Washington. Per l’occasione venne quindi chiamato Gary Cooper, per tornare nel ruolo del film precedente. Tuttavia, a causa di alcuni impegni lavorativi, l’attore non era disponibile e così venne sostituito da James Stewart, ancora una volta preso in prestito dalla MGM. Fu una vera fortuna per quest’ultimo, considerando che il ruolo gli valse la prima candidatura agli Oscar!
Nel 1940 James Stewart recitò nuovamente con la sua vecchia fiamma, Margaret Sullavan, in due pellicole: Scrivimi fermo posta (The Shop Around the Corner) e Bufera mortale (The Mortal Storm). Riguardo alla prima, questa fu diretta da Ernst Lubitsch e tratta dall’omonima commedia ungherese di Miklós László. Il film ha avuto poi ben due remake: un musical del 1949, intitolato I fidanzati sconosciuti, ed il più celebre C’è posta per te del 1998, interpretato da Tom Hanks e Meg Ryan. Riguardo a Bufera mortale invece, il film fu diretto da Frank Borzage e può considerarsi come il primo film antinazista della storia, tanto che la Germania vietò alla MGM di distribuire film nel territorio tedesco.
Scandalo a Filadelfia
Sempre nel 1940 James Stewart interpretò il ruolo di co-protagonista nella commedia romantica Scandalo a Filadelfia (The Philadelphia Story), diretto da George Cukor, affiancato da grandi attori dell’epoca quali Katharine Hepburn e Cary Grant. Il film rappresenta uno dei migliori esempi della cosiddetta comedy of remarriage, genere cinematografico molto in voga tra gli anni Trenta e Quaranta, in cui una coppia divorziava per avere relazioni con altri partner, per poi risposarsi.
Scandalo a Filadelfia fu un grande successo, tanto che venne candidato a sei premi Oscar, vincendo quelli per miglior soggetto non originale e miglior attore protagonista. Quest’ultima statuetta fu vinta da James Stewart, rappresentando la sua prima ed anche unica vittoria, nel 1941. Lo stesso anno erano candidati nella stessa categoria anche altri grandi attori quali Henry Fonda, Laurence Olivier e Charlie Chaplin e, proprio per questa ragione, James Stewart era certo di non vincere, tant’è che non presenziò alla cerimonia. Soltanto in un secondo momento l’attore venne invitato a partecipare affinché potesse ritirare il premio.
Lo stesso James Stewart ha più volte affermato di non sentire meritata quella statuetta d’oro, che forse gli era stata data per compensare la mancata vittoria dell’anno precedente, per il ruolo, certamente più significativo, in Mr. Smith va a Washington.
James Stewart ha raccontato in un’intervista il rapporto col padre, che poco sosteneva la sua carriera attoriale, di fatto raramente i due affrontavano l’argomento durante le loro conversazioni. Nonostante l’atteggiamento schivo del padre nei confronti della carriera dell’attore, quando l’uomo venne a conoscenza della vittoria del figlio, lo chiamò al telefono alle quattro di mattina e gli chiese di spedirgli la statuetta d’oro. Quest’ultima restò esposta presso il negozio di ferramenta del padre per ben venti anni, quasi a simboleggiare l’orgoglio che tacitamente l’uomo provava verso suo figlio.
James Stewart e la carriera militare
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, James Stewart decise di seguire la tradizione degli uomini della sua famiglia: infatti, come suddetto, il padre ed entrambi i nonni avevano già combattuto nelle precedenti guerre che tra i loro protagonisti avevano visto anche gli Stati Uniti d’America, sia nella guerra di secessione sia nella guerra ispano-americana, nonché nella Prima guerra mondiale.
James Stewart può essere considerato come uno dei primi attori più celebri ad aver indossato l’uniforme per combattere in guerra, nonostante le iniziali difficoltà riscontrate per arruolarsi. James Stewart era infatti un uomo di corporatura molto esile e, a causa dei requisiti molto rigidi previsti, non riuscì immediatamente ad entrare nell’Army Air Corps, dato che era leggermente sottopeso, di soli due chili rispetto al peso previsto (di circa 67,3 kg, ovvero di 148 pounds).
James Stewart decise dunque di affidarsi ad un personal trainer, Don Loomis, della MGM, molto abile e con una buona esperienza dato che in precedenza aveva seguito diversi attori affinché questi fossero in forma per i loro ruoli. Tuttavia questo non fu sufficiente, infatti anche al secondo tentativo James Stewart continuava ad essere leggermente sottopeso.
Venne messo di stanza ad Albuquerque, nel Nuovo Messico, e lavorò come pilota istruttore delle Fortezze volanti B-17. In quegli anni sono state poche le apparizioni pubbliche di James Stewart, limitate ai soli impegni programmati dalla Army Air Corps. In veste di attore ricordiamo in particolare alcuni interventi radiofonici con Edgar Bergen e Charlie McCarthy. Dopo Pearl Harbor, l’attore recitò con Orson Welles, Edward G. Robinson, Walter Huston e Lionel Barrymore in un programma radiofonico chiamato We Hold These Truths, in occasione del 150° anniversario del Bill of Rights.
Il successo dopo la guerra: La vita è meravigliosa
Terminata la guerra, James Stewart tornò alla sua carriera recitativa. Nel 1945 decise di non rinnovare il contratto presso la MGM e piuttosto firmò un contratto con l’agenzia MCA. Questo passo fu decisamente importante perché James Stewart può considerarsi uno dei primi attori indipendenti. Grazie a ciò, James Stewart ottenne una maggiore libertà nella scelta dei ruoli.
Il primo film che James Stewart interpretò dopo la guerra è stato La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life, 1946) di Frank Capra (tra l’altro fu anche il primo film del dopoguerra anche per il regista). Si tratta di un film particolarmente significativo, non soltanto perché questo ruolo rappresentò per Stewart la spinta a tornare a far film, ma anche per la forte morale che lo contraddistingue, tanto che ad oggi è considerato un cult ed uno dei film più popolari ed amati del cinema statunitense, nonché un must del periodo natalizio.
Al momento della sua uscita non si trattò di un grande successo al botteghino e, soltanto in un secondo momento, iniziò a ricevere ampi apprezzamenti da parte del pubblico, diventando un vero e proprio classico di Natale. All’epoca comunque piacque in particolar modo alla critica: La vita è meravigliosa venne infatti candidato agli Oscar per ben cinque categorie, compresa quella del miglior attore protagonista grazie alla splendida interpretazione di James Stewart.
Alla pellicola ed al regista va certamente riconosciuto il merito di aver saputo cogliere, come mai prima di allora, tutte le sfaccettature dell’interpretazione di James Stewart e tutto il suo talento, che qui trova piena espressione nelle scene di totale disperazione e gioia.
Frank Capra lasciava ampia libertà agli attori e più momenti della pellicola sono frutto dell’improvvisazione di questi ultimi. In particolare, la scena del bar in cui George è assorto nei suoi pensieri ed inizia a piangere non era affatto prevista dal copione, né dallo stesso James Stewart: l’attore ha dichiarato in alcune interviste che si trattò di lacrime vere ed inaspettate, frutto della profonda empatia dell’uomo che rifletteva sulla condizione vissuta dal suo personaggio e che, del resto, riguarda numerose persone nella realtà.
Seguirono poi altri titoli meno celebri, tra cui ricordiamo: La città magica (Magic Town, 1947) di William A. Wellman, La strada della felicità (On Our Merry Way, 1948) di John Huston e George Stevens, Chiamate Nord 777 (Call Northside 777, 1948) di Henry Hathaway.
Harvey, il film preferito di James Stewart
Oltre che al cinema, James Stewart aveva fatto ritorno anche alla carriera teatrale. L’attore fu protagonista di Harvey (1944), commedia scritta da Mary Chase, vincitrice del premio Pulitzer nel 1945. La storia segue le avventure di un uomo che ha come amico immaginario un grande coniglio bianco e, tra i diversi ruoli interpretati da James Stewart, questo è certamente uno dei suoi preferiti in assoluto e a cui era molto affezionato.
L’attore recitò nella commedia teatrale per tre anni, per poi lasciare il posto, nel 1947, a Frank Fay. Tuttavia il legame con quel personaggio era ancora molto forte e infatti, non appena si presentò l’occasione di realizzarne la trasposizione cinematografica, James Stewart venne immediatamente scelto come protagonista. Il film di Harvey venne realizzato nel 1950, diretto da Henry Koster.
Il film fu un grande successo di pubblico e critica e ottenne ben cinque candidature agli Oscar, aggiudicandosi la statuetta per la miglior attrice non protagonista, Josephine Hull. Anche James Stewart venne candidato per la quarta volta come miglior attore, ma quell’anno il premio nella stessa categoria venne vinto da José Ferrer con Cirano di Bergerac.
Il 9 agosto 1949 James Stewart sposò la donna che poi si rivelerà l’amore della sua vita: l’ex modella Gloria McLean, unica moglie con cui l’attore condividerà il resto dei suoi giorni. James Stewart adottò i due figli che la donna aveva avuto in un precedente matrimonio e, nel 1951, i due ebbero insieme due gemelle: Judy e Kelly Stewart.
Gli anni d’oro
Gli anni Cinquanta possono considerarsi come l’epoca d’oro di James Stewart, periodo durante il quale l’attore si cimentò in alcuni dei ruoli più impegnativi della sua carriera, distaccandosi dalle commedie e dedicandosi in particolare ai generi western e thriller. Di quegli anni ricordiamo L’amante indiana (Broken Arrow, 1950) di Delmer Doves; Il più grande spettacolo del mondo (The Greatest Show on Earth, 1952) di Cecil B. DeMille; L’aquila solitaria (The Spirit of Saint Louis, 1957) di Billy Wilder; nonché il programma radiofonico western The Six Shooter, andato in onda tra il 1953 ed il 1954.
Ma ciò che più contraddistinse quegli anni furono le collaborazioni con due registi immensi: Anthony Mann e Alfred Hitchcock.
La collaborazione con Anthony Mann: James Stewart, il cowboy americano
Innanzitutto ricordiamo i diversi film di Anthony Mann in cui possiamo vedere James Stewart alle prese con il genere che lo rese poi celebre negli anni successivi: il western. La prima collaborazione tra il regista e l’attore risale al 1950, con Winchester ’73. Si trattò di un film particolarmente importante per l’attore, che prima d’allora aveva recitato soltanto in un altro western ma in una parte minore, e che dalla critica era sempre stato considerato inadatto al genere, perché fino a quel momento aveva recitato principalmente in commedie.
Ma l’importanza di Winchester ’73 risiede soprattutto nel fatto che il film rappresentò un vero e proprio punto di svolta nello studio system hollywoodiano, introducendo delle importanti innovazioni nel sistema retributivo degli attori. In particolare, ricordiamo che nel 1950 James Stewart è stato protagonista non soltanto di Winchester ’73, ma anche di Harvey, ruolo a cui l’attore non poteva assolutamente rinunciare. James Stewart, per prendere parte al film di Mann, chiese ben 200.000 dollari (all’epoca una cifra esorbitante), ma gli Universal Studios dovettero rifiutare.
Dopodiché furono ben quattro gli altri titoli western che segnarono la collaborazione tra Mann e Stewart: Là dove scende il fiume (Bend of the River, 1952); Lo sperone nudo (The Naked Spur, 1953); Terra lontana (The Far Country, 1954) e L’uomo di Laramie (The Man from Laramie, 1955). I film in questione contribuirono a gettare le basi del western di quegli anni.
La collaborazione con Alfred Hitchcock
Negli stessi anni James Stewart collaborò con un altro grande regista: Alfred Hitchcock, genio incompreso di cui soltanto successivamente si colse lo spessore. Con lui aveva già lavorato in precedenza, nel 1948, in Nodo alla gola (Rope).
Nodo alla gola
Basato sull’omonima rappresentazione teatrale, il film trae ispirazione da un fatto di cronaca nera realmente accaduto: l’omicidio del quattordicenne Bobby Franks, assassinato da due studenti dell’Università di Chicago, Leopold e Loeb.
Si tratta di un film straordinario, intelligente, che segue la storia di due ragazzi che decidono di realizzare l’omicidio perfetto, senza movente e senza lasciare tracce, per dimostrare la propria superiorità sulla scia degli insegnamenti mal interpretati del loro professore universitario, interpretato da un eccellente James Stewart.
Inoltre, nella vicenda reale, i due assassini erano omosessuali e, a causa delle rigide regole etiche dettate dal Codice Hays all’epoca vigente, anche quest’aspetto venne modificato. Nonostante ciò, il film comunque riscontrò alcune problematiche di censura, specie in Europa, a causa del suo contenuto considerato “pericoloso e immorale”.
Nonostante all’epoca della sua uscita Nodo alla gola venne accolto in modo molto freddo da pubblico e critica, ad oggi ne riconosciamo l’importanza, soprattutto tecnica. Non soltanto si trattò del primo film di Hitchcock a colori, ma Nodo alla gola è anche caratterizzato dall’impiego di alcune tecniche innovative per l’epoca: il regista fece ampio uso dei piani sequenza, il film è infatti composto da soli dieci piani sequenza, con dei tagli fantasma sapientemente montati in modo tale da far sembrare che l’intera pellicola sia priva di tagli, come se si trattasse di un’unica ripresa.
La finestra sul cortile
La finestra sul cortile (Rear Window, 1954) è considerato uno dei più grandi capolavori della storia del cinema ed è il secondo film di Alfred Hitchcock che vede James Stewart come protagonista, questa volta affiancato da una splendida Grace Kelly.
La finestra sul cortile narra di un fotoreporter, Jeffries (James Stewart) che a causa di un infortunio, trascorre l’estate nel suo solitario appartamento, bloccato sulla sedia a rotelle. Il suo passatempo è quello di osservare il vicinato dalla finestra. Un giorno però accade un evento spiacevole, o meglio Jeffries crede che sia successo qualcosa. Sarà frutto della sua paranoia o è successo davvero?
Diversamente da altri titoli del regista, La finestra sul cortile ebbe ampio successo e fu apprezzato dalla critica, tanto da ricevere diverse candidature agli Oscar, senza però vincere alcun premio.
L’uomo che sapeva troppo
L’uomo che sapeva troppo (The Man Who Knew Too Much, 1956) è il terzo film di Hitchcock con James Stewart, remake di un film dello stesso regista uscito nel 1934. Hitchcock sentiva fortemente l’esigenza di rimettere mano al suo lavoro grazie alla maturata esperienza rispetto a quando lo realizzò per la prima volta, come da lui stesso dichiarato nella celebre intervista con François Truffaut:
“La prima versione è stata fatta da un dilettante di talento, mentre la seconda da un professionista”
Il film segue la storia di una coppia, interpretata da James Stewart e Doris Day, che con il proprio bambino, parte per una vacanza di piacere in Marocco. I tre verranno però avvicinati da un uomo dal fare sospetto e da un’altra coppia: quando il primo viene ucciso, gli altri due rapiranno il figlio dei protagonisti per ricattarli a non rivelare alcuna informazione di cui questi sono venuti a conoscenza durante il tragico evento.
“il volto di James Stewart è il “Vistavision” dei sentimenti: la maschera sulla quale sono modellati i passaggi, le incrinature, le pieghe, i risvolti, le ansie di una sceneggiatura “furiosa”. La faccia di Stewart è come la macchina fotografica de La finestra sul cortile: permette un’indagine al di là di un vuoto, di una zona proibita al dialogo e ai movimenti della macchina da presa”.
Del film ricordiamo l’iconica canzone Que sera, sera (Whatever Will Be, Will Be), interpretata da Doris Day e grazie alla quale il film vinse una statuetta d’oro.
La donna che visse due volte
La donna che visse due volte (Vertigo) è un altro capolavoro di Hitchcock del 1958, oggi collocato al nono posto nella lista dei cento migliori film statunitensi di tutti i tempi.
Il film segue la storia di John Ferguson (ancora una volta interpretato da James Stewart), ex poliziotto che si dimette dalla propria carriera dopo una brutta vicenda da lui vissuta: durante l’inseguimento di un criminale sui tetti dei grattaceli di San Francisco, resta aggrappato ad una grondaia ed il suo collega, nel tentativo di salvarlo, cade giù, perdendo la vita. Lo spiacevole evento segna a vita l’uomo protagonista che, in quell’occasione, ha sviluppato una forte acrofobia.
Successivamente un amico di vecchia data gli commissiona di svolgere delle indagini su sua moglie, Madeleine (interpretata da Kim Novak), che da qualche tempo ha iniziato a tenere dei comportamenti piuttosto sospetti. Ferguson accetta l’incarico, trovandosi però coinvolto in un mistero che si infittisce man mano che procedono le ricerche.
L’attore decise dunque di prendere le distanze da Alfred Hitchcock e, nonostante fosse inizialmente interessato ad interpretare anche il film successivo del regista, Intrigo internazionale (1959), alla fine cedette il posto al collega e amico Cary Grant, seppur quest’ultimo era più grande di James Stewart di ben quattro anni.
Come da lui stesso dichiarato, una volta concluso un film in cui si è recitato non si riesce a guardare il film nella sua completezza ma l’attenzione ricade tutta sul proprio ruolo, sul proprio modo di recitare, per cui si assume uno sguardo critico, ad esempio interrogandosi sul perché sia stato scelto un take piuttosto di un altro in cui si credeva di aver recitato meglio.
Tra i diversi attori feticcio di Alfred Hitchcock, tra cui Ingrid Bergman, anche James Stewart partecipò alla cerimonia organizzata in onore del regista dall’American Film Institute nel 1979.
Gli anni ’60 e ’70: Anatomia di un omicidio
Nel 1960 vinse un New York Film Critics Circle Award come miglior attore e, nello stesso anno, ricevette la sua quinta e ultima candidatura agli Oscar per Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder, 1959), diretto da Otto Preminger.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Traver, non fu accolto con favore dalla critica a causa del fatto che, specie per l’epoca, era un film molto esplicito negli argomenti affrontati, e le stesse autorità addette alla censura lo considerarono pieno di immoralità ed oscenità.
Nonostante le critiche, il regista fece in modo che il film non subisse alcun taglio dovuto alla censura. Anatomia di un omicidio venne candidato a ben sette premi Oscar, ma non portò a casa nessuna statuetta d’oro.
Il ritorno al western: L’uomo che uccise Liberty Valance
Il film ebbe un discreto successo alla sua uscita, seppur all’epoca veniva considerato come uno dei film minori del regista, soprattutto per l’utilizzo del bianco e nero. Soltanto successivamente è stato rivalutato dalla critica e ad oggi è considerato come uno dei migliori western diretti da Ford, caratterizzato dalle atmosfere opprimenti e claustrofobiche, quale riflesso dell’oscurità e pessimismo della storia, che dedica una maggiore attenzione ai personaggi e alle loro emozioni piuttosto che al paesaggio circostante, realizzando quello che potrebbe definirsi un western noir e psicologico, tra l’altro il preferito di Sergio Leone realizzato da Ford.
Seguì poi La conquista del West (How the West Was Won, 1962): il film fu un grande successo e, candidato a ben otto Oscar, ne vinse tre per migliori sceneggiatura originale, montaggio e sonoro.
L’ultimo film di John Ford in cui recitò James Stewart fu Il grande sentiero (Cheyenne Autumn, 1964), titolo che però ebbe molta meno fortuna rispetto alle pellicole precedenti: fu un vero e proprio fallimento al botteghino e addirittura, nella versione trasmessa in televisione, dal film è stata spesso rimossa la parte in cui recitava James Stewart.
E ancora, tornando al western, James Stewart interpretò Shenandoah – La valle dell’onore (Shenandoah, 1965) e Rancho Bravo (1966), entrambi diretti da Andrew V. McLaglen. Nello stesso periodo l’attore recitò anche ne Il volo della fenice (The Flight of the Phoenix,1966) di Robert Aldrich, attingendo anche alla sua passata esperienza nell’aviazione.
Nel 1966, con la guerra del Vietnam, James Stewart si imbarcò come osservatore su un B-52 per una missione di bombardamento sul Vietnam del Nord, per poi andare in pensione dalla sua carriera militare nel 1968. La tragedia della guerra colpì personalmente lo stesso attore: fu proprio in guerra che uno dei suoi figli adottivi, Ronald, perse la vita all’età di soli 24 anni, nel 1969.
Negli anni successivi l’attore si dedicò ad alcune comparizioni televisive. In particolare James Stewart fu protagonista della sitcom The Jimmy Stewart Show, andato in onda dal 1971 al 1972. Interpretò inoltre il ruolo di un avvocato coinvolto in alcune indagini nel giallo Hawkins, ma la serie non ebbe grande successo, tanto che venne cancellata dopo una sola stagione di ventiquattro episodi.
Sempre tra gli anni Sessanta e Settanta, James Stewart comparve più volte nel Tonight Show di Johnny Carson per leggere alcune poesie composte da lui durante i suoi viaggi ed altri momenti della vita. Molto commovente e celebre è la poesia che l’attore dedicò al suo cane, letta in occasione dello show televisivo e che ridusse in lacrime l’intero pubblico presente quella sera. Le poesie sono poi state pubblicate in una breve raccolta intitolata Jimmy Stewart and His Poems, del 1989.
Infine, gli ultimi ruoli cinematografici interpretati da James Stewart furono: Il pistolero (The Shootist, 1976) di Don Siegel, che peraltro fu l’ultimo film con John Wayne; Airport ’77 di Jerry Jameson; Marlowe indaga (The Big Sleep, 1978) di Michael Winner; La più bella avventura di Lassie (The Magic of Lassie, 1978) di Don Chaffey; e da ultimo, Una storia africana (1980) di Susumu Hani, che fu ufficialmente l’ultimo film di James Stewart.
Gli ultimi anni
Dopo il film per TV Right of Way (1983), James Stewart si ritirò a vita privata per trascorrere i suoi ultimi anni con la famiglia, nonché per affrontare i problemi di salute di cui soffriva. Fece ritorno al mondo dello spettacolo solo una volta, nel 1991, per prestare la propria voce allo sceriffo Wylie Burp nel celebre film d’animazione Fievel conquista il West, quasi in modo ironico, tornando ai fasti dei giorni trascorsi ad interpretare i grandi western.
Tra gli anni ’80 e ’90 prestò poi la sua voce per la campagna pubblicitaria della Campbell’s Soups. Nel 1989, con Peter F. Paul, James Stewart fondò l’American Spirit Foundation, usando le risorse ricavate dall’industria dell’intrattenimento per sviluppare approcci innovativi all’educazione pubblica.
Nel 1994 morì sua moglie Gloria e questo lo segnò drasticamente. James Stewart, che per anni aveva combattuto contro una malattia respiratoria, decise di lasciarsi andare e morì il 2 luglio 1997, all’età di 89 anni, per un’embolia polmonare. Le ultime parole dell’attore erano rivolte a sua moglie, con la speranza di potersi ricongiungere con lei.
Nella sua città natale gli fu dedicata una statua per i suoi 75 anni e, sempre in Indiana, è stato aperto un museo dedicato alla sua vita e alla sua straordinaria carriera. Oltre che ad essere stato emesso un francobollo con il suo volto, il più alto riconoscimento da lui conseguito è stato certamente la Medal of Freedom, la più importante onorificenza civile americana.
James Stewart è stato forse uno degli attori più amati di Hollywood, un volto buono della golden age hollywoodiana che ha incarnato alcuni dei valori in cui tutti gli americani hanno sempre voluto rispecchiarsi: l’eroismo, l’onestà e il patriottismo.